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POLITICA

Il centrodestra è culturalmente succube della sinistra

Il centrodestra è un'area potenzialmente maggioritaria nel paese. La cultura cattolica è ancora quella dominante in Italia. Eppure, manca del tutto un'offerta politica. Il centrodestra si sta dimostrando succube e complessato nei confronti della cultura di sinistra, radicale ed ecologista. Serve ricostruire una cultura politica cattolica.

Editoriali 15_04_2017
Brambilla e Berlusconi

Se come nell’economia di mercato anche nella politica la domanda generasse l’offerta, sulla scena della vita pubblica italiana ci dovrebbe essere un partito di centro-destra con una solida vocazione maggioritaria guidato da un leader con una forte vocazione di governo. E’ infatti questo che domanda l’elettorato, dove l’orientamento di centro-destra predomina; ed è questo che richiede pure la forza delle cose essendo attualmente la cultura politica liberale la più carica di risposte credibili ai grandi problemi socio-economici del momento.

Nel tentativo di dare seguito a tale domanda, e quindi di vincere le elezioni prossime venture e di tornare al governo, qualcosa si muove nell’area, ma il poco che si muove fa cascare le braccia. Come esemplarmente dimostra la mesta vicenda della svolta animalista di Berlusconi, la cultura della componente “laica” del centro-destra non è altro che una versione complessata e subalterna dell’attuale cultura di sinistra.  D’altra parte ciò appare strano solo fino ad un certo punto se si considera che nei vecchi partiti di sinistra l’originaria ispirazione marxista, ridotta in macerie dal fallimento storico del “socialismo reale”, è stata poi sommersa dalla cultura radicale ovvero dalla variante di sinistra del liberalismo. Tra le due anime del liberalismo “laico” resta perciò un collegamento residuo che può aprire la via a prossimità inattese. E’ il collegamento così ben simboleggiato in questi giorni dalle due immagini di Berlusconi che dà il biberon agli agnellini sotto lo sguardo pseudo-materno di Maria Vittoria Brambilla, e di Laura Boldrini che accoglie e accarezza gli agnelloni a Montecitorio. Al di là di ogni altra differenza conta insomma in primo luogo la comune visione panteistica della natura nonché la perdita della percezione della diversità sostanziale dell’uomo, unica presenza consapevole nel creato, e unico essere vivente non solo sensibile ma pure dotato non soltanto di un corpo ma anche di un’anima. 

In questo quadro da sé sola la cultura liberale “laica” è del tutto perdente. Appare infatti semplicemente come la versione moderata (non si capisce poi nemmeno per quali motivi) di un modo di vedere il mondo e le cose che a sinistra trova invece pieno e libero dispiegamento. Per coloro che in via provvisoria e in mancanza di meglio si possono definire cattolici liberali, da tale stato di cose deriverebbe il compito di dare un solido scheletro di idee e di esperienze a un’area destinata altrimenti a non sollevarsi dalla condizione di gelatina informe in cui oggi si trova. Deriverebbe, ma non deriva essendo oggi i cattolici in politica in una situazione di diaspora e di annichilimento tali da renderli ovunque insignificanti. E tutto ciò malgrado che la presenza cattolica, e l’influenza di valori di matrice cristiana anche al di là dell’ambiente cattolico, siano un elemento primario della società civile del nostro Paese. E’ stato calcolato che quasi il 40% degli italiani vive facendo in vario modo esplicito riferimento all’annuncio e alla dottrina della Chiesa. Se dunque questo dato viene messo a confronto con lo spazio che la visione del mondo cattolica ha nei grandi media, e rispettivamente con la presenza visibile che essa ha nella vita pubblica del Paese, non si può che restare sorpresi dalla sua sproporzione rispetto alla realtà delle cose.

Dovrebbe pertanto essere evidente l’urgenza di costruire o di ricostruire delle culture politiche di matrice cattolica; e sulla base di esse di riproporsi come presenza visibile nella vita pubblica del Paese. Viceversa si continua ad assistere a pure e semplici manovre di schieramento e di ricomposizione partitica che, oltre a essere fatalmente sterili, diventano anche un po’ patetiche in una situazione nella quale non ci si muove più come un tempo nell’orizzonte di un grande partito di massa a vocazione maggioritaria, ma si riesce nella migliore delle ipotesi a dar vita a piccole formazioni che non hanno alcuna speranza di andare oltre il 3-4% dei consensi elettorali. Per uscire dallo stato di complessiva irrilevanza, nella quale ci si trova, bisogna in primo luogo lavorare per giungere a un progetto convincente e di grande respiro attorno a cui aggregare poi un’adeguata forza politica. Fare il contrario, come si sta facendo adesso, è una pura perdita di tempo.