Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
L’INIZIATIVA

I vescovi ucraini scrivono al Papa per salvare il GPII

Con una lettera a Bergoglio e al cardinale Farrell, l’episcopato ucraino di rito latino chiede di ristabilire l’identità dell’Istituto Giovanni Paolo II, dicendosi certo che la Chiesa vincerà anche stavolta come già la Vergine, il 13 maggio 1981, «ha vinto l’attacco del male». E intanto Weigel torna a parlare dei «nuovi Vandali» che saccheggiano Roma.

Ecclesia 27_09_2019

Una breve ma incisiva lettera a papa Francesco e al cardinale Kevin Farrell. Dopo la rivoluzione all’Istituto Giovanni Paolo II, avviata con il motu proprio Summa Familiae Cura del pontefice argentino e proseguita dal duo Paglia-Sequeri con i nuovi statuti, anche i vescovi ucraini di rito latino intervengono a difesa dell’ispirazione originaria alla base dell’istituto pensato da Wojtyla. E lo fanno appunto con una lettera indirizzata a Bergoglio e Farrell, prefetto del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita.

«Vogliamo esprimere profonda gratitudine a Dio, per la persona e il servizio di S. Giovanni Paolo II, in particolare per il suo enorme contributo alla teologia del matrimonio e della famiglia», si legge all’inizio della missiva, scritta su iniziativa della Commissione per la pastorale familiare e che porta la firma di monsignor Bronislaw Bernacki, presidente della Conferenza episcopale della Chiesa romano-cattolica in Ucraina.

L’episcopato ucraino ricorda che «il segno visibile» del ministero di papa Wojtyla «è stato certamente l’Istituto Pontificio di studi sul matrimonio e sulla famiglia». Del santo polacco si richiamano nell’epistola anche il ciclo di catechesi sulla “Teologia del corpo” e “Maschio e femmina li creò” che «nella nostra pratica pastorale di lavoro con le giovane coppie, immerse in una concezione profana del corpo e della sessualità, sono un aiuto particolarmente significativo».

Fatte queste premesse, i vescovi ucraini vanno al cuore della questione: «Negli ultimi mesi abbiamo notato con dolore come questa grande opera, costruita con la grazia di Dio da Giovanni Paolo II, possa perdere la propria identità». In particolare, si ricordano la modifica degli statuti e dell’attività dell’Istituto, con il conseguente licenziamento di professori dalla grande preparazione, come padre José Noriega, monsignor Livio Melina, Maria Luisa Di Pietro, Stanislaw Grygiel, Monika Grygiel, padre Przemyslaw Kwiatkowski e suor Vittorina Marini. «Persone che hanno dedicato la propria esistenza ad attività così nobili e importanti, sono state trattate secondo la cultura dell’esclusione sociale».

I vescovi ricordano quindi un particolare illuminante sulla genesi del “Giovanni Paolo II”. Questo: «Un fatto simbolico e significativo, che fa luce sul valore dell’Istituto, è rappresentato dalla data di inizio della sua missione: 13 maggio 1981». Era dunque l’anniversario della prima apparizione della Madonna a Fatima e il giorno del tentato omicidio del Papa da parte di Ali Agca, giorno che Wojtyla aveva prescelto per l’annuncio, poi inevitabilmente rinviato, della fondazione dell’Istituto sul matrimonio e la famiglia. «L’attentato al Santo Padre non consentì l’avvio della sua attività. Riteniamo che, come allora la Beata Vergine Maria ha vinto l’attacco del male, anche in questa occasione in cui - come ha riportato Suor Lucia di Fatima - il “campo di battaglia decisivo” della lotta contro il male è rappresentato dal matrimonio e dalla famiglia, la Chiesa sperimenterà la vittoria, anche in questa specifica dimensione ovvero nell’attività dell’Istituto secondo l’identità designata da S. Giovanni Paolo II».

Da qui l’appello finale dell’episcopato ucraino a papa Bergoglio e al prefetto Farrell: «Chiediamo e ci affidiamo al Vostro concreto intervento. Crediamo che l’Istituto sia un grande dono per la Chiesa e contribuirà a rafforzare, a santificare e far crescere spiritualmente migliaia di famiglie». Lo scritto è stato inviato in copia anche ai presidenti della Commissione per gli affari familiari presso gli Episcopati d’Europa.

LA LETTERA DI 15 FILOSOFI AMERICANI

Tra le altre iniziative degli ultimi giorni che chiedono di ristabilire l’identità del “Giovanni Paolo II”, va segnalata la lettera che porta la firma di 15 filosofi e accademici dell’American Catholic Philosophical Association, in cui si sottolinea la «perdita di credibilità» causata dalle arbitrarie procedure che hanno portato alla revisione degli statuti, e si chiede di riassumere i docenti licenziati. Il loro appello si aggiunge a quelli di centinaia di altri accademici da ogni parte del mondo e degli stessi studenti (vedi il dossier della Nuova Bussola).

«I NUOVI VANDALI», SECONDO WEIGEL

Intanto, l’attuale preside dell’Istituto, monsignor Pierangelo Sequeri, ha presentato l’offerta formativa per il nuovo anno accademico, avventurandosi in un discorso di dubbia comprensione, come quando invoca «un luogo teologico planetario per il rimodellamento epocale della forma cristiana». Frase che, assieme ad altre (clicca qui), ha portato alcuni commentatori cattolici a definirlo «gnostico».

La presentazione di Sequeri non è sfuggita al teologo e biografo di Giovanni Paolo II, George Weigel, che in un commento su First Things dal titolo eloquente, Balderdash on the Tiber (“Sciocchezze sul Tevere”), ha ricordato che lui stesso ha avuto in passato l’onore di tenere lezioni all’Istituto constatando la vivacità intellettuale di professori e studenti. «Loro erano pienamente consapevoli delle difficoltà nel proporre l’etica della Chiesa dell’amore umano nelle culture dominate da un concetto di persona umana come un insieme di desideri contorti, la cui soddisfazione è un “diritto umano”». Tuttavia, continua Weigel, «erano anche determinati a rendere la proposta della Chiesa in modo accattivante, poiché erano convinti che la verità crea felicità, che la felicità conduce alla beatitudine, e che la beatitudine è il senso della vita morale».

Adesso, invece, «l’Istituto Giovanni Paolo II è caduto in mano a un nuovo branco di Vandali che portano avanti un nuovo sacco di Roma. I nuovi Vandali marciano sotto l’insegna dell’“accompagnamento” pastorale», scrive ancora Weigel, aggiungendo che il loro obiettivo è decostruire la teologia morale come trasmessa dalla Veritatis Splendor (“Lo splendore della verità”), l’enciclica in cui Giovanni Paolo II ribadiva l’esistenza di atti intrinsecamente cattivi (l’adulterio, per esempio), che tali rimangono al di là delle intenzioni e circostanze. «Ora, loro cercano di giustificare questo vandalismo con un linguaggio incomprensibile circa il “luogo teologico planetario per il rimodellamento epocale della forma cristiana”».

Questo vandalismo, conclude Weigel, «non ha nulla a che fare né con la nuova evangelizzazione né con la compassionevole cura pastorale, e ha tutto a che fare con una resa vile allo spirito del tempo».