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EDITORIALE

Il caso Adinolfi e l'impossibilità di un'altra sinistra

Mario Adinolfi è di sinistra, ma è uno dei più attivi e popolari sostenitori della vita e della famiglia naturale. Una sinistra così è possibile? Difficile. Se anche fra i progressisti c'è del buono, la rivoluzione della natura umana è nel loro DNA.

Editoriali 25_04_2014
Mario Adinolfi

A sinistra desta giustamente interesse il caso Mario Adinolfi. È possibile una sinistra pro-life? Una sinistra che si batte contro l’ampliamento della legge 40 o perfino per la sua abolizione? Che non vuole le Unioni Civili né l’eutanasia e che chiude le porte all’utero in affitto? La questione è interessante.

Mario Adinolfi è il deputato del Partito Democratico che ha scritto il libro Voglio la mamma. La cosa ha stupito molti perché l’autore affronta tutti i temi caldi di oggi, dalla pillola del giorno dopo all’utero in affitto, e su ognuno esprime una valutazione dal punto di vista della sua esperienza, fornisce i dati statistici della situazione e una bibliografia di approfondimento. Dai giudizi espressi emerge una valutazione molto diversa da quella tipica della sinistra fino ad oggi. Quella di Rodotà o Zagrebelski, della Gruber o della Cavani, di Augias o di Flores d’Arcais. Dall’insieme emerge anche una chiara accusa alla sinistra di non aver saputo affrontare in modo razionale questi temi, ma di avervi anteposto l’ideologia o, meglio, un automatico rapporto stimolo-risposta.

Ora “Voglio la mamma” è diventata anche un’associazione che ha stilato un manifesto e che si prepara a girare l’Italia. Uno dei punti è la difesa del diritto dei genitori ad educare i propri figli. Il riferimento all’ideologia del gender e la sua pervasiva presenza nelle istituzioni e nella scuola è evidente. Così, mentre il blocco politico-istituzionale della sinistra produce gli opuscoli UNAR, le amministrazioni di sinistra insediano comitati per l’educazione sessuale omosessualista, la vicepresidente del PD, Debora Serracchiani, inizia nella regione da lei presieduta, il Friuli Venezia Giulia, l’iter di una legge regionale sul fine vita, Mario Adinolfi denuncia l’omertà ideologica di una cultura che, dopo aver dichiarato l’esaurimento della forza propulsiva della rivoluzione d’ottobre, non ha inventato altro se non l’individualismo borghese dei desideri imposti come diritti.

Il punto massimo di attenzione, l’Adinolfi lo ha conquistato il 9 aprile scorso, quando ha partecipato a La Zanzara, il programma nichilista in onda ogni giorno alle 18,30 su Radio24. Qui egli ha tenuto il punto non solo contro Cruciani e Parenzo, i conduttori, ma anche contro Severino Antinori, l’inseminatore di sessantatreenni e fautore della libertà totale di inseminazione artificiale e distruzione di embrioni umani (clicca qui per la registrazione della puntata).

Certo, Adinolfi non è l’unico ad andare controcorrente nella lunga storia della cultura di sinistra. Max Horkheimer, ne La nostalgia del totalmente altro si era detto contrario addirittura alla contraccezione. Giuseppe Vacca, Mario Tronti, Pietro Barcellona avevano condiviso le preoccupazione dell’allora Pontefice Benedetto XVI sulla questione antropologica che l’inseminazione artificiale apriva drammaticamente. Hans Jonas e Jürgen Habermas hanno fatto molti passi in avanti nell’avvertimento dei grandi pericoli di diritti che pretendono di valere anche contro la natura umana. Più di recente, in Francia, il biologo di sinistra Jacques Testart ha detto che l’utero in affitto sarebbe una “schiavitù”, Sylviane Agacinski ha considerato l’utero in affitto una “pratica indecente” e Axel Kahn, rettore di università e già candidato per i socialisti, si è detto “radicalmente contrario”. Adinolfi, però, è anche un blogger, ci sa fare con la comunicazione e il suo marioadinolfi.it è attraente e molto seguito, così come  la sua pagina Facebook. Riuscirà a lui quanto non è riuscito ad altri?

Fenomeni di ripensamento ideologico come questi vanno salutati con piacere. È segno che sotto la fede politica la ragione rimane pur sempre capace di funzionare, che la legge naturale si fa ancora sentire nella coscienza e che la libertà di spirito non ci rende mai completamente succubi dei paradigmi. Circa l’esito, invece, ci si può permettere di coltivare dei dubbi. Bisogna infatti distinguere quanto viene dalla cultura della sinistra da quanto c’è nella cultura della sinistra. Nella cultura della sinistra ci sono molte cose valide, ma che non vengono dalla cultura della sinistra, non le sono proprie, non derivano dai suoi presupposti, dai suoi punti di partenza. Anche nel comunismo c’erano delle cose buone, ma che non venivano dal comunismo. Papa Francesco, rispondendo ad una domanda dei ragazzi che lo hanno intervistato, ha dato un giudizio negativo sul comunismo, anche se poi ha detto che ha incontrato molti comunisti buoni. Dal comunismo non può venire niente di buono, ma nel comunismo ci può essere del buono.

Nel DNA della cultura della sinistra c’è il superamento della natura, attuata in una forma di profetismo laico che annunciava una salvezza immanente. Ciò ha prodotto una secolarizzazione progressiva, perché l’immanentismo non si sazia mai. Fin tanto che ciò era sostenuto comunque da una fede nella rivoluzione e quindi in una sorta di salvezza in terra, fin tanto che ciò era guidato da una religione secolare il vero volto di quella cultura non emergeva nella sua nuda drammaticità. Ma quando tutto questo finì, allora la cultura di sinistra si manifestò nella sua vera natura: la fase matura del processo moderno di progressiva immanentizzazione delle relazioni sociali. C’è un bel dire che Hollande ha poco a che fare con la sinistra in quanto ai lavoratori da proteggere ha sostituito i gay. Da un altro punto di vista, invece, Hollande è l’esito necessario della cultura di sinistra: tolta la speranza di un mondo migliore, seppure solo su questa terra, il socialismo diventa ideologia borghese allo stato puro: “l’io e le sue voglie”, come diceva Benedetto XVI.

Gli Adinolfi sono utili e possono ottenere anche qualche risultato. A patto, però, che non si illudano, con le loro novità pro-life e pro-family, di ricondurre la cultura di sinistra alle proprie origini da cui si sarebbe allontanata imborghesendosi, ma con coraggio si rendano conto che l’operazione non riuscirà se non mettendo in crisi quelle stesse origini. A ciò forse non è sufficiente un blog, ma può essere un buon inizio.