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STATO DELL'UNIONE

Il battesimo di Trump nella politica conservatrice

Trump, anche a destra, è sempre stato visto con apprensione come un parvenu della politica, un presidente estraneo alla cultura conservatrice. Ma il suo primo discorso dello Stato dell'Unione dimostra come il nuovo presidente, dopo un anno, si sia già ben inserito nel solco dei suoi predecessori Bush e Reagan.

UNA MINORANZA SCIPPA IL VOTO PRO-LIFE di Marco Respinti

Esteri 01_02_2018
Trump pronuncia il discorso dello Stato dell'Unione

E’ il primo discorso dello Stato dell’Unione del presidente Donald Trump. I critici lo hanno considerato il suo primo discorso “normale”, privo del solito aggressivo sarcasmo che caratterizza i suoi lapidari tweet e carico di valori americani. E’ stato il discorso dell’America Moment. L’esaltazione degli eroi che salvano vite e di un paese che riparte con l’acceleratore della crescita dopo un decennio di recessione e riprese lente.

Siamo ben lontani dai toni oscuri, polemici, critici, del primo discorso di insediamento, quello in cui un Trump indignato, puntando il dito contro la precedente amministrazione Obama, accusò le élite di aver trasformato la società americana in un “carnaio” di disoccupati e sofferenti. Adesso un Trump reso ottimista dalle sue vittorie in Congresso, prima fra tutte quella sul taglio delle tasse (1500 miliardi di tasse in meno). Vanta i 2 milioni e mezzo di posti di lavoro creati, il minor tasso di disoccupazione finora registrato fra gli afro-americani e gli ispanici. Pone l’enfasi sui vantaggi della riforma del fisco per la famiglia: per la prima volta una coppia di sposi che guadagna 24mila dollari all’anno è esentasse, il credito fiscale per ogni bambino è stato raddoppiato. Altra promessa mantenuta: l’obbligo individuale di assicurazione sanitaria, pietra angolare dell’Obamacare, è stato eliminato (e qui la sinistra del Senato rumoreggia). Trump vanta come primo effetto dell’annuncio (neppure della realizzazione) del taglio delle tasse: il rientro dei capitali delle grandi aziende, Apple ed Exxon ricominciano ad investire e ad assumere negli Usa.

E’ soprattutto questo quel che Trump chiama American Moment: se lavori sodo, se credi in te stesso, se credi nell’America, puoi sognare qualunque cosa e assieme possiamo raggiungere ogni obiettivo. Dunque siamo al rovesciamento della filosofia di Barack Obama. Dove lo scorso presidente democratico diceva “non lo hai realizzato da solo”, presupponendo la necessità di una onnipresente mano dello Stato dietro alla realizzazione dei sogni dei cittadini, Trump riporta l’individuo, la famiglia e la comunità al centro del sogno americano. Lo dice chiaro e tondo: “Fede e famiglia e non Stato e burocrazia sono al centro del sogno americano. In God We Trust è il nostro motto”, che campeggia in Senato proprio sopra la sua testa. “Abbiamo cercato di ripristinare i legami fra i cittadini e il governo. Abbiamo nominato giudici che interpretano la Costituzione così come è scritta”, dichiara Trump per spiegare il senso delle nomine dei nuovi giudici conservatori alla Corte Suprema e in numerosi corti di appello. “Abbiamo difeso il Secondo Emendamento (libertà di portare armi, ndr) e preso decisioni storiche in difesa della libertà di religione”.

Contrariamente alla “rivoluzione verde” di Obama, tutta incentrata sulle energie rinnovabili sussidiate dallo Stato, un Trump dichiara con enfasi che: “Abbiamo posto fine alla guerra contro l’energia americana e la guerra contro il magnifico carbone pulito. Ora siamo orgogliosamente fra i maggiori esportatori di energia nel mondo”.

L’immigrazione, uno dei temi caldi della nuova amministrazione, viene trattata come un problema strettamente congiunto a quello della sicurezza. E così c’è l’esempio della famiglia (latino-americana) con due figlie assassinate da membri della gang salvadoregna MS-13, arrivati negli Usa come minorenni non accompagnati. O i due attentati di New York, commessi da immigrati che, rispettivamente, avevano vinto la lotteria della Green Card e usufruito di un ricongiungimento familiare “a catena”, cioè esteso anche a parenti oltre il primo grado. E poi la piaga del narcotraffico, che sfrutta il confine poroso con il Messico: 174 morti al giorno per droga. Trump, per la prima volta, traccia le linee guida della sua nuova politica dell’immigrazione. Per coloro che dimostrano una buona volontà di integrarsi e lavorare è previsto un percorso verso la cittadinanza che dura 12 anni. Porre fine alla lotteria per la Green Card, che non tiene conto né del talento di chi vince, né della sicurezza degli americani. Limitare il ricongiungimento familiare a moglie e figli minorenni.

Una parte del discorso che tutti attendevano è ovviamente la politica estera. Tuttora è in corso l’inchiesta del Russiagate, sui presunti contatti fra il presidente ed esponenti del Cremlino, per ottenere un aiuto determinante nelle elezioni. La Russia viene a mala pena nominata una volta: come potenza “rivale” degli Usa, assieme alla Cina. I nemici contro cui combattere sono invece indicati negli “Stati canaglia” e nelle “reti terroristiche”. A questo proposito Trump parla dell’altra sua promessa mantenuta: spazzare via l’Isis dalla faccia della terra. Attualmente è stato riconquistato quasi l’intero territorio dello Stato Islamico in Siria e in Iraq. “I terroristi non sono criminali, sono combattenti nemici irregolari". Trump condanna fermamente "la follia di aver liberato centinaia di terroristi, solo per incontrarli di nuovo sui campi di battaglia, compreso il leader dell’Isis, Al Baghdadi". Dice di aver "appena firmato un decreto che riesamina le leggi sulla detenzione militare e mantiene aperto il campo di Guantanamo”. Altro colpo di piccone all’amministrazione Obama. Sia nella lotta al terrorismo che nel modo di combattere la lunghissima guerra in Afghanistan: “Le truppe non saranno limitate da scadenze artificiali e non diremo più i nostri piani ai terroristi”.

Inversione a U rispetto all’amministrazione precedente anche sul Medio Oriente. “Ho riconosciuto Gerusalemme quale capitale di Israele – dice Trump - Molti paesi all’Assemblea Generale dell’Onu hanno votato contro il diritto sovrano degli Usa a prendere questa decisione. I contribuenti americani avevano donato generosamente 20 miliardi di dollari in aiuti per questi paesi. Oggi chiedo al Congresso di approvare una legge che destini gli aiuti agli amici degli Usa, non ai nemici”.

Contestato per il suo atteggiamento isolazionista, Trump, in questo discorso, ha dimostrato invece una particolare sensibilità per la tradizionale lotta alle tirannie all’estero. “Quando il popolo dell’Iran insorge contro la sua corrotta leadership, io non resto in silenzio. L’America è dalla parte del popolo iraniano nella sua lotta coraggiosa per la libertà”. In Congresso sono state approvate “Sanzioni dure contro le dittature comuniste e socialiste di Cuba e del Venezuela”. “Ma nessun regime ha oppresso in modo così orribile e totale il suo popolo quanto la Corea del Nord”. Riguardo il programma missilistico nordcoreano: “in passato abbiamo visto che le concessioni e la condiscendenza incoraggiano l’aggressore. Non ripeterò gli errori delle passate amministrazioni, che ci hanno portati in questa situazione molto pericolosa”. La “natura perversa del regime nordcoreano è la miglior dimostrazione della sua pericolosità”. E qui porta ad esempio di Otto Warmbier, lo studente americano morto al momento del suo rimpatrio dopo più di un anno di detenzione in Corea del Nord. I suoi genitori, in lacrime, erano presenti in aula.

Nel momento più toccante di tutto il lungo discorso, Trump ha citato anche il caso di Ji Seong-ho, fuggito dalla Corea del Nord pur essendo gravemente mutilato, reggendosi sulle sue stampelle di legno per un lunghissimo percorso attraverso l’Asia orientale (ora ha una gamba nuova, ma le stampelle le ha tenute come ricordo e le ha sventolate in aula, quando è stato invitato ad alzarsi in piedi). Ji, dice Trump, è mosso dallo stesso anelito della libertà che ha spinto i coloni a dar vita all’America dopo esser fuggiti dalle tirannie europee.

Continuità con la missione storica degli Usa nel mondo, dunque: destinati a “illuminare” con il loro esempio di libertà tutti i popoli oppressi. Per chi si aspettava un presidente isolazionista è una grande delusione. Per i conservatori è un sollievo. Sarà merito di un anno di esperienza di governo, o dei numerosi rimpasti avvenuti anche fra i più stretti consiglieri del presidente, ma “The Donald” appare come un "normale" presidente conservatore, in linea con i suoi predecessori George W. Bush e Ronald Reagan.

UNA MINORANZA SCIPPA IL VOTO PRO-LIFE di Marco Respinti