Il barcone a Milano. Quanti equivoci morali
In occasione della visita di Papa Francesco a Milano, il regista messicano Inarritu propone di trasportare il "barcone della morte" (con cui colarono a picco e annegarono 700 immigrati) fino a Milano e trasformarlo in un museo. L'idea è carica di equivoci sin dalle premesse. A partire dal principio secondo cui l'emigrazione sarebbe un diritto inalienabile, tanto più forte quanto il viaggio è rischioso.
In occasione della visita a Milano di Papa Francesco, in programma per il prossimo 25 marzo, il Comune e la Diocesi, ciascuno per quanto li riguarda, sono stati sfidati da una proposta, non a caso attivamente sostenuta da la Repubblica: una proposta a suo modo esemplare in quanto impasto inestricabile di buoni sentimenti, di moralismo, di mistificazioni e di strumentalizzazione politica. E' quella di portare a Milano il relitto del “barcone della morte”, e di collocarlo in mezzo alla piazza del Duomo alla vigilia della visita di Francesco nella metropoli lombarda. L'idea è del regista messicano premio Oscar Alejandro Iñárritu secondo il quale il relitto, dopo aver perciò ricevuto in certo modo una consacrazione, dovrebbe poi diventare un “museo dei diritti”.
Recuperato dal fondo del Mediterraneo, dove si inabissò, e ora in deposito su una banchina del porto siciliano di Augusta, il “barcone della morte” è il vecchio motopeschereccio il cui tragico naufragio nell'aprile 2015 costò la vita agli almeno 700 migranti irregolari diretti in Sicilia di cui i passatori l'avevano irresponsabilmente riempito. Alla proposta di Iñárritu sono state date finora risposte interlocutorie e comprensibilmente caute tanto più che sono da valutare i costi dell'operazione, che di certo sarebbero ingenti. Al di là di questo la proposta merita però per così dire una “radiografia” grazie a cui cogliere con chiarezza da un lato l'equivoco che contiene, e dall'altro i vari strati di cui poi si compone, dai più luminosi ai più bui, dai più degni ai più indegni.
L'equivoco - che c'entra ben poco, se non nulla, con il dovere di porre rimedio al crescere delle disparità e della miseria nel mondo in cui viviamo - è quello secondo cui chiunque avrebbe il diritto incondizionato di trasferirsi definitivamente dove vuole, quando vuole. Un diritto che sarebbe tanto più forte quanto maggiori sono i rischi e i disagi affrontati durante l'esodo. Da questi rischi e da questi disagi deriverebbe ipso facto una legittimazione, un diritto all'accoglienza definitiva nel Paese di ultima meta o in ogni caso nel Paese di primo arrivo. In realtà le cose non stanno affatto così: il contrasto al crescere delle disparità e della miseria si fa innanzitutto impegnandosi in progetti di riequilibrio dello sviluppo, e non facilitando l'esodo dai Paesi meno sviluppati e instabili proprio dei meno poveri e dei più istruiti (coloro che perciò possono pagare il prezzo di migliaia di dollari che i passatori esigono), ossia proprio di chi restando in patria potrebbe essere un promotore di sviluppo.
Dai rischi e dai disagi dell'esodo dei migranti irregolari deriva al Paese di arrivo un dovere dar loro soccorso, ma non di accoglierli definitivamente. Altrimenti si trasformerebbe il loro diritto di venire soccorsi in un diritto di invasione. E' facile invece prevedere che da chi domina oggi il mondo dei media il relitto del “barcone della morte” collocato a Milano in piazza Duomo alla vigilia della visita papale verrebbe usato per accreditare e anzi per rendere sacrosanto tale equivoco.
Al di sotto dell'equivoco ci sono poi gli strati di cui si diceva, dai più luminosi e degni ai più bui e indegni. Ai primi appartengono tutti coloro che si occupano con dedizione, con coraggio e con paziente cordialità al soccorso in mare e poi all'accoglienza a terra di questi migranti irregolari. Ai secondi appartengono invece tutti coloro che speculano su tali esodi: dai venditori di sogni che nei Paesi d'origine li ingannano sulla realtà del viaggio, e sulle loro prospettive di vita e di lavoro là dove mirano a trasferirsi, alle bande internazionali di passatori criminali che ne gestiscono l'esodo sfruttandoli ad ogni tappa in tutta la misura del possibile.
Riguardo infine alla criminosa insicurezza del trasporto, di cui il “barcone della morte” è una tragica prova, le responsabilità sono ampiamente condivise. La “macchina” infernale del viaggio, in particolare della drammatica e spesso tragica ultima tappa via mare, è frutto allo stesso modo tanto del cinismo dei passatori quanto della politica irresponsabile degli Stati, tra cui in primo luogo il nostro. Ormai da anni si garantisce, mascherandolo da soccorso ai naufraghi, il trasbordo in mare aperto dei migranti dalle imbarcazioni dei passatori alle unità della guardia costiera e ai mercantili comandati al “soccorso” da navi militari che incrociano al limite delle acque territoriali della Libia e dell'Egitto o di altri Paesi della riva sud del Mediterraneo. Perciò i passatori imbarcano i migranti non più su natanti possibilmente in grado di raggiungere Lampedusa o la Sicilia bensì su gommoni di scarsa qualità, dotati di motori poco potenti e con scarsa autonomia, condotti da marinai improvvisati: dei migranti cui viene offerto in cambio il passaggio gratis o con uno sconto. Se mancano l'appuntamento con le navi dei “soccorritori”, che vengono chiamati via telefono non appena il gommone prende il largo, o se il mare s'ingrossa in modo imprevisto, questi precari e sovraccarichi natanti vanno incontro al naufragio con tutto ciò che ne consegue.
Il “barcone della morte” che si vorrebbe collocare in piazza Duomo a Milano appartiene dunque a una fase precedente e ormai conclusa del fenomeno. E soprattutto non è solo la memoria funebre dei 700 e più che affondarono insieme ad esso. E' in primo luogo il simbolo delle conseguenze ignominiose della complicità obiettiva fra le bande di passatori che organizzano questi esodi disperati e gli Stati europei, Italia in testa, i quali trovano più comodo raccogliere in mare quelli che ce la fanno piuttosto che gestire direttamente la situazione sulle coste della Libia sollecitando l'Alto Commissariato per i Profughi dell'Onu a fare la propria parte. Se il “barcone della morte” in piazza del Duomo fosse l'occasione buona per far capire alla gente come stanno davvero le cose varrebbe forse la spesa del suo trasporto da Augusta, ma ahimè sappiamo già che non sarebbe così. Perciò a nostro avviso è molto meglio che resti là dove si trova.