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IL CASO

Il bavaglio di Sala ai dipendenti del comune di Milano

Con un regolamento ad hoc il sindaco di Milano Beppe Sapa impedisce il dissenso o il diritto di critica dei dipendenti imponendo di fatto una censura. Un assaggio della deriva dittatoriale a cui andiamo incontro. 

Editoriali 15_04_2021

Da diversi mesi ormai denunciamo il pericolo che la prolungata sospensione della garanzie costituzionali in nome dell’emergenza sanitaria possa generare una torsione autoritaria a livello istituzionale. È una questione culturale quasi un riflesso pavloviano soprattutto tra gli esponenti della sinistra. Più volte la nostra denuncia è stata bollata come un inutile allarmismo condito di suggestioni complottiste.

Da più parti ci è stato chiesto di smetterla di agitare lo spettro dell’Ausnahmezustand (stato d’eccezione) del noto giurista tedesco Carl Schmitt, e dei rischi di una deriva dittatoriale. La migliore risposta a questa richiesta l’ha data il sindaco di Milano Beppe Sala, il quale ha disposto di vietare ai dipendenti comunali di criticare l’operato dell’amministrazione da lui guidata sui social network, disponendo che la censura riguardasse anche commenti pubblicati fuori dall’orario di lavoro sui profili Facebook personali. Qualcuno ha bollato l’iniziativa come «degna del soviet supremo». In effetti, il clima illiberale imposto dall’emergenza sanitaria ha funzionato da richiamo della foresta per il sindaco meneghino, facendo emergere l’anima leninista che in lui non è mai del tutto scomparsa, e che continua a covare all’interno della splendida armatura radical-chic che ama esibire in pubblico.

Il diktat di Sala si è concretizzato nell’art.16 del nuovo Codice di comportamento per i dipendenti del Comune di Milano recentemente approvato e attualmente sottoposto a consultazione pubblica, prima di entrare in vigore. Il citato articolo regola i «rapporti con mezzi di informazione e l'utilizzo dei social network», e prevede, tra le varie disposizioni, che il dipendente debba «astenersi dal diffondere con qualunque mezzo, compreso il web o i social network, i blog o i forum, commenti o informazioni compresi foto, video, audio che possano ledere l’immagine del Comune e dei suoi rappresentanti o suscitare riprovazione, polemiche, strumentalizzazioni».

Lo stesso dipendente resta obbligato a «mantenere un comportamento ineccepibile anche nella partecipazione a discussioni su chat o forum on line, mantenendo cautela nell'esprimere opinioni, valutazioni, critiche su fatti o argomenti che interessano l’opinione pubblica o che possano coinvolgere la propria attività all'interno del Comune». L’aspetto interessante è che i divieti del codice dovranno essere rispettati «anche al di fuori dell’orario di lavoro». Si aggiunge pure una forma di censura preventiva, laddove si prevedere che gli stessi dipendenti comunali prima di rilasciare dichiarazioni pubbliche critiche sull’attività dell’amministrazione debbano darne «preventiva informazione al Dirigente responsabile della struttura o al proprio Responsabile diretto». Per esternare eventuali anomalie o disfunzioni occorrerebbe il permesso dei superiori.

Opposizione e sindacati sono insorti accusando Sala di «voler mettere il bavaglio ai dipendenti», proprio perché il primo cittadino non è riuscito a tollerare le tante denunce pubbliche per i disservizi legati all’emergenza sanitaria Covid-19, sia in merito alla salute dei lavoratori che ai servizi erogati ai cittadini. Da qui l’esigenza di impedire il dissenso o il diritto di critica. Silenzio imposto a norma di regolamento in nome dell’Ausnahmezustand: viviamo una situazione di eccezione in uno stato di emergenza. Persino il sindacato dei dipendenti, in un sussulto di dignità, ha bollato il nuovo codice di comportamento come «un attacco alla libera espressione, alla comunicazione sindacale e al diritto di informazione libera».

Pare, addirittura, che siano state paventate azioni legali contro il Comune nel caso si dovesse insistere nel mantenere l’attuale formulazione del controverso art.16 del Codice di comportamento. Sostengono, giustamente, alcuni delegati sindacali che il diritto di critica, soprattutto quando riguarda la discutibile gestione di un’emergenza, «espresso fuori dall’orario di lavoro non può essere punito con il licenziamento e tanto meno può essere spiato il profilo social di un dipendente per controllarne il contenuto».

La formulazione dell’art.16 non si sottrae nemmeno al sospetto di voler limitare la libertà di stampa. Cosa che preoccupa particolarmente i sindacalisti da sempre abituati ad avere rapporti con i mass media. Avverte, infatti, il codice che «il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali e politici non consente al dipendente di rilasciare dichiarazioni pubbliche offensive nei confronti dell'amministrazione».

La questione verte sul punto di chi debba stabilire il grado di “offesa” delle critiche esternate da dipendenti pubblici e relative a circostanze di interesse generale per la collettività. Beppe Sala, per esempio, si è profondamente offeso per le critiche sulla gestione dell’emergenza Covid-19 giustamente sollevate da alcuni dipendenti comunali, e chiede venga imposta una censura in nome dello stato d’emergenza che sta vivendo il nostro Paese. Opposizione e sindacati, invece, denunciano un’ennesima ingiusta sospensione delle garanzie costituzionali dopo le tante che il nostro Paese continua a vivere da più di un anno. Vediamo chi la spunterà.