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IL SACERDOTE MUSICISTA

I violini di Vivaldi, ricordo di un genio

Una rara collezione di violini e altri strumenti musicali risalenti al periodo di Vivaldi alla Pietà di Venezia è stata portata a Cremona per un restauro. È proprio alla Pietà che il «prete rosso», com’era chiamato per i suoi capelli, ricevette diversi incarichi, componendo molti concerti e brani di musica sacra, che rivelano, come disse Benedetto XVI, «il suo animo profondamente religioso».

Cultura 11_10_2019

Alcune settimane fa «i violini di Vivaldi» - cioè 12 violini, insieme a due violoncelli, due contrabbassi e una viola - sono stati portati da Venezia a Cremona, per essere studiati, conservati, restaurati e valorizzati. La rarissima e preziosa collezione ha sede nell’antico Ospedale della Pietà di Venezia (oggi Istituto Provinciale per l’Infanzia «Santa Maria della Pietà»), che fu il fulcro di tutta l’attività musicale di colui al quale la musica del Settecento italiano deve estro e invenzione strumentale: appunto, Antonio Vivaldi (1678-1741).

Fondato nel 1346 - così dice la tradizione, ma in realtà anche prima - dal francescano fra Pietruccio di Assisi, l'orfanotrofio di Santa Maria della Pietà in Riva degli Schiavoni era uno dei quattro conservatori veneziani per ragazze. Istituto floridissimo sotto la Serenissima Repubblica, fu sostenuto da amministratori pubblici e benefattori privati. Il Doge lo visitava ogni anno nella Domenica delle Palme e papi come Clemente VI (1350 circa) e Paolo III (1548) se ne interessarono, come testimoniano due lapidi cittadine.

Le «trovatelle» della Pietà si dividevano in due categorie: le «figlie de comun» che apprendevano il cucito e il ricamo; le figlie di coro, musicalmente più dotate, che imparavano canto, polifonia, uno strumento musicale, nonché elementi di composizione e di direzione musicale. Queste ultime ricevevano una dote che doveva durare per 16 mesi dopo le nozze, e le future musiciste suonavano per i nobili durante le feste e impartivano lezioni private al costo di 2-3 ducati l’una.

Al giovane Vivaldi la Pietà, dal 1703 in poi, affidò diversi incarichi: «maestro di violino», maestro di «viola all’inglese» e infine «Maestro de’ Concerti del Pio Ospedale della Pietà di Venezia», qualifica a cui il compositore veneziano resterà legato per tutta la vita nonostante qualche interruzione di rapporto e periodi di assenza. La maggior parte dei suoi concerti e della sua musica sacra è destinata alle putte dell’Ospedale.

A questo genio musicale, che per qualcuno vuol soprattutto dire Le quattro stagioni, cinque mesi prima della nomina alla Pietà avevano già dato il nomignolo di «prete rosso» per i suoi capelli color rame simili a quelli del padre. Infatti, il reverendo Antonio Lucio Vivaldi era asceso al sacerdozio il 13 marzo 1703, attraverso la disciplina normale nella Chiesa Latina fino alla riforma del 1972, con il conferimento della prima tonsura e dell’ostiariato nel 1693, del lettorato nel 1694, dell’esorcistato nel 1695, dell’accolitato nel 1696, del suddiaconato nel 1699, del diaconato nel 1700 e del presbiterato, appunto, nel 1703.

Tutto questo doveva essere noto a Benedetto XVI che, in un discorso del 9 agosto 2011 al termine di un concerto in suo onore, cosi parlava «del grande italiano»:

I due brani di Vivaldi che sono risuonati stasera fanno parte dei cosiddetti «concerti ripieni», scritti per orchestra d’archi e basso continuo, buona parte dei quali avevano uno scopo didattico, specie quando Vivaldi insegnò alla «Pietà», uno dei quattro orfanotrofi-conservatori di Venezia per ragazze. La struttura dei tre tempi con un breve adagio centrale è tipica del grande italiano, ma questa uniformità architettonica non è mai monotona perché – come abbiamo ascoltato – il trattamento timbrico, il colore orchestrale, la dinamica del discorso musicale, gli impasti armonici, l’arte del contrappunto e dell’imitazione, rendono i concerti di Vivaldi un esempio di luminosità e di bellezza che trasmette serenità e gioia. Penso che questo venisse anche dalla sua fede. Vivaldi era un sacerdote cattolico, fedele al suo Breviario e alle sue pratiche di pietà. L’ascolto della sua produzione di musica sacra rivela il suo animo profondamente religioso.

Se una congenita «strettezza di petto» (una grave forma di asma che gli faceva spesso interrompere le celebrazioni) nel 1706 lo costrinse ad abbandonare il ministero concedendogli di dedicarsi interamente alla musica, il reverendo don Antonio Vivaldi rimase «fedele al suo Breviario e alle sue pratiche di pietà».

Carlo Goldoni (1707-1793), grande esponente del teatro veneziano, che nel 1735 esordì come librettista, così ci racconta (Memorie del signor Goldoni, Venezia, 1788, p. 261-264) il suo primo incontro con «questo Ecclesiastico, eccellente suonatore di violino e compositor mediocre».

Lo trovai circondato di musica, e col Breviario alla mano. Si leva, fa il segno della croce per lungo e per largo, mette il suo Breviario da banda e mi fa il complimento ordinario: «Qual è il motivo, signore, che mi procura il piacere di vedervi?».

Goldoni spiega di essere stato mandato ad adattare il libretto di Apostolo Zeno per Griselda, opera «nella prossima Fiera». E, sentendosi accolto come un novizio, continua:

«E avrò l’onore di cominciare sotto gli ordini del signor Vivaldi». L’abate riprende il suo Breviario, fa un altro segno di croce, e non mi risponde. «Signore», gli diss’io, «non vorrei distrarvi dalle vostre occupazioni religiose; ritornerò piuttosto in altro momento. […] Fatemi il piacere di farmi vedere il vostro Dramma». «Anzi, sì, volentieri… dov’è cacciata questa Griselda? Era qui… Deus in adiutorium meum intende. Domine… Domine… Domine… era qui adesso. Domine ad adiuvandum… Ah! eccola. […] L’abate, ridendosi di me presentami il Dramma, mi dà carta e calamaio, riprende il suo Breviario, e passeggiando recita i suoi Inni, e i suoi Salmi. […] In meno d’un quarto d’ora stendo sulla carta un’aria di otto versi divisa in due parti. Chiamo il prete, gli fo vedere la mia composizione. Vivaldi legge, raggrinza la fronte, rilegge, fa gridi di gioia, getta il suo Breviario per terra […]. «Ah! Signore», mi dice, «vi domando perdono»; e mi abbraccia, e mi protesta che non si servirà mai d’altro Poeta, che di me.