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CONTINENTE NERO

Il Califfato si consolida. Anche in Nigeria

Ben lontano dall'Iraq, in piena Africa occidentale, si sta consolidando un altro Califfato. È quello proclamato da Boko Haram in Nigeria. Controlla già province rurali e città con centinaia di migliaia di abitanti, ai quali ha imposto la sharia. E nel territorio che non ha sottomesso, continua a condurre attentati.

Esteri 08_11_2014
Shekau legge un proclama di Boko Haram

16 vittime per l’esplosione di una bomba in una banca ad Azare, nello stato di Bauchi, il 7 novembre, una strage di civili, almeno 21, a Malam Fatori, il 6 novembre, altri cinque, tra cui un imam, uccisi poche ore prima; una stazione di polizia attaccata e la sede di un partito distrutta a Nafada, nello stato di Gombe, il 5 novembre, 20 morti in seguito a un attacco suicida contro una processione sciita a Potiskum, nello Yobe, il 3 novembre, 4 morti e 32 feriti per una esplosione in una stazione di autobus in un’ora di punta a Gombe; e, il 31 ottobre, migliaia di civili in fuga, incalzati dai jihadisti che il 29 ottobre hanno conquistato Mubi, la seconda città dello stato di Adamawa.

Sono queste le ultime, drammatiche notizie dal Califfato: non però quello di al Baghdadi, l’Isis, bensì quello di Boko Haram, fondato in Nigeria lo scorso 24 agosto.

All’epoca il gruppo islamista controllava già ampi territori e alcune grandi città del nord est del paese. Da allora ha esteso ulteriormente la propria influenza. Secondo il quotidiano nigeriano Daily Trust, nel Borno, nello Yobe e nell’Adamawa, i tre stati nordorientali a maggioranza islamica in cui Boko Haram è nato e si è consolidato, il califfato ormai controlla 26 città e si estende su un territorio di oltre 20.000 chilometri quadrati: per meglio capire, una superficie pari a quella del Galles.

Mubi è la dodicesima grande città a cadere nelle mani di Boko Haram e, con 300.000 abitanti, è anche la più popolosa. Da giorni sui suoi edifici pubblici sventola la nera bandiera dei terroristi che il 5 novembre hanno annunciato di averne cambiato il nome. D’ora in poi si chiamerà Madinatul Islam, che vuol dire “la città dell’islam”. Due giorni prima, il 3 novembre, era stata ufficialmente instaurata la shari’a. Il primo provvedimento, sotto il nuovo regime, è stata la condanna di dieci persone sorprese a rubare, alle quali è stata amputata una mano.

Ma – assicurano i jihadisti – chi rispettarà la shari’a non avrà nulla da temere e anzi vivrà meglio e più al sicuro che nel resto del paese: sarà protetto, libero di esercitare la propria attività e di circolare, senza coprifuoco o altre limitazioni. Ai commercianti in particolare le nuove autorità hanno chiesto di riaprire i negozi, garantendo loro sicurezza nei mercati e il giusto pagamento delle merci... ma – hanno ammonito – se non torneranno a lavorare entro il tempo stabilito, i loro negozi verranno distrutti.

Sono trascorse tre settimane da quando, il 18 ottobre, il comandante in capo delle forze armate nigeriane, maresciallo Alex Badeh, ha annunciato un accordo di cessate-il-fuoco, deciso dopo alcuni incontri tra delegati governativi e portavoce di Boko Haram svoltisi a settembre con la mediazione del vicino Camerun. L’accordo – aveva assicurato il maresciallo Badeh – includeva il rilascio delle studentesse rapite ad aprile: forse una sorta di scambio di prigionieri, aveva detto.

Nei giorni successivi gli attentati e gli attacchi erano però continuati. Poche ore dopo l’annuncio del cessate-il fuoco, erano state colpite due chiese gremite di gente nello stato di Taraba, con un bilancio di morti elevato: 29 fedeli e due pastori.

Il tentativo del governo nigeriano di rassicurare la popolazione e la comunità internazionale sulla effettiva entrata in vigore della tregua e sull’imminente rilascio delle studentesse rapite – correva voce che ci fosse già una lista dei Boko Haram prigionieri che sarebbero stati scambiati con le studentesse – ha subito un duro colpo alla notizia, trapelata il 27 ottobre, del rapimento da parte dei jihadisti di 30 tra ragazze e ragazzi, alcuni di soli 11 anni, avvenuto nel villaggio di Mafa, a poche decine di chilometri dalla capitale del Borno, Maiduguri.

Infine il 31 ottobre tutte le speranze e le illusioni sono cadute. Quel che si temeva, e ormai tutti sospettavano, si è rivelato vero. In un video diffuso da Boko Haram, Abubakar Shekau, il leader del gruppo, ha accusato il governo nigeriano di aver mentito, ha detto di non aver sottoscritto nessun accordo e ha escluso l’eventualità di futuri negoziati. Inoltre ha spiegato che le 219 studentesse cristiane ancora prigioniere si sono ormai convertite all’islam e si sono sposate.

Il 27 ottobre il direttore delle comunicazioni sociali della diocesi di Maiduguri, don Gideon Obasogie, ha fatto il punto della situazione per quel che riguarda il territorio diocesano. Nelle ultime settimane 14 parrocchie sono state saccheggiate, 20 sacerdoti sono stati costretti a fuggire sotto la minaccia dei terroristi. «Stiamo subendo una gravissima persecuzione – ha dichiarato al quotidiano nigeriano Daily Post – la nostra circoscrizione ecclesiastica si è in pratica disintegrata». In precedenza, all’agenzia Fides aveva detto che, in soli due mesi, Boko Haram ha dato alla fiamme e distrutto 185 chiese. Ma la preoccupazione maggiore va agli oltre 190mila sfollati in condizioni disperate. Quelli che man mano riescono a raggiungere Maiduguri raccontano storie terribili. Molti sono sopravvissuti per giorni mangiando erba e insetti. Un gruppo giunto stremato in città ha perso 80 bambini, ammalatisi mentre le famiglie si nascondevano nella boscaglia, morti per mancanza di cure, cibo e riparo.

Il 2 ottobre il vescovo di Maiduguri, Monsignor Oliver Dashe Doeme, in un’intervista all’agenzia di stampa MISNA ha detto: “l’avanzata di Boko Haram è favorita da interessi egoistici e dalla corruzione, un problema evidente, se si considera la sproporzione tra le spese previste e l’equipaggiamento del tutto inadeguato dei soldati al fronte”. Gli sfollati assistiti a Maiduguri sono 40.000, i cattolici un migliaio: “la Chiesa – assicura Monsignor Doeme – assiste tutti, indipendentemente dalla fede”.