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LA VITA E' SEMPLICE

Il breve istante di una vita

Clara, nonostante l'annunciata Trisomia 21, ha scelto far nascere Francesco, che  ha portato luce ad un'intera comunità.

Multimedia 10_03_2012
Paola Bonzi

A volte mi capita, come dopo un’assenza, di essere la prima a meravigliarmi delle storie del nostro Centro di Aiuto alla Vita.
Mi meraviglio perché la più sfrenata fantasia non sarebbe in grado di inventarle così variegate e inattese.

Una di queste storie particolari è stata quella con Clara, giovane donna dell’America Latina:
«Buongiorno - mi sento dire - posso entrare?»
Quando non sto facendo colloqui, tengo la porta aperta per poter essere immediatamente reperibile e partecipare virtualmente al lavoro di segreteria che è sempre molteplice e di vario tipo.
«Si accomodi, è come se stessi aspettando una persona speciale.» Rispondo felice che qualcuno fosse arrivato.
Fatte le debite presentazioni e saputo che si chiamava Clara, ci sediamo una di fronte all’altra pronte a stabilire una relazione importante.

Mi capita di affermare che ogni giorno ricevo un regalo con tanto di carta colorata e di fiocco e, Clara, fu davvero una conoscenza paragonabile al dono.
«Vengo da un altro ospedale, sono incinta al quarto mese e, poiché ho trentacinque anni, mi hanno prescritto un esame diagnostico, l’amniocentesi, da cui risulta che il mio bambino ha gravi malformazioni e mi hanno detto che devo abortire».
Mi comunica tutto ciò in un fiato; il suo viso è contratto e la sua preoccupazione si ‘taglia a fette’.

«Possiamo, Clara, iniziare il racconto della sua vita dall’inizio? Forse così sarà più facile intenderci.»
“Vengo dal Salvador e ho già tre figli; sono rimasta vedova essendo mio marito morto in un incidente e ho poi incontrato un uomo che sembrava volermi bene, tanto da desiderare di avere un figlio anche da lui. Quando ho saputo della gravidanza sono stata contenta e ho iniziato ad attendere questa nascita cercando un nome che ho sentito portare da tanti bambini italiani, Francesco.»

«Mi sembra davvero che abbia scelto bene, è un nome che amo anch’io perché mi piace molto questo santo e poi è anche il nome del mio nipotino.»
“Vero, ma ascolti il seguito della storia!
Tutto è cominciato qualche giorno fa quando, saputa la mia età, mi hanno fatto questo benedetto esame; io ero tranquilla e la mia fede, sa, appartengo a una comunità valdese in cui viviamo una fraternità molto importante, mi permetteva di vivere anche questo momento serenamente.
Quando ho ritirato l’esito, senza troppi complimenti, mi hanno detto:
«Purtroppo la diagnosi è infausta: "il feto è affetto da una malattia che causa gravi malformazioni, una malattia dei cromosomi, la ‘trisomia 18’. Dovrà abortire, signora!"
Sentivo il cuore battere forte ma riuscii a rispondere che volevo pensarci. Ed eccomi qui, mi aiuti a riflettere, ho sentito parlare bene di voi.»

Sulle mie spalle, che a volte mi chiedo perché mi fanno così male, era caduto l’ennesimo fardello pesante, che cosa potevo mai dire a Clara?
Respiro profondo e poi:
«È vero, purtroppo, che si tratta di una malattia grave. Se questi piccoli arrivano alla luce, presentano una malformazione cerebrale e non sono nemmeno belli da guardare. Penso, però, che lasciare che la vita faccia il suo corso, sia una cosa fondamentale per il futuro della madre che non avrà agito negativamente contro il suo bambino, fatto che compromette la serenità e, anzi, crea grossi sensi di colpa per aver soppresso il proprio figlio.»

«Mi apre il cuore – riprende Clara sollevata – sono molto d’accordo con lei, ma mi hanno fatto una pressione così grande che non capivo più niente.»
«Ci vedremo presto, Clara, vero? Vorrei che parlasse anche con un altro medico.»
Clara accettò volentieri e, da quella volta, ci siamo incontrate spesso.
Consultammo altri medici, ma nulla cambiava. Anche se in modo più attento e accogliente, la diagnosi veniva confermata e il consiglio di interrompere la gravidanza ne era sempre la conclusione.
«Voglio farlo nascere il mio bambino, voglio vederlo per poterlo ricordare.»

La gravidanza è così andata avanti settimana dopo settimana; sembrava che tutto si svolgesse normalmente…
Un giorno Clara iniziò ad avvertire i primi segnali del parto come se questo fosse imminente e, infatti, Francesco nacque prematuro.
Mancavano sei settimane alla data corretta; ci fu, dunque, il tempo dell’incubatrice ma alla fine, raggiunto il peso considerato normale, venne dimesso ed entrò a pieno titolo nella sua famiglia e nella sua casa.
Francesco era un bel bambino; i suoi occhioni blu sembravano dire grazie alla sua mamma che aveva accettato, con amore, di farlo nascere.
Tutti sapevamo come stessero le cose ma, apparentemente, veniva quasi da pensare che qualcuno si fosse sbagliato.

Clara aveva un latte nutriente e il suo bambino si alimentava bene e guadagnava in peso.
Attorno a Clara si avvicendavano alcuni dei nostri operatori e incontrarla era una gioia per tutti.
Anche le persone della sua comunità non la lasciavano sola; si preoccupavano di lei e del bambino veramente in modo fraterno.

Fu così che con grande affetto, organizzarono il Battesimo che resterà un momento indimenticabile
; tra il rito, i canti, le preghiere della comunità, Francesco entrò a far parte della grande famiglia cristiana dove, anche con modalità diverse, riconosciamo in Gesù il nostro Fratello maggiore.

Si avvicinava il compleanno di Francesco e il suo aspetto migliorava di giorno in giorno.

Raffaella, una delle operatrici del CAV, che era stata sempre molto vicina a Clara, conosceva  la data, ormai prossima, del compleanno; telefonò così a questa madre coraggiosa dicendole:
«Che cosa ti piacerebbe per Francesco?»
«Veramente non manca nulla ma lui cresce e, forse un paio di ‘body’ potrebbero essere utili.»
Raffaella acquistò due piccoli body azzurri e ne fece un pacchettino.
«Clara verrei dopodomani a portarti ciò che mi hai chiesto per il tuo bambino e faremo due chiacchiere stando a coccolarcelo.»

Franceschino morì quel giorno e la comunità valdese, questa volta, si occupò di un’altra nascita, quella all’eternità dove gli anni non si compiono e la festa continua.
Raffaella si unì a tutti loro. Anche oggi dice che non era andata a un funerale ma a un incontro gioioso.
C’erano i familiari e gli amici e tutti cantavano, in spagnolo naturalmente.
«Io non conosco lo spagnolo – ripete quando racconta – ma cantavo anch’io in quella lingua a me sconosciuta.»

Francesco se n’è andato ma il cuore di Clara è ricolmo di riconoscenza per gli amici che le sono stati vicini e di pace per essere stata in grado di aprire le braccia all’Amore.