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Il bergoglismo sbuca dal Papa nascosto di Sorrentino

Appena 30 minuti in scena, ma Papa Francesco II, protagonista del I episodio di The New Pope di Sorrentino, emerge per pauperismo, migrazionismo, modi spicci fatti di purghe e per una mediatizzazione ostentata dove la povertà diventa obbligo e «lussuria». Troppi indizi per non identificarvi una caricatura del bergoglismo come narrazione. Curioso che nessuno se ne sia accorto. 

Cinema e tv 12_01_2020

Nessuno se n’è accorto, chissà perché. Eppure, la nuova serie di Paolo Sorrentino The New Pope che venerdì è andata in onda con i primi due episodi per Sky Atlantic, qualche cosa di vicino alla realtà lo rappresenta. Non sono i due papi che nelle prossime puntate giganteggeranno sulla scena (Jude Law e John Malkovic) e che in questo esordio sono appena accennati, il primo, ancora in coma, come una presenza quasi taumaturgica e il secondo in abiti ancora borghesi pronto a diventare il successore di Pietro.

Ma è un Papa di passaggio che dura appena mezz’ora, troppo poco perché i recensori ne diano conto, ma abbastanza per scorgervi nella seconda mezz’ora della prima puntata, i tratti non tanto di un pontefice in carne ed ossa, quanto semmai, la narrazione e lo stile di un pontificato che conosciamo molto bene: l’attuale.

Sorrentino ovviamente nelle interviste ha negato che l’elezione di Francesco II sia ispirata alla figura di Papa Bergoglio, ma se si mettono in fila le mosse del già cardinale confessore di curia Tommaso Viglietti (interpretato da Marcello Romolo), inaspettatamente eletto Papa, a nessuno sfuggirà che vengono presentati in forma di caricatura, portata al parossismo e quasi alla macchietta, tanti aspetti di questo pontificato che hanno fatto scrivere pagine e pagine di giornali e libri in questi sette anni.

A cominciare dal giorno dell'elezione e dalla scelta del nome: Francesco II che saluta dalla loggia delle benedizioni con fare informale, imbarazzato e quasi inadeguato con un abbozzato buongiorno che non può non richiamare il celebre buonasera con cui il Papa “dalla fine del mondo” si presentò per la prima volta in Piazza San Pietro.

Poi, non appena capisce di avere il potere, smette di farsi telecomandare dal Segretario di Stato, il cardinale Voiello (uno straordinario e monumentale Silvio Orlando) e inizia ad agire. Come? Presentando, anzi ostentando un cristianesimo pauperista grossolano. Viglietti/Francesco II si concentra unicamente sui migranti, sui rifugiati e dice che «d’ora in avanti le porte del Vaticano saranno aperte solo per loro». 

Il popolo applaude, ma è un popolo distante che sembra seguire a macchinetta la narrazione. Inizia così, tra lo sconcerto di tutti i cardinali, un inaspettato pontificato che li mette in discussione e li manda in crisi. «Cos’altro possiamo fare? Possiamo dare la nostra ricchezza ai poveri», insiste. E i cardinali sono costretti a consegnare anello e croce pettorale per ricevere in cambio da un’equipe di francescani in saio, una croce di legno, anonima quanto … povera.

Francesco II si presenta come Papa che «attua il vero programma di San Francesco» (questa l'abbiamo già sentita), e mentre centinaia di migranti si mettono in marcia per il Vaticano e iniziano a mangiare nelle mense di solito adibite ai cardinali, si mostra capriccioso (vuole a tutti i costi ordinare una colomba pasquale fuori stagione) e stizzoso («altrimenti mi adombro» suole ripetere).

I francescani diventano così la sua guardia di pretoriani, che di notte “hackera” i conti correnti dei cardinali per sostituire le password e impossessarsi del caveau (da teatro dell’assurdo la scena in cui annunciano di aver compiuto la missione al papa che dorme per terra e gongola pensando a come «piangeranno» domani).

Il tutto per un programma di pontificato dove Cristo e la fede sono completamente assenti, fatto di purghe e spoil system impietosi, cinismo e che diventa «una lussuriosa manifestazione di povertà». Imposta con la forza.

E di mediatizzazione. I poveri e i migranti? «E’ stata una mossa brillante, un trionfo mediatico per la stampa di Sinistra. Il tempo dei privilegi è terminato», dice lui a un povero Voiello al quale annuncia l’immediata sostituzione e decadenza dal rango cardinalizio e che gli fa notare che la stampa di Sinistra ormai ha perso appeal anche nelle case di riposo.

«Io sono il Papa e non ho bisogno di collaboratori, mi servono esecutori per mettere uno iato tra me e la curia», minaccia facendo intendere di conoscere i segreti di tutti, avendo esercitato la “professione” di confessore della curia. Si fa fotografare mentre balla con un migrante, mentre abbraccia un’africana ospitata nei giardini vaticani. Insomma: ostenta con ossessione il mantra del poverismo e del migrazionismo. Prima di uscire di scena in modo imprevisto.

Ogni riferimento a persone e fatti è puramente casuale, si dice in questi casi. Ma l’impressione è che con queste pennellate davvero efficaci (la scena della preghiera personale dei cardinali sul «Papa che vorrei» è un capolavoro di introspezione e fa comprendere anche l’umanità, l’umiltà e le piccole miserie degli uomini chiamati a reggere la Chiesa di Cristo), Sorrentino abbia voluto rappresentare in forma macchiettistica e – ribadiamo – sotto forma di storture e licenze poetiche, tante forzature mediatiche del cosiddetto “bergoglismo” che rischia di essere un’idea di pontificato, tutta ostaggio di media e narrazioni ad hoc, dove la povertà e l’immigrazionismo sono diventati il punto centrale dell’azione. Curioso che nessuno tra i recensori l’abbia notato, impegnato com'era a fustigare le scene - improprie e un po' blasfeme - delle suore che ballano con i tacchi a spillo.