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Il cardinale Scola torna a casa. A Milano

È imminente la nomina dell'attuale patriarca di Venezia ad arcivescovo della sua diocesi natale. Storia e ritratto di un uomo cresciuto alla scuola di due grandi maestri: don Luigi Giussani e il cardinal Joseph Ratzinger.

 
ROMA, 24 giugno 2011 - Ritornare come arcivescovo e cardinale a Milano, nella stessa arcidiocesi che quarant'anni fa neppure l'aveva voluto ordinare prete, è una bella rivincita per Angelo Scola.

Fosse stata decisa collegialmente, dall'alto clero e dai maggiorenti del laicato milanese, la sua nomina non sarebbe mai passata. Men che meno se Benedetto XVI avesse dato retta al suo segretario di stato, il cardinale Tarcisio Bertone. Il mite Joseph Ratzinger è stato su questo inflessibile. Un nome, un solo nome, il papa aveva in mente per la diocesi più grande e più prestigiosa del mondo. E l'ha tenuto fermo contro ogni opposizione.

Benedetto XVI non passerà alla storia come grande uomo di governo. La curia vaticana l'ha lasciata come l'ha trovata, nel disordine in cui già era affondata con il suo predecessore Karol Wojtyla, troppo mondialista per occuparsi del cortile di casa. Per le più alte cariche curiali papa Ratzinger si è limitato in sei anni a pochissime chiamate nominative, non tutte riuscite, di uomini da lui conosciuti di persona. La prima, quella di Bertone alla segreteria di stato, si è presto rivelata per il papa più fonte di guai che di vantaggi. Ma l'ultima, quella del cardinale canadese Marc Ouellet a capo della congregazione che vaglia e propone al papa la nomina di ogni nuovo vescovo, promette di dargli più consolazioni. Sull'invio di Scola a Milano, tra Ouellet e Ratzinger l'intesa è stata perfetta.

E doveva essere così. Il sodalizio dei tre è di lunga data, temprato da battaglie comuni. La rivista teologica internazionale "Communio", fondata nel 1972 da Ratzinger, Hans Urs von Balthasar e Henri De Lubac come contraltare conservatore al successo della rivista progressista "Concilium", ebbe proprio in Scola e Ouellet i suoi adepti della prima ora, e prese corpo a Friburgo in Svizzera, nella facoltà teologica dove lo stesso Scola studiava.

A Friburgo, Scola era arrivato dopo un percorso tortuoso, ordinato prete a 29 anni nel 1970 non a Milano, la sua arcidiocesi di nascita, ma dal vescovo di Teramo, Abele Conigli, che gli aveva dato ospitalità dopo che i seminari milanesi, ai quali Scola aveva bussato tre anni prima forte di una laurea in filosofia all'Università Cattolica, l'avevano messo alla porta a motivo della sua militanza in Comunione e liberazione, movimento su cui l'arcivescovo di Milano dell'epoca, Giovanni Colombo, aveva forti riserve.

Del fondatore di Comunione e liberazione, don Luigi Giussani, il giovane Scola era uno dei rampolli più in vista. Fu per una decina d'anni il numero due del movimento a Milano, prima e dopo il burrascoso 1968, prima e dopo il suo farsi prete. Nel 1973 don Giussani – l'avrebbe scritto nelle sue memorie – pensò seriamente a lui come a suo successore.

Ma l'anno seguente, e per due anni, Scola patì difficoltà di salute. E Comunione e liberazione prese una piega antiborghese e terzomondista che a don Giussani non piacque, e alla quale lo stesso Scola pareva indulgere, come capo in quegli stessi anni dell'ISTRA, Istituto di studi per la transizione, dove arditamente incrociava teologia e teorie politiche, scienze del linguaggio e antropologia, Hosea Jaffe e Samir Amin. Don Giussani ordinò la chiusura dell'ISTRA nel 1976 e riprese in pugno l'intero movimento. Da allora il percorso di Scola continuò ad essere marcato dall'appartenenza a Comunione e liberazione, ma senza più cariche operative.

Con l'avvento, nel 1978, di Giovanni Paolo II, un papa amico, la strada per don Giussani e il suo movimento fu spianata. Scola prese a insegnare teologia a Friburgo. Poi, dal 1982, a Roma alla Pontificia Università Lateranense. Nel 1986 divenne consulente della congregazione per la dottrina della fede, della quale il cardinale Ratzinger era prefetto.

Nel 1991 è consacrato vescovo di Grosseto. Ma quattro anni dopo è di nuovo a Roma come rettore della Lateranense, dove presiede un "Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul matrimonio e la famiglia" con filiali in tutto il mondo. Nel 2002 è nominato patriarca di Venezia e l'anno seguente è fatto cardinale. Entra nella rosa dei papabili ma quando il conclave arriva, nel 2005, non corre per sé, non ci pensa neppure, ma per il suo maestro Ratzinger.

Il quale, anche da papa, ha per lui un occhio di riguardo. Le volte, rare, in cui Benedetto XVI chiama a consulto dei cardinali sulle grandi questioni della Chiesa, Scola è tra questi.

Venezia è una piccola diocesi con una grande storia mondiale, che consente al suo patriarca di operare a largo raggio.

Scola vi fonda uno "Studium generale" intitolato a san Marco, il patrono della città, che si articola in tutti i gradi del sapere, dall'infanzia all'università, con studenti da molti paesi, con corsi in più discipline e con la teologia che tutte le abbraccia, con una sua casa editrice.

E poi crea una rivista e un centro culturale internazionale dal titolo Oasis, che fa da ponte verso l'oriente, dall'Europa dell'Est e dal Nordafrica fino al Pakistan, in più lingue compreso l'arabo e l'urdu, con un'attenzione spiccata all'islam e alle cristianità presenti in quei paesi, con periodici convegni fra vescovi ed esperti cristiani e musulmani.

Da Venezia, Scola lancia una parola d'ordine per definire l'incontro tra i popoli e le religioni: "meticciato". Su Oasis il vescovo di Tunisi, Maroun Elias Lahham, gliela contesta come equivoca e incomprensibile per gli stessi musulmani. Ma il patriarca la tiene ferma, la difende. A differenza di Ratzinger, Scola non brilla per chiarezza concettuale. L'esperienza vitale, l'incontro personale con Cristo, in lui sovrastano l'argomento di ragione, come sempre gli aveva insegnato don Giussani. Ma questa polivalenza espressiva si è rivelata per lui un vantaggio a livello di opinione pubblica. Quando contrappone il "meticciato di civiltà" al deprecato "clash of civilizations" il consenso progressista è sicuro. Quando pubblicizza le iniziative di "Oasis" Scola rastrella il consenso dei multiculturalisti. Nonostante la sua provenienza da Comunione e liberazione e nonostante la sua indubitabile linea ratzingeriana, Scola gode di buona stampa più di ogni altro leader ecclesiastico italiano, a destra come a sinistra.

Certo, la vita gli sarebbe diventata difficile se dalla tranquilla Venezia Scola fosse stato proiettato nel centro della mischia ecclesiale e politica, come presidente della conferenza episcopale italiana. Era questo l'approdo che per lui si profilava, quando tra il 2005 e il 2007 si combatté la guerra di successione al cardinale Camillo Ruini, come capo dei vescovi. A Ruini sarebbe piaciuto lui, come successore. Ma in Vaticano sia il vecchio che il nuovo segretario di stato, i cardinali Angelo Sodano e Bertone, erano contrarissimi. Il secondo, soprattutto, fece di tutto per bruciare la candidatura di Scola. La sua nomina, sosteneva, avrebbe irreparabilmente "diviso" l'episcopato. In realtà avrebbe azzerato le ambizioni di Bertone di esser lui il capo della Chiesa italiana nell'agone politico. Alla fine, quando a Benedetto XVI toccò di decidere - perché in Italia è il papa che nomina il presidente della CEI -, la sua scelta non cadde su Scola, e nemmeno sul docile vescovo che Bertone avrebbe voluto impalmare, Benigno Papa, di Taranto, ma sul ruiniano Angelo Bagnasco. Al cardinale di Venezia la mancata nomina non dispiacque affatto.

All'orizzonte, infatti, si era intanto profilata Milano. Dopo due episcopati eccentrici come quelli di Carlo Maria Martini e Dionigi Tettamanzi, Benedetto XVI s'era convinto che era giunta l'ora di insediare lì finalmente un vescovo più consono alla propria visione. Nella mente di papa Ratzinger la candidatura di Scola non aveva alternative, certamente non quelle che il segretario di stato Bertone, anche questa volta indaffaratissimo a sbarrargli la strada, ha escogitato fino all'ultimo. La convinzione di Ratzinger è la stessa di un altro anziano cardinale milanese, Giacomo Biffi, secondo il quale per riportare l'arcidiocesi di Milano sulla retta via occorre riprendere la tradizione dei grandi vescovi "ambrosiani", di forte tempra e di orientamento sicuro.

L'ultimo dei quali era stato Giovanni Colombo. Cioè, per ironia della sorte, proprio colui che non voleva ordinar prete quell'Angelo Scola che ora, dal cielo, vede arrivare come suo successore.
 
Dal sito www.chiesa