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EDITORIALE

Il bene comune impone: nessun compromesso

Per trovare un accordo sul ddl Cirinnà e la stepchild adoption, il professore e senatore Pietro Ichino mette al bando i «princìpi non negoziabili», come fanno anche molti cattolici. Eppure, è proprio il riconoscimento di «princìpi non negoziabili» che permette la realizzazione del bene comune.

Editoriali 23_01_2016
Pietro Ichino

Un intervento ieri del professore nonché senatore Pietro Ichino sul Corriere della Sera, a proposito del dibattito sul disegno di legge Cirinnà e la stepchild adoption ivi prevista, allo scopo di giustificare l’«adozione del figliastro» afferma che non esistono «princìpi non negoziabili». E arriva a questa affermazione creando una confusione su princìpi, valori e regole, che merita di essere ripresa perché è purtroppo comune anche in certo mondo cattolico.

Ichino, citando un giurista «credente», propone questa distinzione: «La differenza tra principi e regole sta in questo: mentre la regola prescrive un comportamento specifico preciso («non si passa col rosso»; «il salario minimo è di 6 euro»), il principio invece indica un valore che deve essere perseguito (tutela della vita, della libertà, dell’uguaglianza, della giustizia, ecc.). Dunque, mentre la regola ha un contenuto prescrittivo preciso predeterminato, il principio non ci dice esattamente come ci si deve comportare in ciascuna situazione: al contrario, lascia aperte diverse scelte pratiche attraverso le quali il valore può essere perseguito». 

In questo senso, dice Ichino, princìpi e valori sono sinonimi, sono tanti e tutti sullo stesso piano. E siccome nelle situazioni concrete due o più princìpi confliggono, ecco che il compromesso è necessario. Nella fattispecie della stepchild adoption, afferma Ichino, ci sono due princìpi, entrambi costituzionali, che devono essere conciliati: «quello della tutela dell’interesse del minore, quale che sia l’orientamento sessuale dell’aspirante genitore adottivo, e quello di non discriminazione tra gli adulti aspiranti all’adozione in base all’orientamento sessuale». Le soluzioni per trovare un equilibrio possono essere molte, dice Ichino, ma la premessa necessaria è che nessuno dei due princìpi venga considerato assoluto.

Un discorso che, a prima vista, potrebbe sembrare di buon senso nell’ottica di una convivenza e conciliazione fra culture diverse. È però anche il discorso dei cosiddetti cattolici “adulti” che vivono la fede dal punto di vista individuale, ma come responsabili di nazioni - affermando di dovere tener conto di chi non è cattolico - teorizzano il compromesso su questioni fondamentali. È così che in Italia anche una parte del mondo cattolico ha favorito l’introduzione di divorzio, aborto, fecondazione artificiale. E ora si appresta a sostenere il riconoscimento delle unioni civili, e prossimamente troverà il modo di favorire anche l’eutanasia. La chiameranno testamento biologico, ma ovviamente sarà il punto d’equilibrio tra diversi princìpi-valori: il diritto alla vita, la libertà dell’individuo, anche il bilancio dello Stato che non può garantire assistenza sanitaria a tutti. Non sfuggirà il fatto che le conclusioni a cui porta questa impostazione sono aberranti.

Ma il problema sta all’origine, nella scomunica del concetto di «princìpi non negoziabili», che a sua volta nega la possibilità del bene comune. Sia ben chiaro, anche nella Chiesa ormai è vietato parlare di «princìpi non negoziabili», ma questo è conseguenza e causa allo stesso tempo della riduzione della fede a fatto soggettivo ed emozionale, la teorizzazione di una fede che rinuncia a fare cultura, a generare cioè un pensiero che giudichi e dia forma a tutta la realtà. Dal punto di vista storico è la negazione della civiltà cristiana, che poi magari a parole tanto si apprezza nell’ammirazione per i tesori culturali che ci ha lasciato in eredità.

Nella concezione della Dottrina sociale della Chiesa, i «princìpi non negoziabili» non sono sinonimo di valori, ma sono le basi, le fondamenta, su cui si può costruire una società veramente umana. È come una casa: è certo che ha bisogno di muri, di porte, finestre, tetto, arredamenti interni e così via (tutti valori) ma se non si fanno le fondamenta e non si fanno nel modo corretto, presto o tardi viene giù tutto.

Il fondamento di una società che persegua davvero il bene comune è la tutela e la promozione della dignità umana. E questo è anche l’interesse principale della Chiesa nell’arena pubblica. Da qui nascono i «princìpi non negoziabili», come li ha definiti papa Benedetto XVI in un discorso rivolto ai parlamentari del Partito Popolare Europeo il 30 marzo 2006: tra questi – disse papa Ratzinger - «oggi emergono particolarmente i seguenti:
- tutela della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del concepimento fino alla morte naturale;
- riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia, quale unione fra un uomo e una donna basata sul matrimonio, e sua difesa dai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale;
- tutela del diritto dei genitori di educare i propri figli». 

Su questi princìpi non ci può essere compromesso, ne va dell’intera società, non è un problema confessionale. Ancora Benedetto XVI, il 24 marzo 2007 ai partecipanti a un convegno sull’Europa: «Se il compromesso può costituire un legittimo bilanciamento di interessi particolari diversi, si trasforma in male comune ogniqualvolta comporti accordi lesivi della natura dell’uomo. Una comunità che si costruisce senza rispettare l’autentica dignità dell’essere umano, dimenticando che ogni persona è creata ad immagine di Dio, finisce per non fare il bene di nessuno».

In precedenza, novembre 2002, era stato ancora il cardinale Ratzinger a firmare per la Congregazione per la Dottrina della Fede, la Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno dei cattolici nella vita politica, in cui si distingue tra scelte politiche contingenti nelle quali sono spesso «moralmente possibili diverse strategie per realizzare o garantire uno stesso valore sostanziale di fondo» (no. 3) e «principi morali che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno» (no. 4), dove «allora l’impegno dei cattolici si fa più evidente e carico di responsabilità».

Quest'ultimo è evidentemente il caso in questione, dove – contrariamente a quanto sostiene Ichino - non sono in gioco valori equivalenti bensì il «principio non negoziabile» della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Per questo sul ddl Cirinnà non ci possono essere compromessi, va respinto in blocco. Così come, con buona pace di Avvenire e vescovi vari, se si ha a cuore il bene comune non ci può essere alcun riconoscimento delle unioni civili, anche se non equiparate alla famiglia.