Il battesimo, le passioni e gli amici di Dante in gioventù
Le amicizie di Dante appartenevano in gran parte all’ambito dell’arte e della poesia. Tra i suoi più stretti compagni vi erano Guido Cavalcanti (come ricaviamo dalla Vita nova, ove è chiamato il suo «miglior» amico), i poeti del sodalizio letterario stilnovista (Lapo Gianni, Gianni Alfani, etc.), Forese Donati.
Nato sotto il segno dei gemelli, per quanto possiamo dedurre anche dalle testimonianze autobiografiche (non ci è noto però il giorno preciso), Dante fu battezzato il 27 marzo 1266. Era un sabato santo: furono portati al fonte battesimale tutti i nati l’anno precedente. Il poeta avrebbe più volte ricordato il battezzatoio di San Giovanni a Firenze, luogo centrale per la sua vita tanto che proprio lì avrebbe desiderato essere incoronato poeta, nel caso in cui la fama del poema sacro da lui composto gli avesse consentito di ritornare nella sua città. Non a Roma, non a Parigi voleva ricevere l’ambito riconoscimento, ma nel luogo in cui aveva vissuto fino all’esilio, dove era diventato figlio di Dio in Cristo Gesù attraverso il battesimo ed era entrato a far parte della Chiesa:
Se mai continga che ’l poema sacro
al quale ha posto mano e cielo e terra,
sì che m’ha fatto per molti anni macro,
vinca la crudeltà che fuor mi serra
del bello ovile ov’ io dormi’ agnello,
nimico ai lupi che li danno guerra;
con altra voce omai, con altro vello
ritornerò poeta, e in sul fonte
del mio battesmo prenderò ’l cappello.
(Paradiso XXV, 8-9).
Dei battezzatori di San Giovanni a Firenze Dante accenna anche nella terza bolgia dei simoniaci (Inferno XIX, 16-21) quando paragona i fori dove sono collocati a testa in giù i dannati con le aperture dei fonti battesimali, uno dei quali il poeta ruppe poco prima di essere esiliato per salvare un battezzando che dentro stava annegando. L’incidente si verificò probabilmente quando Dante era priore di giustizia (tra il 15 giugno e il 15 agosto del 1300).
Quando crebbe, Dante si formò dal punto di vista dell’arte retorica. Nella Firenze degli anni Settanta e Ottanta del Duecento non vi erano tante possibilità per proseguire gli studi in retorica e nell’ars dictandi (che insegnava la stesura delle lettere in latino) se non affidandosi ad un maestro privato.
Non molti erano i maestri di retorica presso cui studiare. Dante si affidò a Brunetto Latini (ca 1220/1230-1293), notaio di alto livello, guelfo che si trovava in esilio negli anni del predominio dei ghibellini tra le battaglie di Montaperti e quella di Bonconvento, quindi tra il 1260 e il 1266, che rientrò in seguito dall’esilio e detenne cariche importanti a Firenze. «Cominciatore e maestro in digrossare i Fiorentini […] e in sapere guidare e reggere la nostra repubblica secondo la politica» (Giovanni Villani), grande esperto di ars dictandi e dell’arte di comporre lettere in latino, fu autore dell’enciclopedia in francese Tresor, di una versione dell’enciclopedia in versi toscani chiamata Tesoretto, del Favolello (un poemetto sull’amicizia) e di alcuni volgarizzamenti di opere retoriche e di orazioni di Cicerone. A detta di Dante fu Brunetto Latini ad insegnargli come conseguire la fama e la gloria attraverso la scrittura.
Dante non si appassionò solo all’ars dictandi e alla poesia, ma tenne durante la giovinezza molti contatti con altre arti. Nel Trattatello in laude di Dante, Boccaccio ci ricorda che il Sommo poeta «sommamente si dilettò in suoni e in canti nella sua giovanezza, e a ciascuno che a que’ tempi era ottimo cantatore o sonatore fu amico». Del resto nel Purgatorio compaiono Casella e Belacqua, due musici amici di Dante.
Il poeta si cimentava anche nella pittura, come lui stesso racconta nella Vita nova (capitolo XXXIV): «Ricordandomi di lei (Beatrice) disegnava uno angelo sopra certe tavolette». Le competenze e le conoscenze del poeta nel campo artistico sono, del resto, dimostrate in più luoghi della Commedia.
Le amicizie di Dante appartenevano in gran parte all’ambito dell’arte e della poesia. Tra i suoi più stretti compagni vi erano Guido Cavalcanti (come ricaviamo dalla Vita nova, ove è chiamato il suo «miglior» amico), i poeti del sodalizio letterario stilnovista (Lapo Gianni, Gianni Alfani, etc.), Forese Donati.
Nel bellissimo sonetto Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io Dante descrive il suo desiderio di trascorrere del tempo con i suoi amici e la donna amata da ciascuno. I due amici prescelti da Dante per trascorrere dei giorni insieme come in una crociera sono Guido Cavalcanti e Lapo Gianni. Le donne amate sono Giovanna (per Guido), Lagia (per Lapo) e «quella ch’è sul numer de le trenta» (per lui). Quest’ultima potrebbe essere Beatrice, che era posizionata al numero nove nell’elenco delle trenta donne più belle di Firenze. Il numero nove, quadrato del tre (simbolo della Trinità), rappresenta il valore sacrale e mistico della donna. Due parole sono centrali nei versi: «talento» e «disio». Vivere «sempre in un talento» può essere considerata la traduzione italiana del latino «idem velle atque idem nolle» (Cicerone, Laelius de amicitia), cioè «desiderare e respingere le stesse cose». L’amicizia è come una strada, un metodo, un percorso in cui si fanno scelte comuni di approvazione o di dissenso per alcuni aspetti o fatti della vita.
Per molti anni il miglior amico di Dante fu Guido Cavalcanti. Dante, che conferisce grande rilievo all’amicizia, descrive la genesi di questo rapporto nella Vita Nova. Dopo aver incontrato per la seconda volta Beatrice all’età di diciott’anni, Dante ha un sogno che racconta nel sonetto A ciascun’alma presa. Alla poesia rispondono in tanti. Tra questi anche Guido Cavalcanti, che inizia con lui un rapporto di amicizia divenendo ben presto il primo dei suoi amici. Per quanto le date abbiano nell’opera un valore simbolico e sacrale, l’affermazione dantesca è, senz’altro, attestazione dell’affetto che l’Alighieri nutre in gioventù per il poeta poco maggiore di lui per età.
Nel sonetto Dante fa riferimento anche a Lapo Gianni. Notaio in vita, è presente anche in un altro sonetto di Dante Amore e monna Lagia oltre che nel componimento di Cavalcanti Se vedi Amore e Dante, un sospiro. Non compare nella Commedia. Lapo Gianni era ancora in vita sia all’epoca dell’ambientazione del poema dantesco sia alla morte di Dante. Morì probabilmente dopo il 1328.
Nel Purgatorio compaiono, invece, due grandi amici del poeta fiorentino: Casella e Forese Donati. Del primo non c’è traccia nella documentazione storica al di fuori della Commedia. Non sapremmo nulla se Dante non avesse scritto di lui. Il poeta incontra Casella sulla spiaggia del Purgatorio, appena sbarcato dal vascello che trasporta le anime dal Tevere al regno delle anime purganti.
Figlio di Simone di Forese e soprannominato Bicci, Forese era fratello di Corso Donati (il capo violento dei guelfi neri) e di Piccarda Donati, che incontriamo nel primo Cielo del Paradiso, quello della Luna. Forese era, inoltre, cugino di terzo grado di Gemma Donati, moglie di Dante. Sposatosi con Nella, di cui si parla nel Purgatorio, non poté partecipare alla vita politica di Firenze, a causa degli ordinamenti di giustizia di Giano della Bella che impedivano ai nobili di partecipare alla politica. Morì nel 1296. Celeberrima è la tenzone tra lui e Dante, composta di sei sonetti. Dante accusa l’amico di essere un ladro e un ghiottone, di lasciare sola nel letto la moglie Nella senza soddisfarla, di appartenere ad una famiglia nota per le infedeltà coniugali. Forese replica sottolineando la viltà del rivale, la povertà della sua famiglia e la pratica dell’usura da parte degli antenati.
Questa tenzone deve essere chiaramente interpretata come un gioco letterario diffuso tra poeti e intellettuali del tempo.