Il canto della libertà che rompe il tabù sulla pedofilia
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Dopo un solo giorno di programmazione in Italia, The sound of freedom è già al secondo posto al botteghino. La Bussola ha visto la pellicola del momento e ha capito perché è osteggiata dallo snobismo mainstream: perché ha il merito di rompere tutti i tabù sulla pedofilia.
Cominciamo sgombrando il campo dalle leggende nere. In Sound of Freedom-Il canto della libertà non c’è un solo fotogramma che rimandi anche solo lontanamente al cospirazionismo alla Qanon, né al trumpismo MAGA di lotta coi poteri forti deviati e nemmeno ci sono riferimenti anche vaghi a quelle strane teorie sulle élite del mondo che governano attraverso una rete di pedofili vip drogati di adrenocromo. Anzi, quando il film è stato girato nel 2015 (e terminato nel 2018), il “Qanonismo” non era neanche nato.
Però un certo mainstream ben recepito anche dalla stampa, specializzata e non, ha deciso che bisogna denigrare o ignorare questo gioiello di cinema indipendente, che partendo da un budget di appena 15 milioni di dollari ne ha portati a casa oltre 180 al botteghino Usa e attualmente viaggia sui 250 milioni. In Italia, dove il film è distribuito dalla Dominus Production di Federica Picchi, si preannuncia un successo analogo se è vero che dopo la prima giornata di ieri il film era già secondo al botteghino.
In questa pellicola campione di incassi di Alejandro Monteverde e interpretata da Jim Caviezel che denuncia il traffico di bambini delle reti criminali pedofile del Centramerica c’è finalmente un obiettivo centrato: fare - e bene - film cristiano. Tutto in Sound of freedom è indice di grande qualità a cominciare dalle scelte del produttore Eduardo Verastegui, che non fa mistero della sua fede cattolica. Dalla fotografia alla colonna sonora dove convivono con grande naturalezza Mercedes Sosa e Shakira.
Dai dialoghi alla giusta suspense che colloca The sound of freedom tra il poliziesco e il thriller, anche se la scena dell’arresto dei pedofili nell’isola avrebbe meritato forse più tensione narrativa e meno fretta di passare alla scena successiva. Si piange, ma non c’è angoscia, piuttosto un velo costante di sgomento nel pensare che i fatti raccontati partono da una storia vera.
A proposito di minori sfruttate: nel film, una banda di trafficanti di bambini viene arrestata in un’isola di fronte a Cartagena dove sarebbe dovuta avvenire l’orgia dei ricconi. Qualcosa di molto – molto – simile all’isola di Epstein. Anche qui, nessun rimando alla realtà, ma che coincidenza. La trama è ormai nota. Ispirato alla vicenda reale di Tim Ballard, l’agente dell’Homeland security agency degli Stati Uniti impegnato nello sgominare il traffico di minori tra il Messico e gli Stati Uniti, il film racconta di Miguel e Rocio, due bambini honduregni rapiti da una organizzazione criminale con la scusa di un casting per un concorso di bellezza.
Non ci sono immagini scabrose, ma le attenzioni sessuali pedofile vengono rese con un pathos narrativo ed emotivo coinvolgente, nei silenzi e negli sguardi delle giovani vittime di questa tratta. È qui che si inserisce Ballard, che dopo aver arrestato un pedofilo per detenzione di materiale pedopornografico decide di andare fino in fondo e arrivare ai pesci grossi, cioè ai vertici di un’organizzazione criminale che tra Colombia, Honduras e Messico fornisce la “merce” per il mercato statunitense.
Nel 2013, Ballard e alcuni ex agenti governativi avevano lasciato il loro lavoro per fondare “Operation Underground Railroad” (O.U.R.), che lavora in tutto il mondo e in collaborazione con le forze dell'ordine per salvare i bambini dalla schiavitù e dallo sfruttamento. E il film racconta proprio di questa attività che Ballard mette in piedi dopo essersi dimesso e aver intrapreso una discesa negli abissi del sadismo pedofilo
Ecco il punto. Il film è un pugno nello stomaco perché mostra che la pedofilia non è solo una perversione di sadici e abusatori ognuno sganciato dall’altro, ma una rete tentacolare e un business con le sue regole, i suoi campionari, i suoi fornitori e i suoi utilizzatori finali. I quali – è una delle frasi più significative nel dialogo tra Ballard e il “vampiro”, un ex uomo del cartello dei narcos di Calì convertito alla causa antipedofilia – sanno che la merce dei minori è più remunerativa della cocaina, la quale dopo che è stata consumata svanisce. Il bambino abusato invece è un “investimento”: può essere ri-abusato e all’occorrenza venduto, persino alle Farc, come appunto accade per la piccola Rocio, che viene venduta ai guerriglieri comunisti finendo come oggetto di piacere di uno spietato e viscido comandante, stonato ed efferato anche quando canta El camino de la vida.
Finisce così nella foresta equatoriale colombiana e il viaggio avventuroso di Tim per salvarla è una vera e propria discesa negli inferi che mette in conto possa avere esiti fatali.
Lo snobismo culturale della stampa mainstream ha addirittura preso di mira una delle frasi del protagonista che giustifica così la sua missione: «I figli di Dio non sono in vendita». Questo è niente allora, sapessero che durante l’arresto di un pedofilo prima del classico «ti dichiaro in arresto» gli snocciola in faccia l’evangelica «macina al collo». Che detta da uno che è diventato famoso interpretando il Gesù di Mel Gibson fa un certo effetto. Jim Caviezel è capace di un’intensità interpretativa commovente e magnetica. Peccato per una certa staticità nei movimenti che lo rende a volte un po’ ingessato.
Chi rimarca le incongruenze della storia con la vita vera di Ballard sembra guardare il dito piuttosto che la luna. La luna è questa: nel mondo c’è un traffico che prospera e costringe alla schiavitù milioni di bambini e che si alimenta con la sessualizzazione precoce e l’insinuazione che i minori possano relazionarsi sessualmente con gli adulti. Negarlo significa voltarsi dall’altra parte e non accorgersi che l’ultima frontiera dell’abisso, il tabù più inaccettabile, la pedofilia, sta incominciando a farsi largo sempre più attivamente.
C’è una società che da un lato con l’aborto tratta i bambini come scarti, dall’altro li usa perché fanno guadagnare tantissimo, sono un business, come dimostrano i milioni di video e foto pedopornografici presenti su Internet. È solo il rovescio della medaglia. The Sound of Freedom ha avuto il merito di raccontare la faccia della medaglia rimasta nascosta per troppo tempo.