I vescovi che si occupano dell'Artico ma scordano Gesù
La Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità Europea si è esposta a favore di uno sviluppo sostenibile dell’Artico: chiede all'Ue di «rafforzare la protezione e la promozione dei diritti umani nelle comunità indigene», che lì sono quasi inesistenti. Il punto focale pare essere quello ecologico con la richiesta di politiche più vincolanti per le aziende a tutela dell’ambiente. In otto pagine di documento la parola Cristo non appare mai.
- PRIMA VITTIMA DELL'ECOLOGISMO È LA VERITÀ, di Uberto Crescenti
Mi capita sotto mano una nota della COMECE, la Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità Europea, nella quale i vescovi europei si esprimono a favore di uno sviluppo sostenibile e integrale dell’Artico, che tenga conto di ambiente e diritti umani. Incuriosito dal nesso tra vescovi europei e Circolo Polare Artico, decido di approfondire. In effetti, con la citata nota ufficiale i presuli ribadiscono che «l’Unione Europea ha la responsabilità di garantire un Artico sostenibile e pacifico, che metta in primo piano la sua popolazione». «La futura politica dell’Unione Euopea per l’Artico – si legge sempre nella nota – dovrebbe promuovere un partenariato per lo sviluppo sostenibile e integrale delle persone, delle famiglie e delle comunità locali, nel rispetto del loro ambiente naturale».
A tal riguardo il documento episcopale suggerisce che «la dimensione umana dovrebbe avere un’articolazione più forte nella futura politica, includendo la salute, la sicurezza e lo sviluppo socio-economico delle comunità locali e dei lavoratori migranti presenti nella regione». Confesso onestamente di non sapere che i migranti fossero giunti fino alla regione artica. Non poteva mancare, poi, l’attenzione alle «comunità indigene» presenti nell’area e lo stop alle «politiche predatorie» . «La ricchezza delle risorse naturali presenti nella regione artica e la loro maggiore accessibilità a causa dello scioglimento dei ghiacci – spiega infatti la COMECE – alimentano le pratiche predatorie che sfruttano l’ambiente e impoveriscono le popolazioni locali». A questo proposito, non poteva mancare il richiamo a quella «ecologia integrale» così frequentemente citata da Bergoglio.
Ma non basta. Nella nota della COMECE si parla pure della necessità di «rafforzare la protezione e la promozione dei diritti umani nelle comunità indigene». Confesso, ancora una volta onestamente, che ero all’oscuro del fatto che al Polo Nord venissero violati diritti umani.
Il vero punto focale, però, sembra essere quello ecologico. I vescovi europei chiedono politiche più vincolanti per le aziende a tutela dell’ambiente nella regione artica. Anzi, per essere precisi chiedono proprio «un meccanismo vincolante per la responsabilità sociale delle imprese, che richieda alle aziende di rispettare pienamente i diritti umani e gli standard sociali e ambientali riconosciuti a livello internazionale». Inoltre, sempre secondo i vescovi, per prevenire «il rischio di una frammentazione della regione», l’Unione europea dovrebbe «promuovere nuove modalità inclusive di impegno multilaterale con tutti gli attori regionali e locali, comprese le comunità indigene».
Incuriosito dall’idea che i vescovi della COMECE riescano a trovare il tempo per occuparsi di Artico, decido di approfondire ulteriormente la vicenda. Scopro che in realtà la stessa Commissione ha redatto un articolato documento di otto punti in otto pagine sull’Artico. Il titolo è Ascoltiamo il grido dei poveri e della Terra. Pare proprio che i termini «poveri» e «Terra» con la maiuscola rappresentino ormai delle vere parole-talismano. Buone per essere utilizzate ovunque, come il prezzemolo nell’arte culinaria. Buone persino quando si parla della regione artica.
Giusto per non annoiare i lettori ma dare un’idea del contenuto del documento redatto dai vescovi della COMECE, penso sia utile trascrivere uno degli otto punti. Prendiamo, ad esempio, il punto n.2. Scrivono i vescovi: «L’Artico è soggetto in modo sproporzionato ai cambiamenti climatici a causa della sua maggiore sensibilità ai mutamenti di temperatura globale, che causano lo scioglimento del ghiaccio marino e della neve nella regione a una velocità senza precedenti. A sua volta, lo scongelamento del permagelo può determinare l’emissione di miliardi di tonnellate di anidride carbonica, che alimenta nuovamente il riscaldamento globale. Ciò sta avendo gravi ripercussioni sulle popolazioni artiche, sulla biodiversità e sugli ecosistemi, ma anche sul mondo nel suo insieme, portando a eventi meteorologici estremi più frequenti a livello globale: siccità, tempeste di pioggia e inondazioni. Questo circolo vizioso è ulteriormente aggravato dal fatto che l’attività umana nella regione si intensifica, spinta dalle nuove opportunità di un Artico più accessibile, poiché quando il ghiaccio marino artico si scioglie, le sue vaste risorse naturali e minerali diventano più disponibili. Ciò comporta anche un’intensificazione del traffico marittimo, compreso quello delle navi pesanti e delle petroliere. Oltre a rilasciare anidride carbonica e fuliggine nera e contribuire all’inquinamento da plastica, ciò implica anche un aumento del rischio di fuoriuscite di carburante nelle acque artiche. Mentre le acque antartiche sono protette da normative rigorose, compreso il divieto di trasporto di petrolio pesante adottato nel 2011, le regole per navigare nell’Artico sono molto più flessibili. A tale riguardo, l’Unione Europea dovrebbe sostenere gli sforzi dell’Organizzazione marittima internazionale (IMO) verso un divieto totale effettivo sia dell’uso che del trasporto di olio combustibile pesante nelle navi che navigano nei mari artici entro il 2024. Inoltre, al fine di garantire la protezione delle acque artiche fino al 2024, e per compensare potenziali lacune nel futuro regolamento IMO, l’Unione Europea dovrebbe adottare norme per le navi che fanno scalo nei porti dell’Unione Europea dopo o prima dei viaggi attraverso le acque artiche, al fine di vietare l'uso e il trasporto di carburante. Inoltre, l’Unione Europea dovrebbe anche sostenere gli sforzi dell'Organizzazione Marittima Internazionale per ridurre l'impatto delle emissioni di carbonio nero delle navi internazionali nell’Artico e garantire che la navigazione nella regione sia sicura e sostenibile, promuovendo un'efficace conservazione della biodiversità dell'Artico in linea con le disposizioni della Convenzione sulla diversità biologica, creando una rete di aree marine protette e riserve marine nell’Artico». Risparmio gli altri sette punti per compassione verso il lettore.
C’è da chiedersi, però, se i vescovi della COMECE debbano proprio occuparsi di simili problemi, ma soprattutto se essi percepiscano davvero le reali emergenze che il Vecchio Continente sta attualmente vivendo, soprattutto dal punto di vista spirituale. In tutti gli otto punti delle otto pagine del documento Ascoltiamo il grido dei poveri e della Terra, composto di ben 3.225 parole, non viene mai nominato una sola volta «Gesù Cristo» o «Dio». A questo punto sorge spontanea una domanda: a cosa serve la COMECE?