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IL LIBRO

Il cammino dell'uomo a Dio, nei sei giorni della creazione

Nel suo ultimo libro don Fabio RosinI insegna l’arte di ricominciare nella vita spirituale. Così l’esegesi dei sei giorni della creazione raccontati nel Genesi diventa un paradigma prezioso per il proprio discernimento interiore.

Creato 09_11_2018

“‘In principio Dio creò il cielo e la terra’ (Gen 1, 1). All’origine di tutto c’è un Altro. Le cose non iniziano da noi. La realtà non ci obbedisce. Noi entriamo sempre ‘in corsa’, a partita iniziata”. Sin dall’incipit della Sacra Scrittura, ma in particolare nel racconto dei sei giorni della creazione, è possibile individuare le tappe fondamentali di un preciso iter utile al proprio discernimento interiore.

Tale itinerario spirituale viene delineato con cura e premura pastorale nei suoi passaggi salienti nel recente volume L’arte di ricominciare (San Paolo, 2018) di don Fabio Rosini, Direttore del Servizio per le Vocazioni della Diocesi di Roma e ideatore del percorso i ‘Dieci Comandamenti’, o meglio delle ‘Dieci Parole’ come egli stesso ama definire i precetti divini, che consente di “introdurre i giovani al discernimento sulla Volontà di Dio, allo scopo di aiutarli a prendersi ‘la parte migliore’, intesa come la propria vocazione”. 

Ripercorrendo il racconto della creazione, Rosini individua le fasi principali di un percorso interiore da intendersi come “un’operazione di liberazione dal ‘falso sé’. Tutta la fatica, dalle prime evidenze alle priorità, passando per i limiti, distinguendo ispirazioni da suggestioni, e capitalizzando grazie e umiliazioni, è la fatica del viaggio verso se stessi sotto lo sguardo tenero di Dio, che ci vede così infedeli a quello che ci ha dato, così trasandati sulla nostra gloria”.

Nel suo commento esegetico al primo giorno della creazione, Rosini afferma in maniera apodittica che “tutti gli errori della nostra vita vengono almeno in piccola parte da questa cantonata: non aver rispettato le cose per come sono”. Obbedire alla realtà è dunque la prima evidenza, mentre la creazione della luce suggerisce che “tutto il tempo passato a non amare è notte”. La separazione delle acque del secondo giorno allude piuttosto alla necessità di imparare a riconoscere “quello che ci fa male da quello che ci fa bene”, selezionando opportunamente le proprie priorità, dando cioè il giusto peso ai doveri del proprio stato di figlio e studente, di marito e padre, di moglie e madre. Il terzo giorno della creazione offre il motivo per riflettere sul dono dei propri limiti, dal cui rifiuto scaturì il peccato originale. Al contrario, “i limiti per Gesù sono occasioni di relazione al Padre. Sono la sua occasione per essere figlio”. Egli “non li sfugge, ma li usa”.

Sull’esempio di Cristo “la fame è per chiedere a Lui il pane quotidiano, per sperimentare la sua provvidenza; le cose che non capiamo sono il momento dell’abbandono; la povertà è il luogo per disobbedire all’ansia e passare alla fiducia”. Le fonti di luce maggiore e minore create da Dio per governare rispettivamente il giorno e la notte durante il quarto giorno, ovvero il sole e le stelle, alludono alle ispirazioni dello Spirito Santo, che propongono alla libertà dell’uomo “un bene cui potersi aprire”, mentre invece le suggestioni, che si presentano sempre con i tratti di un’urgenza impellente, vengono dal maligno. Assolutizzando solo un aspetto della realtà le suggestioni arrecano ansie e preoccupazioni prima di dissolversi, mentre le ispirazioni “appaiono luminose anche il giorno dopo, perché hanno in sé un briciolo d’eternità”.

Di qui le parole di benedizione del Creatore: “Siate fecondi e moltiplicatevi!” (Gen 1, 22) pronunciate nel quinto giorno della creazione rimandano all’esigenza di imparare a “rinvenire, accogliere e assecondare la benedizione di Dio nella nostra esistenza”, poiché “ci è consegnata la vita benedetta”. Custodire la propria esistenza equivale in effetti a essere fedeli alla propria realtà, evitando “tutti i sistemi idolatrici, di aspettative, di proiezioni su oggetti o progetti, che sono in fondo disgusto di sé”. Perciò “se uno vuole un’altra cosa che la propria esistenza, smette di benedire ciò che ha e ciò che è”.

Nel sesto giorno della creazione la terra chiamata a produrre esseri viventi (cf. Gen 1, 24) evoca la necessità di morire all’amor proprio per portare molto frutto. Anche il tempo della prova può dunque essere valorizzato, come le umiliazioni ricevute, non solo quelle che subiamo a causa del nostro orgoglio, ma ancor più quelle che sembrano accadere ingiustamente. Tali umiliazioni sono molto preziose perché “consentono di vedere la potenza di Dio che crea dal nulla”, proprio nella misura in cui “ci crocifiggono, ci danno occasione per consegnarci nelle mani di Dio e fargli compiere la sua opera”. “Fare memoria delle proprie umiliazioni” è particolarmente utile poiché consente di “ricordare tutte le volte che la vita ci ha rimesso al nostro posto”.

Il sesto giorno è anche quello della creazione dell’uomo che, nella relazione maschio-femmina, rivela la propria natura sponsale. Da qui ne deriva che “possiamo unirci alla cose, possiamo donarci nelle cose che facciamo”, nella consapevolezza che “ogni atto umano o è aperto all’amore, alla comunione, o è un inganno”. Infatti “solo l’amore spiega la nostra esistenza, io sono io nell’amore. L’amore è il punto di arrivo del mio percorso umano, solo l’amore mi identifica, solamente quando amo giro a tutta velocità, quando servo fiorisco”.

Se questa è la natura dell’uomo, allora a orientare il discernimento interiore non può essere la domanda “Ci sono?”, bensì quella “Per chi sono?”, alla quale si può rispondere adeguatamente soltanto avendo di mira “la vita altrui: che qualcuno esista a causa tua, che qualcuno cresca a causa tua, che qualcuno sia felice a causa tua”.