Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santo Stefano a cura di Ermes Dovico
La lezione

Il beato Alberione e la base per una comunicazione cattolica

Ascolta la versione audio dell'articolo

Il fondatore della Famiglia Paolina ha dato vita a una grande rete di mezzi di comunicazione per la gloria di Dio. Il beato indicava che alla base di un vero comunicatore cattolico è indispensabile una profonda vita interiore.

Ecclesia 26_11_2024

Il beato Giacomo Alberione (Fossano, 4 aprile 1884 - Roma, 26 novembre 1971), del quale oggi ricorre la memoria liturgica, ha rappresentato la voce dell’informazione cattolica: una vita al servizio di Dio e dei fratelli, tramite lo strumento dell’informazione nelle sue diverse ramificazioni. I giornali, la radio, il cinema: un “impero” editoriale che ha visto protagonista il gracile (ma forte) sacerdote piemontese. Fondatore – anche se amava ripetere che i veri fondatori fossero due, il Signore e san Paolo di Tarso – della Società San Paolo (1914) e poi, successivamente, della congregazione delle Figlie di San Paolo (1915), delle Pie discepole del Divin Maestro (1923), delle Pastorelle (1938), delle Apostoline e di altre congregazioni di tipo laicale facenti parte tutte della cosiddetta Famiglia Paolina. Una famiglia immensa e sempre proficua: un “esercito bianco”, così si potrebbe definire, per il bene della Chiesa e per la diffusione della Parola di Dio.

Quando si guardano le foto che ritraggono il beato, la prima domanda che viene in mente è molto semplice: come ha potuto realizzare una Famiglia così estesa, quest’uomo così apparentemente gracile? La risposta è altrettanto semplice: grazie alla sua fiducia in Dio. Basterebbe solo prendere come esempio la sua famosa cambiale con il Signore (ora conservata nella casa-museo della curia generalizia della Società San Paolo, a Roma). «Io farò tutto per la tua Gloria, tu provvedi a noi», così è scritto in questo piccolo foglio ormai ingiallito dal tempo: era agli inizi di tutto, Alberione. Pochi mezzi, tanta volontà e soprattutto fiducia in Dio e nella Sua Provvidenza.

San Paolo e il beato Alberione: un tema che apre a diverse riflessioni. Prima fra tutte, il dono della comunicazione. Paolo di Tarso è l’emblema dell’essere comunicatori della Parola. Basterebbe leggere le sue Lettere, esempio magnifico di semplicità evangelica e di profondità teologica: questi sono stati i cardini dell’opera di Alberione. Proprio dell’Apostolo delle genti, è interessante ciò che disse lo stesso Alberione in una meditazione del 1933: «Perché san Paolo è così grande? Perché compì tante opere meravigliose? Perché anno per anno la sua dottrina, il suo apostolato, la sua missione nella Chiesa di Gesù Cristo vengono sempre più conosciuti, ammirati e celebrati? Egli è uno di quei santi che giorno per giorno ringiovaniscono e dominano e conquistano: perché? Il perché va ricercato nella sua vita interiore. È qui il segreto. I palloni pieni di aria, gonfi, in un giorno svaniscono, si svuotano, ma quando vi è la ricchezza, quando vi è la vera dottrina, quando vi sono i veri meriti, quando vi è la vera vita interiore, si diventa germe. La pianta rimane qualche tempo nascosta perché tutto è chiuso in un embrione, messa sotto terra. Ma quando l’embrione si sviluppa, il germe si manifesta prima in una pianticella, poi in un arboscello, quindi in una grande magnifica pianta. Ebbene l’Apostolo Paolo era di grande vita interiore». È la vita interiore che forgia l’uomo della comunicazione. Per Alberione, infatti, era impensabile una vita slegata fra i due poli: un comunicatore e divulgatore della Parola, per poter servire realmente Dio, deve essere un uomo di grande vita interiore.

Una vita da alimentare con la preghiera, prima di tutto. E poi, con l’adorazione eucaristica. Gesù, infatti, era al centro dei pensieri di Alberione: «La salvezza è nel Nome di Gesù Cristo. Il suo Nome, il Nome di Gesù è un Nome tutto corrispondente a quello che è l'ufficio, che è stata la missione di Gesù Cristo, Figliuolo di Dio incarnato. Era venuto [come] salvatore. La parola “Gesù” vuol dire “salvatore”. Quindi non è un nome che viene dato dagli uomini, ma venne dato, questo Nome, dall'angelo prima ancora che fosse concepito il Figlio di Dio, incarnandosi».

Il 28 giugno 1969, san Paolo VI concesse a don Giacomo Alberione la croce Pro Ecclesia et Pontifice, dichiarando che aveva «dato alla Chiesa nuovi strumenti per esprimersi, nuovi mezzi per dare vigore e ampiezza al suo apostolato, nuova capacità e nuova coscienza della validità e della possibilità della sua missione nel mondo moderno e con mezzi moderni». Il beato Alberione rispondeva, davvero, in maniera creativa ai segni dei tempi. Ed è importante sottolineare come attorno a lui aveva convocato un esercito di scrittori per realizzare la sua intuizione carismatica: «La predicazione orale, quella scritta o stampata, divulga la Parola di Dio, moltiplicandola per farla giungere precisa ovunque, anche là dove non può pervenire la parola». In lui, diverse anime: quella di tipografo, di scrittore, di editore, di pedagogo e tante altre. Un poliedrico uomo-sacerdote che aveva intuito bene l’importanza della comunicazione. Alberione ha dato inizio a case editrici (San Paolo e SAIE), ha fondato periodici (23 in totale, tra questi Famiglia Cristiana, nata nell’anno 1931), ha realizzato una casa cinematografica (la San Paolo Film), una discografica e varie emittenti radio e tv (ad esempio Telenova), e poi diverse librerie e altre iniziative oggi presenti in ben 65 nazioni.

La sintesi della biografia del sacerdote piemontese la troviamo nelle parole di san Giovanni Paolo II al momento della sua beatificazione (27 aprile 2003): «Il beato Giacomo Alberione intuì la necessità di far conoscere Gesù Cristo, Via Verità e Vita, agli uomini del nostro tempo con i mezzi del nostro tempo». Libri, pagine stampate, film e trasmissioni radiofoniche, ma sempre fondamentale – per Alberione – rimane un unico testo, «un libro che sta sopra tutti, e che è fonte di tutti gli altri: la Sacra Bibbia; ecco il miglior libro di lettura spirituale, ecco la fonte limpidissima dalla quale tutti gli scrittori ascetici attinsero la loro dottrina, ed i loro libri non sono che altrettanti ruscelli sgorganti da questo immenso mare».