Il Banal Grande del giornalismo sulle armi negli Usa
In due giorni di commenti sul duplice delitto in Virginia, due giornalisti assassinati da un ex collega in diretta video, sorprende la banalità del pensiero dei media. La colpa è attribuita alle armi e il salvatore è identificato in Barack Obama. Tipica visione radical chic, che non risponde ai fatti.
Com’era prevedibile, in un paio di giorni tutto sarebbe stato archiviato e si sarebbe parlato d’altro. Così, dopo l’omicidio in diretta e postato su Facebook, dopo che gli «esperti» hanno detto la loro, dopo il cordoglio dei giornalisti perché era toccato a un collega di casta, the show must go on e i riflettori mediatici sono subito andati a inquadrare qualcos’altro. Noi, che scrivendo su un quotidiano di opinione abbiamo la fortuna di non essere assillati dalla stretta attualità, possiamo dunque riflettere con calma.
Innanzitutto quel che colpisce in tutta questa storia è il Banal Grande del giornalismo italiano, unanimemente appiattito sull’obamismo (spero che Donald Trump lo spazzi via a suon di pernacchie e, soprattutto, disfaccia sistematicamente questi otto anni di amministrazione love is love e orticelli bio). Tutti i tg nostrani hanno ripetuto in fotocopia l’immancabile mantra della libera vendita di armi negli Usa, responsabile – senza processo - di quel che è accaduto. L’altro mantra, regolarmente rispolverato a ogni ammazzatina americana, è quello del povero Obama impotente nei confronti della lobby delle armi.
Non ho statistiche sottomano, ma in compenso sono bravo a suonare a orecchio. E, applicando il solo buonsenso, mi chiedo: com’è che gli americani non solo non si sono estinti a colpi di bocche da fuoco ma sono pure aumentati di numero? Come mai la libera vendita perfino di bazooka non provoca ecatombi a cadenza non giornaliera ma addirittura oraria? Seconda domanda: il porto d’armi, cioè il permesso statale di possedere una pistola o un fucile, davvero riduce il numero dei morti ammazzati? Credo che, sempre a orecchio (o a occhio, fate voi), un paragone percentuale tra gli omicidi in Italia (dove ci vuole il porto d’armi) e quelli negli Usa (dove non ci vuole) riserverebbe qualche sorpresa. Sì, perché noi siamo 60milioni, loro sono 320, di cui 2,2 in galera (e di questi, altra sorpresa, i neri sono solo un terzo del totale). Ora, una serie di riflessioni. L’assassino della giornalista e del cameraman è nero e pure gay, e sostiene di aver sparato per vendetta in quanto, essendo sia l’uno che l’altro, si sente «discriminato». Però è stato subito classificato come «pazzo». Mentre nell’Europa del porto d’armi Anders Breivik (quello che ha fatto fuori quasi ottanta norvegesi a colpi di mitra e pistole) è stato classificato, subito e all’unanimità, come un sano di mente che si fingeva pazzo per lucrare lo sconto di pena (tanto che lui stesso ha dovuto smentire).
Sia come sia, non risulta che i detentori di porto d’armi, nei Paesi in cui c’è l’obbligo, debbano sottoporsi a visite psichiatriche quotidiane. Sì, perché uno può dar di fuori da un momento all’altro, né il porto d’armi può impedirti di ubriacarti e/o di assumere stupefacenti. Sarebbe interessante, avendone il tempo, sapere quanti omicidi in Italia sono stati perpetrati con armi da fuoco regolarmente detenute. Sempre che l’arma da fuoco sia indispensabile per far fuori qualcuno: in Italia i casi più recenti sono stati consumati con bottigliate, sacchetti di plastica e tronchi da camino dati in testa; cocci di bottiglia alla giugulare, picconi, coltelli da cucina, crick.
Ma torniamo agli Usa. Perché gli americani ci tengono tanto a poter comprare armi senza licenza? Un motivo risiede nel fatto che sono ex inglesi, e gli inglesi ancora oggi si oppongono in massa all’introduzione della carta d’identità. Correttamente, considerano un sopruso totalitario il fatto che uno debba sempre dover dimostrare allo Stato chi è e dove abita. Gli inglesi e i loro cugini americani non hanno avuto il giacobinismo statalista diffuso dalle armate napoleoniche; anzi, lo hanno combattuto. La stessa Guerra di Secessione americana ha origine nel rifiuto del centralismo. Poi, gli americani abitano un continente con immensi spazi, e se moltissimi di loro possono vivere in fattorie isolate o in ville immerse nei boschi (come si vede nei loro film) è grazie a tre fattori: il possesso di armi, il telefono e la benzina a prezzi così bassi che noi ce li sogniamo. Senza questi tre elementi ci sarebbe la corsa alle città, e perfino l’economia ne uscirebbe sconvolta.
Obama è il portato finale di una cultura elitaria radical-chic che negli Usa si chiama liberal ma che col liberalismo come lo intendiamo qui non ha niente a che vedere. Non è il liberalismo di Tocqueville, per intenderci, ma quello di Robespierre. E’ statalismo accentratore e soffocante, stretto parente (e non a caso simpatizzante) del marxismo, teso a regolamentare ogni più minuto aspetto dell’esistenza. E’ riuscito, infatti, a far ingoiare al popolo di John Wayne le nozze gay, e a quello di Humphrey Bogart il divieto di fumare. E se c’era una lobby potente, negli Usa, era quella del tabacco. Dunque, la storiella che il povero Obama nulla può contro i fabbricanti di armi non regge. Gli Usa tengono a bada l’abuso di libertà con un sistema penale severo ed efficace. Diversamente dal colabrodo italiano, che, al contrario, è spietato solo con l’«eccesso di legittima difesa». Altra bufala americana: andate a vedere il recentissimo film N.W.A., celebrazione dei rappers (neri) e odio puro nei confronti degli sbirri, nel quale film i poliziotti che pestano i neri sono neri pure loro. E il «ruolo della donna», in quell’ambiente, ve lo lascio immaginare.