Il cardinal Sarah: "Preti, siate fieri del vostro celibato!"
Pubblichiamo di seguito, in versione integrale, l'intervista di Jean Marie Guénois, del quotidiano francese Le Figaro, al cardinal Robert Sarah, prefetto della Congregazione della divina liturgia e la disciplina dei sacramenti. L'intervista riguarda il libro che il cardinal Sarah ha scritto a quattro mani con il Papa emerito Benedetto XVI, in difesa del celibato dei sacerdoti.
Pubblichiamo di seguito, in versione integrale, l'intervista di Jean Marie Guénois, del quotidiano francese Le Figaro, al cardinal Robert Sarah, prefetto della Congregazione della divina liturgia e la disciplina dei sacramenti. L'intervista riguarda il libro che il cardinal Sarah ha scritto a quattro mani con il Papa emerito Benedetto XVI, in difesa del celibato dei sacerdoti.
Come si spiega il fatto che il Papa emerito Benedetto XVI abbia pubblicato assieme a lei un’opera in difesa del celibato sacerdotale, supplicando Papa Francesco di non modificare questa regola nella Chiesa?
Questo libro è un grido, un grido di amore per la Chiesa, il Papa, i preti e tutti i cristiani. Noi vogliamo che questo libro sia letto da più gente possibile. La crisi che attraversa la Chiesa è sorprendente.
Il Papa si era votato al silenzio, perché esce dal suo riserbo?
Con questo libro, il Papa emerito Benedetto XVI non rompe il silenzio. Ci offre il suo frutto. Quel che ha scritto in questo libro non è una teologia loquace, una teologia che vuole incantare i media, ma una lettura contemplativa delle Scritture. Non creda che agisca in polemica, né che questa sia una disputa accademica lontana dalla realtà. Credo che, nella preghiera, il suo cuore di padre abbia provato grande compassione per i sacerdoti di tutto il mondo che si sono sentiti disprezzati, sconvolti e abbandonati. Ha anche voluto rassicurare le decine di milioni di fedeli cristiani che si sentono disorientati e perduti.
Cosa denuncia di preciso, assieme a Papa Benedetto XVI, quando parla di «messe in scena teatrali», di «menzogne diaboliche», di «manipolazioni ideologiche»?
Noi abbiamo assistito in questi ultimi mesi ad una strumentalizzazione della situazione in Amazzonia. I media, i commentatori e le auto-proclamate autorità morali hanno voluto far pressione sui vescovi. Si è voluto far credere che il celibato ecclesiastico non sia altro che una disciplina recente. Si sono accumulate menzogne storiche, approssimazioni teologiche. Hanno voluto farci credere che l’ordinazione di uomini sposati o la creazione di ministri femminili fossero la soluzione di tutti i nostri mali. Con Benedetto XVI, non abbiamo voluto chiudere gli occhi. I problemi sono incommensurabili. Abbiamo una comune convinzione: la sola riforma possibile per la Chiesa è il ritorno alla radicalità del Vangelo.
Ci può spiegare in sintesi la natura di questa “crisi del sacerdozio”, che è il cuore del libro?
Al cuore della crisi del sacerdozio, c’è la dimenticanza di Dio. Quando la vita di un prete non è più ancorata alla fede e a Gesù Cristo, tutte le derive diventano possibili. Se si guarda ai preti come ad altro rispetto che a uomini interamente votati e consacrati a Dio, allora li si condanna ad essere nient’altro che degli assistenti sociali, dei piccoli fornitori di servizi. Il prete cattolico dona tutta la sua vita per essere strumento nelle mani di Dio. Non per svolgere la funzione di un animatore socio-spirituale nella società globale dei consumi. Essere prete non è un mestiere che lascia del tempo libero per una “vita privata” e per gli hobby. Essere prete vuol dire seguire Cristo sulla croce per amore, 24 ore su 24. E’ una condizione di vita. Il mondo, una piccola minoranza che agisce anche dentro la Chiesa, alcuni vescovi stessi, lo hanno dimenticato. Benedetto XVI ed io non abbiamo paura a denunciare questo problema e ad affrontarlo, guardandolo in faccia.
Che messaggio lanciate, principalmente, ai preti “disprezzati”?
Citerei le parole di Giovanni Paolo II: non abbiate paura! Siate fieri del vostro celibato! Voglio ribadire a loro che un prete fedele, povero e debole all’apparenza, fa tremare le potenze di questo mondo. Il celibato è uno scandalo per il mondo, perché è l’affermazione che Dio non sia un’idea, ma un Essere vivente al quale si può donare tutto il corpo, tutto il cuore, tutta la capacità di amare. La nostra vita sacerdotale non ha senso, se non si fonda su Dio. Rende Dio presente in questo mondo, che lo respinge e lo teme. Voglio dunque lanciare un appello ai preti, perché entrino in una vita in cui Dio sia il loro unico punto di appoggio. Non solo una vita di castità nel celibato, ma anche una vita di povertà, di spoliazione, di obbedienza, di fratellanza. La nostra vita sacerdotale è prima di tutto una vita di unione con Gesù, dunque una vita di preghiera.
Ma perché questa possibile riforma locale può rappresentare un pericolo per tutta la Chiesa?
Sappiamo bene e con certezza che l’ordinazione di uomini sposati o la creazione di ministri femminili non è una richiesta dei popoli dell’Amazzonia. E’ un fantasma dei teologi occidentali nel male della trasgressione. Sono scioccato dal fatto che la difficoltà dei poveri venga strumentalizzata fino a questo punto. D’altro canto, Papa Francesco, al Sinodo, ha ricordato che il vero problema dell’Amazzonia sia infine la nostra tiepidezza nell’annunciare la fede, l’unica salvezza in Gesù Cristo. In questo libro citiamo molti esempi. E ho personalmente voluto parlare della mia esperienza di prete africano, per mostrare come l’evangelizzazione debba basarsi sul celibato.
Papa Francesco aveva pertanto detto pubblicamente di non toccare il principio del celibato sacerdotale e che convenga risolvere localmente il problema della mancanza di preti in terra di missione. In che modo un’eccezione rischia di incrinare una regola pluri-secolare?
Sin dall’inizio della storia della Chiesa, Gesù dichiarò: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!». (Mt 9, 37-38). La mancanza di sacerdoti non è un’eccezione. E’ la condizione normale di tutta la Chiesa nascente, come in Amazzonia, in Oriente, come in Occidente. Un’eccezione, per definizione, deve essere transitoria e trattata in modo da ritornare alla normalità delle cose. Un indebolimento del principio del celibato, anche se limitato ad una sola regione, non sarebbe un’eccezione, ma una breccia, una crepa nella coerenza interna del sacerdozio.
Non è allarmismo predire una «catastrofe pastorale»?
Abbiamo scritto questo libro non in una logica di comunicazione, ma seguendo l’esigenza della verità. Se la situazione è grave, lo si deve dire. Leggendo questo libro, non credo che diamo prova di esagerazione. Da un punto di vista umano, la situazione della Chiesa appare disperata. Ma ciò non diminuisce per nulla la nostra speranza, che è in Dio e non nell’approvazione del mondo.
Ci sono comunque delle eccezioni viventi di preti cattolici sposati nelle Chiese orientali, perché non adottare questo modello anche per la Chiesa latina?
Lei ignora che numerosi rappresentanti delle Chiese orientali ci dicono che il clero sposato è in crisi? Li sappiamo ascoltare? Credo soprattutto che il popolo cristiano si aspetti dai preti una consacrazione totale e non mezze misure.
Voi dimostrate, attraverso un’analisi storica e teologica, che il celibato sacerdotale sia una costante dalla fondazione del cristianesimo. Allora gli storici della Chiesa che assicurano che questa regola abbia impiegato secoli per imporsi…
Siamo spesso vittime di una profonda ignoranza della storia di questo soggetto. La Chiesa ha avuto dei preti sposati nei primi secoli. Ma, dal momento della loro ordinazione, erano tenuti all’astinenza totale dalle relazioni sessuali con le loro mogli. E’ un fatto certo e dimostrato dalle ricerche storiche più recenti. In questa esigenza non c’è alcun tabù, alcuna paura della sessualità. Si trattava di affermare che il prete è sposato esclusivamente, corpo e anima, con la Chiesa. E’ dedito interamente ad essa, come Cristo.
Come dimostra che il celibato sacerdotale sia sempre stato la norma nella Chiesa Cattolica?
Dal punto di vista storico, le cose sono molto chiare: nel 305, il Concilio di Elvira e, nel 390, il Concilio di Cartagine riprendono la legge “ricevuta dagli Apostoli” della continenza dei preti. Quando la Chiesa era appena uscita dall’era dei martiri, una delle prime cose su cui poneva l’attenzione era affermare che i vescovi, i preti e i diaconi dovessero astenersi dalle relazioni sessuali con le loro mogli. Se questa esigenza fosse stata un’innovazione, avrebbe certamente provocato una vasta protesta fra i sacerdoti che celebravano la Messa, dunque il rinnovo del sacrificio di Cristo per il mondo. Eppure è stata accolta serenamente. Già i cristiani avevano coscienza che un prete che celebra la Messa, dunque il rinnovo del sacrificio di Cristo per il mondo, deve egli stesso offrirsi completamente, corpo e anima. Non si appartiene più. E’ solo molto più tardi, a causa della corruzione dei testi, che l’Oriente evolverà nella sua disciplina, senza tuttavia mai recidere il legame fra il sacerdozio e l’astinenza.
Ma che fare in caso di penuria di sacerdoti?
Lei crede che l’ordinazione di uomini sposati risolva la crisi delle vocazioni? L’esperienza della mancanza di pastori nelle comunità protestanti, che consentono il matrimonio dei ministri del culto, prova esattamente il contrario. La crisi delle vocazioni è una crisi della fede! Laddove il Vangelo è annunciato e vissuto in tutta la sua esigenza, le vocazioni non mancano.
Molti, tuttavia, pensano che la “radicalità” dell’impegno che lei raccomanda non sia più sostenibile oggigiorno…
Molti? Non ne sarei così certo. Nei circoli mondani e superficiali, può essere. Con Papa Benedetto XVI, non abbiamo scritto questo libro per far piacere a quella piccola casta. Crediamo, al contrario, che siano la tiepidezza e la mediocrità a non essere più sostenibili. L’Occidente è sfiatato, è vecchio per tutte le sue rinunce e le sue dismissioni. Aspetta, probabilmente senza rendersene neppure conto, la gioventù, la freschezza e l’esigenza del Vangelo che è la santità. Aspetta dunque dei preti che siano radicalmente dei santi.
Cosa pensa della difficoltà di vivere il celibato?
Il celibato è una partecipazione alla croce di Cristo. Nessuno ha mai preteso che sia facile portarla. Ma è, prima di tutto, fonte di una gioia immensa. Chieda ai preti e ai seminaristi se sono tristi! No, sono felici di donarsi completamente!
Lei rifiuta lo spirito polemico. Cosa direbbe, allora, a quelli che vogliono interpretare la sua iniziativa come un’opposizione a Papa Francesco?
Noi abbiamo agito in uno spirito di amore per la Chiesa e per il Papa. L’ideologia divide, la verità unisce i cuori. Scrutare la dottrina della fede non può che unire la Chiesa attorno a Cristo e al Santo Padre.
*Le Figaro, Cardinal Robert Sarah: «Prêtres, soyez fiers de votre célibat!» 12-1-2020