Il caos islamico domina i resti della Libia
Scontri tribali, separatismi, lotta fra milizie. Il governo Zeidan non controlla più il territorio della Libia post-Gheddafi. Sono gli jihadisti che comandano realmente e stanno imponendo la sharia.
I terroristi islamici ordinano una maggiore aderenza delle leggi alla sharia e lo pseudo governo libico obbedisce. La legge coranica era stata definita già due anni or sono, a guerra contro Gheddafi ancora in corso, la “principale fonte del diritto” da parte degli allora ribelli del Consiglio Nazionale di Transizione ma ora rischia di regnare sovrana come nell’Afghanistan talebano. Il nuovo che avanza a Tripoli ha le caratteristiche del caos, delle lotte tribali e del trionfo dell’islam più barbaro mentre il governo di Alì Zeidan sembra sempre più succube di miliziani e terroristi. Mercoledì il gruppo jihadista Ansar al-Sharia in Libia (responsabile dell'assalto al consolato americano di Bengasi del 2012 in cui persero la vita l'ambasciatore Chris Stevens e 3 altri americani) aveva lanciato un appello affermando in un comunicato che “la sicurezza in Libia dipende dall'applicazione della legge islamica”. Il movimento salafita non riconosce le istituzioni dello Stato, inclusi i servizi di sicurezza, accusandoli di apostasia e di essere “forze malefiche” al servizio di tiranni, e pretende che la sharia diventi “unica fonte” di legislazione nel Paese e non solo la “fonte principale”.
Il messaggio in stile mafioso lanciato da Ansar al-Sharia è stato subito raccolto dalle autorità libiche che stanno valutando una revisione delle leggi per renderle “conformi alla Sharia”. Il documento varato ieri dal ministero della Giustizia parla chiaro e prevede la costituzione di una “commissione incaricata di rivedere le leggi vigenti e di proporre degli emendamenti” formata da sedici membri, nominati dal ministero della Giustizia, su proposta della Corte Suprema e del Gran Mufti, la più alta autorità religiosa libica e includerà anche docenti di Islam e di Corano delle Università libiche. Le leggi emendate “saranno immediatamente presentate al Congresso generale libico (il Parlamento) per l'approvazione”.
L’iniziativa rischia di influenzare pesantemente l’elaborazione della nuova Costituzione che potrebbe così assimilare la sharia con tutte le conseguenze del caso per il sistema politico, i diritti umani e lo status delle donne e delle minoranze. Anche sul piano della sicurezza il governo sembra ormai in mano agli islamisti. Dopo aver annunciato che da gennaio lo Stato non pagherà più stipendi alle milizie ma pretenderà che i miliziani si arruolino nelle forze armate e di polizia nazionali, il governo ha compiuto ieri un ulteriore passo verso il baratro congedando 900 fra ufficiali e soldati accusati di aver combattuto durante la rivoluzione del 2011 nei ranghi delle forze leali all'ex dittatore Muammar Gheddafi. La decisione è stata adottata dalla “Commissione per l'integrità e la riforma dell'esercito”, sulla base del conferimento ai militari coinvolti di un'onorificenza rilasciata dal regime in quanto feriti di guerra nel conflitto del 2011. Di fatto però gli ex soldati di Gheddafi sono gli unici ad avere un minimo di addestramento, disciplina e capacità operative mentre le milizie operano come vere e proprie bande di predoni, rispondono solo ai loro leader (per lo più salafiti) e spesso scatenano battaglie (anche a Tripoli) per il controllo di alcune aree o per regolamenti di conti.
Le milizie, teoricamente alle dipendenze dei ministeri di Interno e Difesa, gestiscono in realtà molti fiorenti traffici legati al contrabbando, al traffico di armi e di esseri umani imbarcati alla volta dell’Italia nei porti di Zuara e Misurata. In questo contesto, che ha visto negli ultimi giorni il blocco dell’export di petrolio e gas verso l’Italia e l’annuncio della separazione da Tripoli della Cirenaica e del Fezzan, miliziani e terroristi hanno buon gioco nell’assumere il controllo di ampie aree del Paese. Prigioniero delle milizie sul fronte interno, Zeidan cerca di mantenere un minimo di credibilità sul piano internazionale con annunci che hanno qualcosa di comico. A fine ottobre in una conferenza stampa annunciò il via libera a un piano concordato con l’Italia, un'iniziativa per il monitoraggio elettronico e aereo dei confini che «permetterà di ridurre il traffico illegale di esseri umani», ha spiegato il primo ministro. Sembrerebbe trattarsi della riesumazione degli accordi contenuti nel Trattato di amicizia italo-libica del 2008 che prevedevano un contratto da 300 milioni di euro per installare radar realizzati da Selex ES e Gem Elettronica lungo i confini libici. Zeidan non ha però spiegato come spera di controllare le lunghissime frontiere libiche quando non è in grado di controllare il territorio nazionale e neppure il centro di Tripoli.
Nel tentativo di sembrare un vero statista, il 10 novembre Zeidan ha messo in guardia dal rischio di un eventuale intervento di forze di occupazione straniere se l'anarchia dovesse continuare nel Paese. «La comunità internazionale non può più tollerare uno Stato del Mediterraneo che è fonte di violenze e terrorismo» ha detto Zeidan. Citando l'esempio iracheno il premier ha poi messo in guardia contro un eventuale intervento delle forze straniere di occupazione dimenticando però alcuni “dettagli” non proprio insignificanti. Innanzitutto che il caos in Libia lo ha portato proprio la comunità internazionale con la guerra contro Gheddafi di due anni or sono. Inoltre alla Casa Bianca siede Barack Obama, artefice di una massiccia operazione di destabilizzazione in tutto il Nord Africa e Medio Oriente. Infine in Europa come negli Stati Uniti nessuno sembra disposto a infognarsi con truppe e denaro in una campagna di stabilizzazione della Libia anche se non mancano indiscrezioni circa piani in fase di preparazione alla Nato.
Di certo dopo i disastrosi effetti della campagna militare occidentale contro Gheddafi i vicini della Libia sono pronti ad agire da soli per contrastare i gruppi qaedisti insediatisi in Cirenaica e Fezzan, Soprattutto l’Algeria, il cui governo è noto per il pugno di ferro adottato contro gli islamisti, non sembra avere remore a penetrare in Libia con forze militari per colpire i santuari di al Qaeda nel Maghreb Islamico. Secondo quanto riferito dalla stampa algerina centinaia di militari delle forze speciali appoggiati da jet da combattimento, elicotteri e carri armati hanno attaccato a inizio novembre una base jihadista nel Fezzan, a 200 chilometri dal sito petrolifero di in Amenas teatro nel gennaio scorso di un’incursione terroristica conclusasi in un bagno di sangue.
Algeri avrebbe cercato di coordinare l’azione col governo libico che però un mese or sono ha ritirato i poliziotti dai mille chilometri di frontiera con l’Algeria per concentrarli nelle città rimpiazzandoli con miliziani islamici vicini ai jihadisti. L’incursione algerina, tesa a prevenire nuovi attacchi terroristici sul territorio nazionale, avrebbe portato all’uccisione di un numero imprecisato di qaedisti mentre sono stati rinvenuti centinaia di missili antiaerei e anticarro, mortai, esplosivi, dozzine di mitragliatrici, centinaia di pistole mitragliatrici Skorpion, 500 kalashinkov, 150 lanciarazzi e ingenti quantitativi di munizioni provenienti dai depositi dell’esercito libico saccheggiati dopo la caduta di Gheddafi. Due anni or sono l’Unione africana ammonì l’Occidente prevedendo che la guerra contro Gheddafi avrebbe trasformato la Libia in un’altra Somalia. Purtroppo nessuno l’ascoltò.