Il Cile boccia anche la riforma costituzionale di destra
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Cile: a un anno dal referendum che bocciò la riforma costituzionale di sinistra, ora la maggioranza dei cileni ha votato contro la riforma proposta dalla destra.
Il Partito Repubblicano cileno, che aveva la maggioranza nel Consiglio Costituzionale, è stato l'ultimo dei partiti di centrodestra a riconoscere la parziale sconfitta politica dopo che la riforma costituzionale, di chiara marca cristiana e conservatrice, è stata bocciata al referendum di approvazione nella giornata di domenica 17 dicembre. Già nel tardo pomeriggio di domenica, quando in Italia si era da poco passata la mezzanotte, tra i partiti conservatori cileni i principali leader di RN, Evópoli, UDI e Repubblicani, si mostravano preoccupati. Solo un 44,24% di consensi alla proposta di riforma costituzionale pro life, pro family e a favore di libertà di impresa, educazione, religione e società civile (4,5 milioni di voti circa), mentre il 55,76% dei cittadini si sono detti contrari.
La sconfitta infine è stata riconosciuta anche da Antonio Kast, leader indiscusso dei Repubblicani che ha però giustamente attaccato il governo dell’attuale Presidente cileno Gabriel Boric che ha fortemente tentato, per ben due volte, di modificare la Costituzione, dopo che era stato eletto dall’intera sinistra proprio per aggiornare e rivoluzionare la vecchia carta fondamentale di Pinochet ancora in vigore.
«Quando perdiamo, perdiamo, e stasera una grande maggioranza di cileni ha respinto la nostra proposta. Riconosciamo con chiarezza e umiltà che non siamo riusciti a convincere i cileni che questa Costituzione era migliore di quella attuale. Non c'è nulla da festeggiare, perché il governo e la sinistra non hanno nulla da festeggiare. Il danno che hanno fatto al Cile è immenso e ci vorranno decenni per ripararlo», ha ammesso nella serata di domenica Antonio Kast, convinto altresì che le idee del centro destra si siano rafforzate. Con il 99.9% delle schede scrutinate e più di 15 milioni di aventi diritto al voto, si è registrato un 44,24% di consensi alla proposta di riforma costituzionale pro life, pro family e a favore di libertà di impresa, educazione, religione e società civile (4,5 milioni di voti circa), 55,76% contrari (6.9 milioni di voti circa), con un 5% circa di voti nulli e bianchi, per un totale di circa 13 milioni di votanti.
Per comprendere appieno il processo costituzionale in cui sono stati impegnati i cileni, è necessario ricordare che dopo le violenze sociali dell'ottobre 2019, il 78% dell'elettorato aveva votato per cambiare la Costituzione imposta dalla dittatura militare di Augusto Pinochet (1973-1990) e nel 2021 aveva eletto democraticamente una convenzione, dominata dalla sinistra, per redigere un nuovo testo costituzionale. Tuttavia, tale proposta era stata respinta a stragrande maggioranza nel settembre dello scorso anno, nonostante i sondaggi dicessero il contrario. Il testo seppur promosso dallo stesso Presidente Boric, era abortista, pro LGBTI e contrario alla libertà della Chiesa, di educazione e ottenne solo il 38% di voti a favore contro il 62% circa dei contrari.
Dopo questo primo tentativo, il Cile è passato a un secondo processo costituzionale e lo scorso maggio ha eletto una nuova convenzione, questa volta per lo più di centrodestra, che hanno elaborato un altro testo, bocciato domenica. In ogni caso, con questo ennesimo risultato contrario alla riforma costituzionale, il dibattito è chiuso, almeno durante la presidenza di Gabriel Boric (2022-2026), perché lo stesso leader progressista e Presidente della repubblica ha già detto che non promuoverà un terzo processo costituente.
La precedente Magna Carta, risalente all'epoca del dittatore Augusto Pinochet, approvata nel 1980, ma riformata dal socialdemocratico Ricardo Lagos nel 2005, rimane in vigore. Alla luce del risultato del referendum, i vescovi cileni hanno rilasciato una saggia dichiarazione in cui si prende atto che «la maggioranza dei cittadini ha rifiutato una nuova proposta costituzionale. Possiamo solo accettare la sovranità popolare, espressa attraverso un esercizio pienamente democratico. Siamo tutti chiamati a inquadrare la nostra vita politica e sociale nell'ambito dell'attuale Costituzione politica, nel rigoroso rispetto dello Stato di diritto e delle norme democratiche che ci governano».
I vescovi hanno anche ricordato come «necessario essere più decisi nel procedere insieme, affrontando con urgenza le urgenti sfide sociali e politiche che il Cile deve affrontare, al di là delle nostre legittime differenze e pluralità di vedute». Tra queste sfide, dicono i vescovi con lo stesso realismo e preoccupazione delle opposizioni, si aggravano sempre più i problemi della sicurezza, della salute, delle pensioni, della crescita economica, dell'educazione, laddove necessitano anche intese e mediazioni che sostengano soluzioni a favore delle opportunità e della lotta alla povertà del paese.
Il voto di domenica dimostra che il Cile ha urgente bisogno di esser governato con quella saggezza, determinazione e competenza che sinora sono mancate al giovane rivoluzionario e protestatario Gabriel Boric ed ai suoi ascari interni e alleati dell’internazionale socialista. I dati dell’agosto scorso raccontano di un paese con il 30% di disoccupati, una povertà che aumenta gravemente, nonostante il cospicuo aumento dei sussidi. Inoltre, il 16 agosto Gabriel Boric ha dovuto ristrutturare il suo governo. I ministeri dell'Educazione, delle Miniere, dei Beni nazionali, Sviluppo Sociale e della Cultura sono stati cambiati, è il terzo rimpasto di governo dalla sua entrata in carica nel marzo del 2022. Se è vero che le riforme si fanno insieme e, pur facendo contare i numeri e le ragioni della maggioranza, non possono escludere né il dibattito né il coinvolgimento di tutte le forze politiche, è ancor più vero che primum vivere deinde philosophari, prima delle riforme costituzionali è necessario promuovere opportunità, integrazione e sviluppo per tutti.