Il Bello che "dà appuntamento" alla sua Regina
“Senza il bello il Vangelo non si può capire”. Ecco, dunque, che Raffaello, che del Bello è stato fautore, forse, per antonomasia, ci introduce al mistero della regalità di Maria, presentandocelo come naturale conseguenza della Sua miracolosa Assunzione al cielo. Oggi il dipinto è un fiore all’occhiello del percorso della Pinacoteca Vaticana.
Raffaello Sanzio, L’Incoronazione della Vergine, Roma – Pinacoteca Vaticana
“E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore” Lc 1,45
“Senza il bello il Vangelo non si può capire” ha recentemente detto Papa Francesco, implorando la benedizione del Signore sugli artisti e sul loro imprescindibile contributo. Ecco, dunque, che Raffaello, che del Bello è stato fautore, forse, per antonomasia, ci introduce al mistero della regalità di Maria, presentandocelo come naturale conseguenza della Sua miracolosa Assunzione al cielo.
Dobbiamo questa mirabile “lezione” alla famiglia Oddi che ne fece richiesta per l’altare della cappella gentilizia nella chiesa di San Francesco al Prato di Perugia. Requisita dai Francesi napoleonici sul finire del Settecento, l’opera ci fu restituita qualche decennio più tardi, quando la pittura a olio, originariamente su tavola, era già stata trasportata su tela. Oggi il dipinto è un fiore all’occhiello del percorso della Pinacoteca Vaticana.
All’epoca della commissione, il 1502, il Sanzio era un giovane pittore, di soli vent’anni: l’Incoronazione della Vergine dimostra tutto il suo debito e la figliolanza artistica nei confronti del Perugino, presso la cui bottega, dopo quella paterna, aveva completato la formazione. Ne recupera l’impostazione complessiva della scena, spartita in due registri distinti che separano chiaramente il mondo terreno da quello celeste. Ciò che li unisce è la traiettoria dello sguardo, rivolto all’insù, di alcuni apostoli che contemplano, rapiti e stupiti, il prodigioso evento che si compie sopra di loro.
Nella parte inferiore, sullo sfondo di rigogliose colline ondulate che conferiscono a ciò che sta accadendo una concreta dimensione spaziale, i Dodici, raccolti intorno al sepolcro ricolmo di fiori bianchi, vuoto perché la Vergine è stata veramente assunta in cielo in corpo e anima, rappresentano l’umanità. E qui l’allievo supera il maestro, approfondendo la ricerca fisiognomica dei personaggi che cominciano ad acquisire una più precisa caratterizzazione espressiva. Tra l’anziano Pietro, con le chiavi, e Paolo, con la spada, riconosciamo Tommaso che regge il Sacro Cingolo lasciatogli da Maria per confortare la sua fede e dissiparne l’incredulità.
Al di sopra, oltre un solido tetto di nuvole, circondati da una corte celeste di cherubini e angeli festosi e musicanti, la Vergine con le mani giunte in preghiera riceve la corona da Cristo che, con un gesto delicatissimo, gliela pone sul capo, suggellando il legame profondo tra la Madre e il Figlio, re dell’Universo.
Maria Regina aveva detto “sì” al volere del Suo Signore. Raffaello ritorna, nella pala vaticana, anche su quel preciso istante, così carico di eternità, e sulle vicende a esso conseguenti. La predella, suddivisa in tre scomparti, è la premessa di quanto è raccontato nel dipinto: da sinistra si leggono, infatti, l’Annunciazione, l’Adorazione dei Magi e la Presentazione di Gesù al Tempio, momenti di vita terrena attraverso cui Maria è storicamente passata per giungere alla gloria celeste e conquistare lo stato di regalità messianica cui sono destinati tutti i credenti in Cristo.