Il canto del cigno di una Chiesa prima criticata e ora ignorata
Ascolta la versione audio dell'articolo
Durante gli anni della contestazione la Chiesa era ferocemente criticata; ora, semplicemente, ignorata. Basta guardare il panorama musicale di ieri e quello di oggi. Eppure anche questo era stato previsto dal Vangelo...
La musica fa parte delle mie memorie infantili e puberali; tra queste musiche ce ne sono alcune molto particolari delle quali vorrei raccontare.
Una zia molto giovanile aveva in casa e mi faceva ascoltare alcuni dischi; quelli più consumati erano un LP degli Inti-Illimani (quelli de El pueblo unido) e l’opera rock Jesus Christ Superstar (1970), nel quale Jan Gillian (Deep Purple) prestava la voce a Gesù. Questo doppio LP divenne, nel 1971, un musical e, nel 1973, un film musicale diretto da Norman Jewison.
Anche in oratorio si ascoltavano gli Inti-Illimani, ma non solo. Parte della formazione era costituita dall’ascolto critico dei cantautori «impegnati» (e dal conseguente rigetto di altri come Baglioni o Battisti) tra i quali Fabrizio De André e Francesco Guccini.
Del primo, imprescindibile era il concept album (si diceva così) La buona novella (1970) ispirato ai vangeli gnostici. Il disco era, in quegli anni e in quell’ambiente, così coinvolgente che la canzone Ave Maria venne inserita tra i canti liturgici ed eseguita quasi ad ogni Messa.
Di Guccini era uscito, nel 1973, l’album dal vivo Opera buffa (ispirato allo spettacolo teatrale Mistero buffo di Dario Fo) che conteneva il brano La Genesi. Anche questo brano ebbe un successo clamoroso, al punto da essere rappresentato durante una festa dell’oratorio.
In quegli anni, però, girava anche un altro brano semplice semplice, il cui ritornello era insegnato ai bambini come le canzoncine dello Zecchino d’oro: si trattava del brano Genesi del cantante siciliano Tony Cucchiara, tratto dal suo musical intitolato Caino e Abele (1972).
Tutti questi brani avevano, all’epoca, una grandissima risonanza tra il pubblico «laico» e gli ambienti cattolici giovanili. Il confronto con la musica attuale è, ovviamente, impietoso: il livello è generalmente elevato, sia dal punto di vista musicale che testuale. De André, ad esempio, si è basato sui vangeli apocrifi, in particolare il Protovangelo di Giacomo e il Vangelo arabo dell’infanzia. L’approccio è – come si addice all’epoca – critico: il dubbio ha un grande spazio. Tuttavia (eccettuato, ovviamente, il dissacrante brano di Guccini) prevale il rispetto per il tema religioso.
Ma il punto è un altro. È evidente come, in quegli anni, il tema religioso e il cattolicesimo stesso fosse imprescindibile: la nuova cultura sessantottina, rockeggiante e giovanilistica sentiva il bisogno di confrontarsi con il Vangelo. Come ci poniamo, noi giovani (come si diceva all’ora) nei confronti di Gesù e del Vangelo? La questione era, allora, imprescindibile.
Ora, credo, molti sacerdoti darebbero una mano perché i loro giovani si ponessero la stessa domanda. Ma la cultura giovanile attuale (non solo la musica), semplicemente, se ne frega di Gesù e del Vangelo. La Chiesa, in quegli anni, era (ferocemente) criticata; ora, semplicemente, ignorata. Fino a pochi decenni fa si poteva ancora parlare di Essa come «pietra d’inciampo», impossibile da evitare; ora non se ne parla affatto. Chi avrebbe detto che la Chiesa di Cristo sarebbe diventata irrilevante?
Eppure anche questo era scritto nel Vangelo: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini» (Mt 5, 13).
Che Dio ci perdoni.