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TRANSGENDER

Il caso Emilia Perez, la rivoluzione woke divora se stessa

Mentre Trump vieta ai trans di competere nelle squadre femminili, Karla Sofia Gascón (Juan Carlos Gascón alla nascita) rischia di perdere l'Oscar perché non dimostra abbastanza solidarietà di classe con altre minoranze, come musulmani e neri.

Editoriali 08_02_2025
Karla Sofia Gascon (La Presse)

Il presidente Trump ha firmato un nuovo ordine esecutivo in cui bandisce gli atleti trans dalle squadre sportive femminili. Lo ha firmato, circondato da atlete ragazze e donne, in una grande festa dello sport femminile. La scrittrice britannica JK Rowling, autrice della serie Harry Potter (considerata “transfobica” perché difende, alla vecchia maniera, i diritti delle donne), ha commentato su X, postando la foto di Trump attorniato da atlete: «Congratulazioni a tutte le persone di sinistra che si sono battute per distruggere i diritti delle donne e delle ragazze. Senza di voi, non ci sarebbero immagini come questa».

È un j’accuse alle ex compagne di lotta che si sono alienate completamente i consensi delle elettrici, facendo gareggiare le donne con trans molto più forti di loro, anche nella boxe e in altri sport di contatto. O semplicemente negando la natura della donna, addirittura eliminando la definizione e sostituendola con “persona assegnata femmina alla nascita” o “persona con mestruazioni”, eliminando il genere femminile nel linguaggio, sostituendolo con nuove lettere e nuovi pronomi. Fino a superare la soglia del ridicolo.

In questa nuova lotta di classe, il trans costituisce una minoranza più oppressa rispetto alla donna, dunque deve godere di maggiori diritti. Ma, come sempre nella lotta di classe, il trans deve avere “coscienza di classe” e schierarsi dalla parte di tutte le minoranze perseguitate, non solo la propria. Questo è il caso di Karla Sofia Gascón (alla nascita: Juan Carlos Gascón), che ha incassato subito la nomination come “miglior attrice protagonista” nella prossima edizione degli Oscar, ma sta subendo ora il boicottaggio ideologico.

È protagonista di Emilia Perez, musical ambientato in un Messico immaginario (e con scene girate in Europa) dove un feroce boss del narcotraffico, a un certo punto della sua vita, si finge morto e cambia sesso. Da donna, si redime, passa dalla parte dei buoni e costituisce un’associazione per le vittime della mafia messicana. In estrema sintesi: storia di un maschio tossico che diventa una donna virtuosa. Tredici candidature agli Oscar. Meritate? A quanto dicono critici e pubblico: no. Non solo è un flop al botteghino, ma è anche stroncato dalla critica più accorta, con un meta-punteggio di appena 17% del pubblico su RottenTomatoes e 5,6 (su 10) su Imdb. Di sicuro non è piaciuto ai messicani che, mediamente, commentano di sentirsi vittima dei soliti pregiudizi, per di più in un film che non è nemmeno girato nei luoghi giusti (evidentemente non corrispondevano alla fantasia del regista Jacques Audiard).

Le 13 candidature, un record per un film non americano agli Oscar, iniziavano dunque già a puzzare di politica. Trump caccia i trans dall’esercito e dalle squadre sportive femminili? Bene, Hollywood dà la maggior parte dei premi a un film su un trans, con un trans nel ruolo di miglior attrice protagonista.

Ma Gascón non vuole entrare nel ruolo. Anche dopo aver cambiato sesso, in Spagna, esprimeva pareri che non rivelavano una propensione particolarmente positiva nei confronti della minoranza islamica. Lo ha svelato Sarah Hagi, giornalista musulmana, che ha riscoperto un suo vecchio tweet: «Scusate, è solo una mia impressione o ci sono più musulmani in Spagna? Ogni volta che vado a prendere mia figlia a scuola ci sono più donne con i capelli coperti e la gonna fino ai tacchi. L'anno prossimo, invece dell'inglese, dovremo insegnare l'arabo». Apriti cielo. Da quel momento è stato tutto un citare altri post politicamente scorretti. Per esempio uno sulla rivolta di Black Lives Matter del 2020, a seguito dell’uccisione dell’afro-americano George Floyd per mano di un poliziotto bianco: «Credo davvero che a pochi sia importato di George Floyd, un truffatore tossicodipendente, ma la sua morte è servita a dimostrare ancora una volta che ci sono persone che considerano ancora i neri come scimmie (sic!) senza diritti e che considerano i poliziotti come assassini. Si sbagliano tutti».

E prima di incassare una nomination come miglior attrice protagonista, a proposito degli Oscar 2021, sempre Gascón scriveva: «Gli Oscar sembrano sempre più una cerimonia per film indipendenti e di protesta, non sapevo se stavo guardando un festival afro-coreano, una manifestazione di Black Lives Matter o la Festa della Donna. A parte questo, un gala brutto, brutto».

Risultato? Non solo Netflix, produttore del film, ha interrotto la campagna di promozione con Gascón nel tour promozionale, ma anche lo stesso regista Jacques Audiard ha preso una posizione netta contro la sua candidatura: «Si sta facendo del male da sola, e non capisco proprio perché stia continuando su questa strada. Inoltre, non capisco perché stia proseguendo ad arrecare danni alle persone vicine a lei. Sta facendo del male alla crew e a tutti coloro che hanno lavorato duramente a questo film, compresi io, Zoe Saldaña e Selena Gomez».

Finché non è arrivata l’autocritica di Gascón: «…ho deciso, per il film, per Jacques, per il cast, per l’incredibile troupe che lo merita, per la bella avventura che abbiamo vissuto tutti insieme, di lasciare che l’opera parli da sola, sperando che il mio silenzio permetta al film di essere apprezzato per quello che è, una bella ode all’amore e alla differenza».

Insomma, c’è sempre il più puro che ti epura. E visto che la rivoluzione divora i suoi figli, intanto vince Trump.