Il circo del clima
A Doha è in corso l'annuale Conferenza internazionale sul clima che, prevedibilmente, finirà con il solito compromesso che scontenta tutti ma che dà diritto a ritrovarsi fra un anno. Con costi esorbitanti a carico della collettività. Ma ad essere pericolosa è anzitutto la visione ideologica della realtà.
Sono 18 anni che va avanti il teatrino dei negoziati sul clima, secondo uno schema ormai collaudato, e in questi giorni si sta infatti svolgendo la 18esima Conferenza sui cambiamenti climatici. A Doha, in Qatar, dove è in svolgimento, ci sono circa 17mila delegati in rappresentanza di quasi 200 paesi, e facendo un rapido calcolo si potrebbe anche pensare che se in questi 18 anni non si fosse portato a spasso per il mondo tutta questa gente, si sarebbero risparmiate più emissioni di anidride carbonica di quante ne siano state tagliate con le decisioni prese a queste Conferenze.
Il rito prevede che con l’avvicinarsi dell’annuale appuntamento inizino a uscire rapporti e studi che dipingono un pianeta sempre più sull’orlo del collasso: mari che crescono di livello come il pane con il lievito, ghiacciai che si sciolgono alla velocità della luce, uragani continui e implacabili, temperature che nel giro di qualche ci faranno morire arrostiti. Anche quest’anno sono arrivati puntuali, ma con una piccola novità: siccome per riuscire a catturare l’attenzione della gente bisogna spararla sempre più grossa, e ormai al 18esimo anno non si sa più cosa inventare, si è passati alla minaccia dell’«uomo nero», ovvero si terrorizza evocando un’entità cattiva pronta a intervenire se non facciamo quel che dobbiamo. In concreto: l’anno prossimo è prevista l’uscita del V Rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC, il Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici, patrocinato dall’ONU) di cui non si sa ancora nulla, se non – dichiarazioni alla vigilia di Doha – che sarà terrificante negli scenari che prevede, ma non si sa quali.
Poi il copione prevede che finalmente la Conferenza inizia, ma le probabilità che finisca con un accordo sono minime, anche se le delegazioni lavorano sodo per evitare un fallimento che sarebbe disastroso per l’umanità e la vergogna della nostra generazione. Inevitabilmente a un certo punto, più o meno dopo una settimana, il fallimento sembra certo, ma la speranza è ancora appesa a un filo. Infine c’è lo sprint finale con un accordo dell’ultimo minuto, che ufficialmente scontenta gran parte dei delegati e delle associazioni ambientaliste (non si è deciso mai abbastanza) ma che rimanda alla prossima conferenza internazionale tra un anno. Così il circo può continuare a girare e il teatrino a perpetuarsi, peraltro con costi esorbitanti: recentemente è stato calcolato che si spendono almeno 100 milioni di dollari l’anno per tenere vivo l’apparato, oltre un miliardo di dollari in totale, pagato dai contribuenti soprattutto dei paesi industrializzati.
Per quanto riguarda Doha, la fine dei lavori è prevista per venerdì 7 dicembre, siamo quindi al momento del rischio fallimento – che si sta superando – e vicini al rush finale, con il solito compromesso sui documenti da approvare. Quest’anno la differenza è che tra meno di un mese scade il Protocollo di Kyoto – che stabilisce una riduzione delle emissioni di anidride carbonica (CO2) per i paesi industrializzati - e che quindi bisogna trovare una soluzione per il futuro. Stiamo pur certi che comunque alla fine qualcosa si farà almeno per giustificare l’appuntamento tra un anno.
Nel frattempo la realtà va avanti come sempre: il clima cambia come è sempre cambiato, i disastri naturali accadono come hanno sempre fatto, la temperatura globale ha smesso di crescere dal 1998 al punto che aumentano gli scienziati che parlano di un possibile raffreddamento globale, e così via. Gli uragani, contrariamente a quanto sostenuto in tv e sui giornali, non sono affatto in aumento né di frequenza né di intensità; anzi i dati messi a disposizione dal Centro Nazionale Usa per gli Uragani che coprono oltre un secolo, dal 1900 al 2012, ci dicono che nell’ultimo quinquennio gli uragani forti (minimo livello 3) sono scesi a un livello minimo.
Solo che, presi da questo delirio di onnipotenza per cui pensiamo di poter controllare le temperature globali come se la Terra avesse un termostato, stiamo gettando ingenti risorse economiche e umane nell’assurdo tentativo di bloccare il clima in una inesistente condizione di equilibrio. E tralasciamo di seguire quella saggezza di chi ci ha preceduto, per cui le risorse si investono per mitigare i danni provocati dai disastri naturali, consapevoli dei nostri limiti e del nostro rapporto con il creato e il Creatore. Il vero pericolo per l’umanità sta proprio qui: nell’aver abbandonato la realtà per seguire le ideologie e gli idoli.