I radicali perdono la battaglia con Giovanardi
I giudici d'Appello riconoscono che la Legge 40 sulla fecondazione artificiale può essere effettivamente accostata alle leggi eugenetiche del nazismo. E danno perciò ragione al deputato modenese.
La prassi immarcescibile dei radicali di querelare tutti coloro che non la pensano come loro e non rinunciano al diritto di avere un’opinione e di esprimerla, si è infranta. Per una volta. Grazie ai giudici della Prima Sezione Civile della Corte d’Appello di Roma, che ha confermato la sentenza di primo grado e rigettato la querela per diffamazione proposta da Rita Bernardini (per i Radicali Italiani) e Marco Cappato (per l’Associazione Luca Coscioni) contro il deputato del Pdl Carlo Giovanardi.
I fatti. Nel settembre del 2004, durante la raccolta firme organizzata dai radicali per la presentazione della richiesta di referendum abrogativo della legge 40/2004, a Modena e Senigallia vengono affissi manifesti che riproducono una fotografia di Hitler, in occasione di un raduno nazista delle camice brune, recante in alto la scritta “anche loro avrebbero firmato”.
I radicali querelano. E perdono. Non contenti, propongono appello, naturalmente con relativa domanda di danni, cioè di soldi per fare cassa. I giudici dell’appello rigettano il ricorso, “non essendo ravvisabili in concreto – scrivono – gli estremi dell’illecito diffamatorio dedotto dagli attori”.
Aggiungono i giudici: “Il manifesto pubblicato dall’U.D.C. di Modena (nel 2004, Giovanardi era stato eletto nelle liste del partito di Casini, n.d.r.) con l’icastica immediatezza espressiva del mezzo di comunicazione utilizzato, è in tutta evidenza diretto ad affermare la tesi, legittimamente propugnata dagli avversari del referendum della legge 40/2004, secondo la quale l’abrogazione integrale o parziale della legge sulla procreazione assistita, avrebbe consentito la libera e incontrollata ricerca scientifica sugli embrioni umani fecondati, nonché pratiche mediche eugenetiche e, quindi, attività notoriamente propugnate e attuate, come storicamente accertato, dal regime nazista. Si tratta di opinione che, indipendentemente dalla sua condivisibilità, può essere liberamente espressa nell’esercizio garantito dall’art.21 della Costituzione”.
I giudici infine precisano che “neppure può essere affermato che le modalità espressive utilizzate in concreto abbiano travalicato i limiti di detto diritto con lesione illecita della dignità e della reputazione degli appellanti. L’espressione ‘Anche i nazisti avrebbero firmato’, si risolve in un’immediata, ma ragionata, critica rivolta sia ai promotori, sia ai sottoscrittori del referendum, di proporre con la loro iniziativa modificazioni all’ordinamento giuridico nazionale che sarebbero state gradite ai nazisti. Il manifesto non trasmoda quindi nell’illecito in mancanza di una qualificazione, generica e gratuita, delle associazioni appellanti, peraltro neppure nominate, quali organizzazioni naziste o ispirate al nazismo”.
Considerazioni. La prima riguarda l’uso della querela per diffamazione promosso dai radicali, che inflazionano i Tribunali con le loro denunce e concorrono così in modo pesante alle lungaggini della giustizia, denunciate da Pannella con i suoi digiuni.
Abituati a dire e fare tutto e il contrario di tutto, questa prassi fa anche a pugni con un loro “memorabile” (così come l’ha definito sul Corriere della Sera, Pier Luigi Battista, il primo ottobre scorso, in occasione del dibattito sul “caso Sallusti”) referendum: quello sui reati d’opinione.
La seconda considerazione deriva dalla lettura di un famoso articolo di Oriana Fallaci, apparso sul Corriere della Sera del 3 giugno 2005, a dieci giorni dal voto sulla procreazione medicalmente assistita, dal titolo “Noi cannibali e i figli di Medea. “Se al posto di Birkenau e Dachau, eccetera, ci metti gli Istituti di Ricerca gestiti dalla democrazia, se al posto dei gemelli vivisezionati da Mengele, ci metti gli embrioni umani che dormono nei congelatori, il discorso non cambia”. La Fallaci spiegava: “Si disumanizza la Natura, massacrando le creature più inermi e indifese”.
A chi l’attaccava, diceva: “E se l’infinitamente piccolo contenesse molto di più dell’infinitamente grande? E se il cervello anima dell’embrione misurasse ancor meno di un centomiliardesimo di millimetro e la miopia morale (nonché intellettuale) non riuscisse a individuarlo?”.
Si chiedeva chi era il colpevole di quello che lei definiva un abominio e rispondeva: “I politici, che per ritrovare il potere perduto consentono che i nostri (e i loro) bambini mai nati finiscano nei nuovi campi di sterminio. Gli intellettuali, che per opportunismo o profitto o smania di influire sul futuro approvano e propagandano le malefatte dei Frankenstein. I giornali, le televisioni, i media, che quelle malefatte le presentano con compiacimento, anzi col cappello in mano. E la ‘cosiddetta gente comune, la gente che per sentirsi moderna, lanciata verso il futuro, si adegua. Per non andare controcorrente, non perdere i vantaggi della cosiddetta modernità (vantaggi che alla fine si riassumono in un telefonino sempre appiccicato all’orecchio) grida al miracolo. Si piega, anzi applaude, anche se ciò significa massacrare i propri figli come Medea”. Chissà se quest’articolo sarà stato letto anche dai giudici di Roma, mentre si accingevano a giudicare le non ragioni dei radicali.