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LUTTO

«Il bene è la scelta difficile»

E' morta la scrittrice e poetessa cattolica Elena Bono, che così diceva di sé: «In tutta la mia opera, ho raccontato la Passione di Cristo che si rinnova nella storia, dei singoli e dei popoli». Invitava specialmente i giovani a riflettere: “Il problema è quello della scelta. Il bene è la scelta difficile”.

Cultura 28_02_2014
Elena Bono

Il 26 febbraio è morta a Lavagna Elena Bono, la più grande scrittrice e poetessa italiana della seconda metà del XX secolo. Emarginata dall'editoria per la sua fede cattolica, era stata intervistata da La Nuova BQ giusto un mese fa (clicca qui). Ora vi proponiamo la testimonianza di chi le è vissuto accanto per molti anni, fino alla morte, prima come semplice amica poi come press agent.

Ho conosciuto Elena Bono negli anni ’90, quando scrivevo come cronista nella redazione genovese de “Il Giornale” e fui incaricata di intervistarla. Il primo incontro – per la verità per me folgorante - fu solo telefonico, ma ne seguirono molti altri, di persona, e con gli anni il nostro rapporto crebbe e si trasformò via via in un vero e proprio sodalizio umano e professionale.

Elena Bono, nata a Sonnino nel 1921, ha vissuto a Chiavari fin dalla sua adolescenza, dove il padre, Francesco Bono, illustre grecista e latinista, era preside del Liceo Classico. Fu durante il periodo di sfollamento della famiglia a Bertigaro, nell’entroterra ligure, che Elena incontrò colui che nel 1959 sarebbe diventato suo marito, Gian Maria Mazzini, discendente di Giuseppe Mazzini,  morto nel 2009. E fu proprio quel periodo che segnò profondamente la vita e l’intera opera letteraria di Elena Bono, che decise di diventare staffetta partigiana operando nella sesta zona operativa, sotto il comando di Aldo Gastaldi “Bisagno” (Medaglia d’Oro al valor militare).

Dopo l’8 Settembre ‘43 ella comprese l’importanza e l’urgenza di fare la sua scelta, di assumersi la sua parte di responsabilità nella storia che stava vivendo, scegliendo di lottare per la libertà. “O libertà o schiavitù”, ripeteva spesso ricordando quei momenti cruciali, e invitando specialmente i giovani a riflettere: “Il problema è quello della scelta. Il bene è la scelta difficile”.

Impossibilitata a scrivere per i postumi di un ictus e a seguito di una progressiva perdita della vista, per molti anni ancora Elena Bono ha continuato a creare nuove opere, fino a due anni prima di morire, dettando tutto a delle sue collaboratrici. Mai si lamentava della sua malattia, persino dopo che era costretta sempre a letto. “Durante il giorno – diceva – o prego o ripasso” – segno che la sua mente era sempre al lavoro, sempre presente e partecipe delle vicende del tempo, che seguiva attraverso la radio e la televisione, ma soprattutto con l’intelligenza della fede. La incontravo ormai da molti anni ogni settimana e per me era sempre un evento quasi celebrativo, mai scontato o ripetitivo, consapevole come ero di avere avuto il “privilegio”, e la responsabilità, di trovarmi di fronte ad una persona di raro talento letterario e di straordinaria cultura; soprattutto una donna che, fino all’ultimo, ha lottato per testimoniare il valore e la dignità della vita anche nel letto della malattia e della vecchiaia, riattualizzando quotidianamente il suo impegno e la sua ricerca di senso, confrontandosi con Colui che, di questo senso, ne è l’incarnazione assoluta ed eterna: Gesù Cristo e il Suo Vangelo.

Dall’ascolto della Sacra Scrittura, e dalla frequentazione quotidiana alla Santa Messa, che ha praticato per la gran parte della sua vita (negli anni della malattia riceveva spesso l’Eucaristia a casa),  Elena Bono ha imparato ed effettivamente ha conosciuto il valore sacro della Parola, facendo del recupero della sacralità della Parola una missione imprescindibile, come cristiana e come poeta. “Il vostro parlare sia sì sì, no no”: citava spesso questa esortazione di  Gesù nel Vangelo. E pur affermando di aver sempre scritto “sotto una strana dettatura”, rispondendo con la poesia alla chiamata di amore di Cristo, la ricerca stilistica e linguistica è sempre stata per la Bono una impresa difficile ed estenuante, nella volontà di dover essere assolutamente fedele all’ispirazione ricevuta, senza nulla aggiungere di suo, per suo compiacimento o vanagloria.

“Nella poesia è come nella scultura – diceva: non si tratta tanto di aggiungere quanto di togliere parole”. E portava l’esempio del grande e da lei amatissimo Michelangelo, spiegando che come in un blocco di marmo è già presente la forma che lo scultore dovrà saper tirare fuori, così è con le parole: occorre trovare quelle giuste e necessarie, non una di più non una di meno. 

Nonostante la malattia, che ne limitò sempre più pesantemente l’autonomia, Elena Bono è sempre rimasta la coraggiosa ragazza della Resistenza: dopo la morte di tanti suoi compagni di scuola, caduti per la libertà, ha continuato per loro ed in loro memoria a combattere, scrivendo memorabili poesie (è stata definita “poetessa della Resistenza”) e soprattutto la trilogia nota come “Uomo e Superuomo”, che racconta la guerra vista dalla parte dei tedeschi (la complessa stesura narrativa, che ha l’estensione di un gande romanzo classico, è raccontata da Fanuel Nuti, personaggio narratore e traduttore di un diario di un soldato tedesco da lui ritrovato, personaggio quindi che si pone dentro e fuori la lunga storia narrata, che abbraccia un ventennio, dal 1921 al 1940).

Il grande comandante “Bisagno” (giovane uomo di fede limpida e decisa, cui venne attribuito il titolo di “primo partigiano d’Italia”), ma anche Giannotto Bado, Cesare Crosa di Vergagni, Gianpaolo Grosso, Cesare Talassano: tutti i loro ritratti, piccoli, incorniciati, appesi nella sua camera da letto, sono sempre stati con lei, più vivi che mai nel suo cuore e resi immortali in tante sue poesie del cosiddetto filone resistenziale, prima fra tutte “Vengono i giorni”. Elena Bono ha scritto in modo particolare pensando ai giovani: li ha sempre amati, e loro l’hanno sempre capito, ricambiandola.

L’invito e l’esempio che Elena Bono ci lascia è quello di guardarsi dentro per sconfiggere il male che si annida innanzitutto in noi, comprendere quale sia la nostra responsabilità e la nostra parte nella storia, prendersi ognuno sulle spalle il peso che gli tocca e costruire, edificare la propria coscienza e la civiltà del proprio tempo, cercando sempre il Bene e la Verità che soli conducono alla vera libertà. Incurante dell’età e della malattia, Elena ha continuato sempre ad essere una combattente. Con la forza della fede che nasce dalla riconoscenza della scoperta dell’amore di Dio, nel segno della Croce, Elena Bono ha resistito con fierezza, pazienza e spirito di sopportazione rari contro ogni tentazione di nichilismo e di scoraggiamento, per affermare e testimoniare la dignità e il valore dell’esistenza e di ogni persona, senza mai giudicare ma con gli occhi dell’anima sempre bene aperti : “Tutto era così semplice / chiudere gli occhi e guardare” – dice in uno dei suoi versi più celebrati, scritti proprio all’indomani dell’8 Settembre.

Non si lamentava mai, o quasi, del proprio stato di salute, attenta come era a verificare in ogni momento quanto la sua vita fosse o meno in sintonia con la Volontà divina, disposta a patire in espiazione dei suoi e degli altrui peccati: “La cosa importante, alla fin fine, è salvarsi l’anima” – ripeteva.  Fino a non molto tempo fa, quando ancora riusciva a stare seduta in poltrona, riceveva a casa amici, studiosi, studenti, estimatori, giornalisti, artisti interessati a conoscerla perché appassionati della sua opera. E tutti si sono sempre sentiti bene accolti, altrettanto considerati e stimati. Spesso le opere letterarie e artistiche, quanto più sono grandi, tanto più superano in grandezza i loro stessi autori; ma nel caso della Bono non era così e chi la incontrava ne conservava un ricordo tanto indelebile quanto fertile, nella consapevolezza di aver avuto il privilegio di incontrare un testimone vibrante della nostra cultura e storia contemporanee. Ancora di recente le ho rivolto alcune domande riguardo alla sua opera. Ecco cosa mi ha risposto:

So che è difficile per un autore dire se e quale opera ami di più rispetto alle altre, perché ogni opera d’arte è come un “figlio”. Tuttavia, quali senti più intimamente tua?
“Morte di Adamo”. Per me è un assoluto. Sta per conto suo. Nasce da una visione che ebbi in un momento estremamente drammatico, in cui mi trovavo in pericolo di vita per una appendicite mal operata che era degenerata in peritonite. Riuscivo a nutrirmi solo con un grissino e una tazza di tè al giorno. Una sera vidi un uomo voltato di spalle, insanguinato, dietro ad una grata. Pensai: “Quest’uomo ha molto sofferto”. Si voltò e mi guardò. Lo riconobbi: era Gesù! Il suo sguardo, che mai ho dimenticato, era pieno di amore e di dolore nello stesso tempo. Mi sentii infinitamente amata. Da quella visione nacque tutto: non solo “Morte di Adamo”, ma tutta la mia opera letteraria. Il sogno che la moglie di Pilato, Claudia Serena, racconta ne “La moglie del Procuratore” è il mio sogno. Come diceva qualcuno: “Il vero scrittore è quello di un libro solo”. Io, in tutta la mia opera, ho raccontato la Passione di Cristo che si rinnova nella storia, dei singoli e dei popoli. Lo sguardo di Gesù flagellato, così pieno di amore e di dolore nello stesso tempo, è l’incontro fondamentale che ha dato senso e unità alla mia vita personale e artistica.

Ricordo che una volta mi hai raccontato che “Morte di Adamo” nacque mentre stavi ascoltando della musica ungherese in camera tua.
Sì. Andò proprio così. Stavo ascoltando un disco di musica ungherese quando all’improvviso si fece un silenzio tremendo, un silenzio assoluto. Le rivelazioni più importanti avvengono sempre nel silenzio assoluto. E da quel silenzio udii distintamente queste parole: “Quando venne il suo giorno, dopo novecentotrenta anni di vita, Adamo ritornò alla terra”. Presi il primo foglio che trovai e scrissi quanto avevo udito. Poi corsi da mio padre e gli dissi:” Papà, guarda cosa mi è successo! Dissi proprio così: guarda cosa mi è successo”. Mio padre lesse e poi disse: “Povera figlia mia!”. Aveva compreso meglio di me in quel momento il dono che avevo ricevuto ma anche il prezzo che avrei dovuto pagare per coltivarlo ed essergli fedele.

Il tema che forse mi ha più colpita nel racconto breve ma densissimo di Morte di Adamo è forse quello della nostalgia, nostalgia di Dio per l’uomo e dell’uomo per Dio. Tu lo ritieni un tema centrale del racconto?
Beh, “Morte di Adamo” parla della Creazione, del peccato originale, della morte di Adamo, di Eva, madre di tuti i viventi perduti dopo il peccato, e del ritrovamento, nella profezia della Croce di Gesù, l’Albero della Vita. Quanto alla nostalgia di Dio e dell’uomo, già Seneca, nelle “Lettere a Lucillo” scriveva: “C’è un Dio in noi. Chi sia non lo so, però è in noi”.

E’ stata quindi la Fede, il tuo essere cristiana, ad averti sempre dato la forza per affrontare e superare tutte le battaglie e le difficoltà che hai incontrato nella tua vita, compresa la tua attuale infermità che ti impedisce di vedere e di scrivere ancora autonomamente?
La forza per combattere la battaglia della vita l’ho trovata proprio nella Fede. Ho cercato di essere fedele alla mia chiamata di poetessa, di essere una scrittrice fedele alla “Parola” e ai personaggi che mi venivano a trovare. Sapevo che Gesù mi era apparso quella notte e mi aveva guardata facendomi sentire infinitamente amata. E Gli ho risposto con la mia opera di scrittrice. 

L’avvenire sembra davvero particolarmente gravido di incertezze, economiche, sociali, ambientali, valoriali. Che invito ti senti di fare ai giovani?
A ognuno è stato dato di discernere il bene dal male. Siamo responsabili delle nostre scelte, che sono un dovere. Il problema è quello della necessità della scelta: il bene è la scelta difficile. Come dice Gesù nel Vangelo: chi vuole la salvezza deve entrare per la porta stretta. 

Nella nuova edizione digitale di Morte di Adamo Elena Bono ha voluto inserire non solo  alcune sue annotazioni inedite sui singoli racconti ma anche la poesia Tempo di Dio. Scritta subito dopo la fine della guerra, contiene versi potenti, che valgono e ci interpellano oggi come allora:

…“Non è tempo di lutti / né di follie. / Questo è tempo di Dio. / Che aspettiamo? / Quale segno? / Quale miracolo? /…