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LA VISITA DI FRANCESCO

Il calo demografico e chi vive meglio con cani e gatti

L'incontro del Papa con giovani e sacerdoti: «E’ più facile convivere con un gatto o con un cane che con i figli. Perché io mi assicuro l’amore programmato, perché non sono liberi, io li allevo fino a un certo punto, c’è un rapporto, mi sento accompagnato o accompagnata con il gatto, con il cane, e non con i figli».

Ecclesia 28_05_2017

La visita pastorale di Papa Francesco a Genova, conclusasi ieri sera alle 19, 30 con l'atterraggio a Ciampino, ha avuto un programma intenso. Oltre all'importante incontro con il mondo del lavoro presso gli stabilimenti dell'Ilva, Francesco ha vissuto altri due momenti, uno nella cattedrale di San Lorenzo con i vescovi, il clero, i seminaristi e i religiosi della Liguria, e l'altro al santuario della Madonna della Guardia con i giovani della missione diocesana. Nel pomeriggio, dopo il pranzo con i poveri, il Papa è andato all'Ospedale pediatrico Gianna Gaslini, infine ha celebrato la Santa Messa nel piazzale Kennedy.

L'INCONTRO CON VESCOVI, CLERO E RELIGIOSI

Quattro le domande rivolte al pontefice, la prima, posta da un vice-parroco, chiedeva una parola del Papa sui criteri per vivere un’intensa vita spirituale nel ministero.

Occorre seguire «lo stile di Gesù», risponde papa Bergoglio, cioè «vicinanza alla gente, vicinanza ai problemi. (...) Poi, alla sera, tante volte si nascondeva per pregare, per stare con il Padre.» Quindi si deve stare «in strada e in preghiera», non essere preti «statici», ossia preti che hanno «tutto ben risolto, tutto in ordine, strutturato». E anche nella preghiera bisogna sapere essere aperti alle novità dello Spirito. «Non bisogna aver paura di questa tensione che ci tocca vivere: noi siamo in strada».

In conclusione Francesco ha detto che bisogna che il cuore sappia legarsi ai rapporti essenziali: «Con il Padre, con Dio, con Gesù e con le persone. Questa è un po’ la risposta sui criteri che voglio darvi. “Ma, Padre, Lei non è moderno… Questi criteri sono antichi…”. Così è la vita, figlio! Sono i vecchi criteri della Chiesa che sono moderni, ultramoderni!».

Un parrocco di 81 anni ha rivolto la seconda domanda. Come vivere la fraternità sacerdotale? E' un lavoro, ha risposto il Papa, «di tutti i giorni». In particolare il sacerdote non deve isolarsi, finendo per essere un «prete google o wikipedia», cioè uno che sa tutto lui e non ha bisogno degli altri. «E’ una vera ascesi, quella della fraternità sacerdotale! La fraternità. Ascoltarsi, pregare insieme…; e poi un buon pranzetto insieme, fare festa insieme… per i preti giovani, una partita di calcio insieme… Questo fa bene! Fa bene. Fratelli. La fraternità, tanto umana. Fare con i preti del presbiterio quello che facevo con i miei fratelli: questo è il segreto. Ma c’è l’egoismo; dobbiamo recuperare il senso della fraternità».  Il contrario della fraternità è una certa invidia e gelosia, per cui «si vende il fratello. Per andare su io. Si “spella” il fratello. Pensate, fate un esame di coscienza, su questo. Vi chiedo: quante volte ho parlato bene, ho ascoltato bene, in una riunione, fratelli sacerdoti che la pensano diversamente o che non mi piacciono? Quante volte, appena hanno incominciato a parlare, ho chiuso le orecchie? E quante volte li ho criticati, “spiumati”, “spellati” di nascosto? Il nemico grande contro la fratellanza sacerdotale è questo: la mormorazione per invidia, per gelosia o perché non mi va bene, o perché la pensa in un’altra maniera.» 

«Un bravo arcivescovo vostro, il cardinale Canestri, diceva che “la Chiesa è come un fiume, l’importante è essere dentro al fiume”, ma essere a destra o a sinistra del fiume è una varietà lecita, l’importante è essere dentro il fiume. E tante volte noi vogliamo che il fiume diventi piccolo e solo dalla nostra parte, e condanniamo gli altri, e questo non è fratellanza. Tutti dentro il fiume.».

Sono seguite due domande posta da una religiosa e da un religioso, su temi riguardanti la fedeltà ai carismi e il problema vocazionale. «C’è un problema demografico: il calo demografico in Italia. Noi siamo sotto zero, e se non ci sono ragazzi e ragazze, non ci saranno vocazioni. Era più facile in tempi di famiglie più numerose avere vocazioni. C’è un calo che è anche conseguenza del calo demografico. Non è l’unica ragione, ma questa dobbiamo averla presente. E’ più facile convivere con un gatto o con un cane che con i figli. Perché io mi assicuro l’amore programmato, perché non sono liberi, io li allevo fino a un certo punto, c’è un rapporto, mi sento accompagnato o accompagnata con il gatto, con il cane, e non con i figli. Uno dei miei assistenti, che ne ha tre [figli] mi dice così [ride].

Si, è vero. In ogni epoca, dobbiamo vedere le cose che succedono come un passaggio del Signore: oggi il Signore passa tra noi e ci pone questa domanda: “Cosa succede?”. Cosa succede? Il calo è vero. Ma io mi faccio un’altra domanda: che cosa ci dice o ci sta chiedendo il Signore, adesso? La crisi vocazionale è una crisi che tocca tutta la Chiesa, tutte le vocazioni: sacerdotali, religiose, laicali, matrimoniali… Pensa alla vocazione al matrimonio, che è tanto bella. Non si sposano, i giovani; convivono, preferiscono quello. E’ una crisi trasversale, e dobbiamo a pensare le cose così. E’ una crisi che tocca tutti, anche la vocazione matrimoniale. Una crisi trasversale».

L'INCONTRO CON  I GIOVANI

«L’esperienza missionaria ci apre gli occhi e il cuore: imparare a guardare anche con il cuore», ha detto il Papa ai giovani della missione diocesana. Per evitare di essere «turisti della vita», come quelli che «fanno fotografie di tutto, quando vengono per turismo, e non guardano nulla. Non sanno guardare… e poi guardano le fotografie a casa! Ma una cosa è guardare la realtà, e un’altra è guardare la fotografia. E se la nostra vita è da turista, noi guarderemo soltanto le fotografie o le cose che pensiamo della realtà. E’ una tentazione, per i giovani, essere turisti. Non dico fare una passeggiata di qua e di là, no, questo è bello! Intendo guardare la vita con occhi da turista, cioè superficialmente, e fare fotografie per guardarle più avanti. Questo vuol dire che io non tocco la realtà, non guardo le cose che succedono. Non guardo le cose come sono».

«Voi», ha detto rivolgendosi ai tanti giovani presenti, «non volete risposte prefatte, ma concrete e personali, non come questi abiti pret-à-porter, non volete risposte pret-à-porter. Sentire l’invito di Gesù che sempre è una gioia piena, e questa gioia piena nessuno potrà togliervela. Gioia, che non è lo stesso di divertirsi. La gioia non è superficiale, quella che nasce dal cuore».

«È Gesù che ti spinge alla missione, è Gesù che lavora nel tuo cuore e cambia il tuo sguardo. Dobbiamo vivere in missione e questo suppone che io ascolto quello che mi invia in missione, guardando e sentendo le cose in un’altra maniera». 

«Amare», ha spiegato Francesco, «è la capacità di toccare la mano sporca e guardare gli occhi di chi vive situazioni di degrado e dire: tu sei Gesù. E perché devo amare questa gente? Ci vuole una certezza, che dietro a ognuno c’è un’immagine di Dio che è stata maltrattata. C’è una storia di dolore, di ferite che non possiamo ignorare. Questa è la pazzia della fede, la pazzia della croce, la pazzia dell’annuncio del Vangelo: c’è lì Gesù e questo significa imparare a guardare con gli occhi di Gesù».

Poi li ha invitati a sfidare il presente, perchè una «vita spirituale sana genera giovani svegli», capaci di andare controcorrente.  Ci vuole il coraggio di domandarsi: «È normale che davanti al dolore degli altri il nostro atteggiamento sia chiudere le porte? Se non è normale, coinvolgiti. E se non hai il coraggio di coinvolgerti stai zitto e abbassa la testa e umiliati davanti al Signore, chiedi coraggio. Sfidare il presente è avere il coraggio di dire: “Ci sono cose che sembrano normali ma non sono normali”. E voi, questo dovete pensare: non sono cose volute da Dio e non dovranno essere volute da noi! E questo dirlo con forza! Questo è Gesù: intempestivo, che rompe i nostri sistemi, i nostri progetti. È Gesù che semina nei nostri cuori l’inquietudine di farci questa domanda. E questo è bello: questo è molto bello!».