Il 23 agosto, memoria delle vittime di entrambi i totalitarismi
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Il 23 agosto in Italia è una data come un'altra. Ma è ufficialmente la giornata della memoria delle vittime dei totalitarismi. Il 23 agosto venne siglato il patto fra nazisti e sovietici che si spartirono l'Europa orientale. Nei Paesi Baltici è memoria viva.
Quando l’Unione europea si è ingrandita, essa è pure culturalmente maturata. Ed è pervenuta ad una memoria del ‘900 più completa e più onesta. Risoluzione Consiglio d’Europa 2006, Dichiarazione di Praga 2008, Relazione Commissione Europea 2010, Risoluzione Parlamento europeo 19.9.2019, Appello congiunto Baltici Polonia Romania 2022 etc. Si è passati dai soli antifascismo-antinazismo (con lo stalinismo che era una parentesi, un incidente della storia), alla comprensione piena del totalitarismo. Nelle sue due forme, nero-bruno e rosso. E si è colta nel 23 agosto, firma del patto Ribbentrop – Molotov, la data cruciale e simbolica.
In Italia, manco a dirlo, il mainstream (a cominciare da Istituti storici della Resistenza e Anpi, passando ai manuali scolastici, giornali, tv e cinema, premi letterari ecc ecc) è rimasto all’antifascismo all’italiana. Più comodo e redditizio trattare l’avversario politico come un nemico dandogli del fascista. Fino a stilare patentini di antifascismo che qualsiasi associazione, pure la bocciofila, deve esibire per poter chiedere una sala comunale. Quanta fatica a fare i conti col comunismo. Come il 10 febbraio: si onorano i giuliano-dalmati per la pulizia etnica, ma non si vuol riconoscere l’evidenza, che cioè l’Italia ha subito non solamente il nazi-fascismo ma altresì il comunismo, sia pure solo per una porzione del nostro territorio.
Certi viaggi però ti aprono gli occhi; e solo la malafede può impedirti di trarne riflessioni. Lituania, Lettonia, Estonia: un fenomeno resistenziale che per numerosità e durata fa impallidire la maggior parte dei paesi d’Europa. Le tre piccole repubbliche baltiche furono tra le vittime del Patto Ribbentrop – Molotov nella sua versione aggiornata, quella dei Protocolli 28 settembre 1939. Subirono una prima annessione sovietica, dall’estate del 1940. Poi l’occupazione nazista, dal 1941 al 1944. Quindi nuovamente l’occupazione comunista, dal 1944 alla dissoluzione dell’Urss.
Ne sorse una Resistenza partigiana, i “Fratelli della Foresta”, le cui cifre parlano di oltre 100mila combattenti lituani, 40mila, lettoni, 30mila estoni. Impegnarono 260mila unità sovietiche. Le operazioni si protrassero per anni e furono debellati solo a metà degli anni ’50: l’Occidente, come per l’Ungheria, onorava gli impegni di Yalta, così che senza alcun aiuto militare la Resistenza fu soffocata.
Ma già dalla prima occupazione (quindi a prescindere da qualsiasi ipotesi di collusione dei baltici con i tedeschi, coi quali peraltro i russi erano alleati), il governo bolscevico intraprese una sistematica operazione di deportazione: abbiamo parlato con lituani che nei campi di lavoro ci sono nati, chi in Kazakistan, chi alla Kolyma, chi ben sopra il Circolo polare artico … Bibliche, se rapportate alla popolazione, anche le cifre dell’Esodo (1944): su barche di fortuna, verso le coste dei paesi occidentali: proprio come i giuliano-dalmati, ma interamente nella clandestinità.
“Occupazione”: l’hanno sempre chiamata così i Baltici, mera presenza di uno stato straniero sul proprio suolo, a prescindere che questo vi avesse fatto immigrare sostanziose quote di russofoni. Vilnius, Kaunas, Klaipeda, Riga, Tallin, Tartu … le città dove i “Musei dell’Occupazione” comprendono quelle che furono le celle di prigionia del Kgb; e poi le fosse comuni e gli ossari. Li abbiamo visitati tutti.
La data del 23 agosto è il perno del glorioso triennio 1989-91, un percorso che accomuna ed esalta questi tre piccoli paesi.
La Via Baltica. Non appena si allentò la morsa repressiva (con la Perestroika di Gorbačëv e Shevardnadze) i tre popoli nella loro interezza si sollevarono, con una possente manifestazione di unità, paragonabile forse solo alla Polonia di Solidarność: scegliendo la significativa data dei 50 anni dalla firma del Patto fra i due totalitarismi, il 23 agosto del 1989 attuarono la Via Baltica, una lunghissima, ininterrotta catena umana che si dispiegava per 680 chilometri, dove si tenevano mano nella mano più di due milioni di persone (su un totale di nemmeno nove milioni di abitanti!), a partire da Tallin, passando per Riga, fino a Vilnius, le tre belle capitali.
L’indipendenza. Si costituirono in ciascuna delle tre nazioni dei Fronti popolari i quali, chiesero l’indipendenza dei rispettivi paesi e la fondarono proprio su solenni procedure di disconoscimento e annullamento del patto Hitler-Stalin; e chiesero alla comunità internazionale di riconoscere come questi tre stati, a differenza degli altri, non avessero avuto la restituzione dell’indipendenza all’indomani della Seconda Guerra Mondiale.
Le barricate. Verso il potere sovietico talmente screditato e disconosciuto che era ormai, anche strategicamente, un soggetto estraneo, nelle capitali furono erette barricate: a febbraio del 1991 con macigni e blocchi di cemento portati da trattori ed escavatori, si cinsero a difesa i palazzi delle istituzioni e le torri dei centri radiotelevisivi. Le piazze erano presidiate dagli operai, con fuochi e bivacchi cui la gente portava cibo e bevande; per molti mesi; e ci furono scontri e vittime. Ad agosto, mentre falliva il putsch contro Gorbačëv, l’indipendenza fu proclamata dalle legittime supreme istituzioni (ormai democraticamente elette). Nel settembre 1991 l’indipendenza delle tre nazioni era ufficialmente riconosciuta dall’Urss.
Tre popoli maturi e fieri, che per ben due volte in un secolo, pagando altissimo prezzo, hanno saputo conquistarsi da soli la propria libertà.
Il discorso è attualissimo e ha la sua evoluzione postsovietica-putiniana: da molti anni e ben prima del 24 febbraio 2022, essi temono per la loro sovranità. Non è un caso se in questi paesi, come in tutti quelli che con la Russia confinano, dalla Finlandia alla Romania, dovunque sventolano moltitudini di bandiere ucraine: ogni edificio pubblico (ma pure commerciale) che porta la bandiera nazionale, vede accanto sventolare la bandiera ucraina. E persino una cosa capita di vedere, che indignerebbe i pacifinti nostrani: simmetricamente con la bandiera blu della Ue, sta la bandiera blu della Nato (mai visto cosa simile da noi).
Davanti alle ambasciate della Federazione russa, nelle capitali, la gente ha apposto (evidentemente tollerata dalle autorità) manifesti di Navalny e degli altri prigionieri politici, simboliche catene di pannolini, di bambole e pupazzi, tantissimi volantini e messaggi personali. A Riga la via dell’ambasciata è stata re-intitolata con una targa che testualmente recita: «Via dell’indipendenza ucraina. In ricordo della potente lotta dell’Ucraina contro la guerra lanciata dalla Federazione Russa nel 2022». Ora, con queste percezioni e queste sensibilità noi non possiamo non fare i conti, se pensiamo l’Europa sia una.
Tornando al 23 agosto nostrano, se non è per malafede e per rendite di posizione, per quali altri motivi si continua pervicacemente a ignorare la raccomandazione del Parlamento europeo il quale con la Risoluzione 19 settembre 2019 ribadisce di onorare il 23 agosto, firma del patto Hitler – Stalin, come “Giornata europea di commemorazione delle vittime di tutti i totalitarismi”, istituita già dall’ormai lontano 2008?