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LA PROTESTA CONTRO IL LOCKDOWN

I pubblici esercizi a terra, manifestazione in 24 città

In 24 piazze del Paese, ristoratori, baristi, bagnini, titolari di palestre, tutti i “non essenziali” chiusi dall’ultimo decreto, definitivamente o dopo le 18, hanno protestato disciplinatamente e in silenzio, apparecchiando le piazze italiane con tovaglie, piatti e bicchieri. Seduti per terra, reggendo i cartelli con i numeri della crisi che verrà.

Economia 29_10_2020
La protesta a Milano

In 24 piazze del Paese, ristoratori, baristi, bagnini, titolari di palestre, tutti i “non essenziali” chiusi dall’ultimo decreto, definitivamente o dopo le 18, hanno protestato disciplinatamente e in silenzio, apparecchiando le piazze italiane con tovaglie, piatti e bicchieri. Seduti per terra, reggendo i cartelli con i numeri della crisi che verrà, sono stati accompagnati dalle note del “silenzio” e dell’inno italiano.

“Bar, ristoranti, pizzerie, catering, discoteche e sale da ballo, popolano paesi, città, metropoli, vie, piazze, dando a questi luoghi vita, luce e sicurezza, decoro, animazione e vivibilità – ha dichiarato, in piazza Duomo, a Milano, Lino Stoppani (nella foto), presidente della Fipe, Federazione italiana dei pubblici esercizi - Siamo responsabili di fronte alla crisi sanitaria, ma subiamo da tempo la sconfortante considerazione di attività ritenute ‘non essenziali’, ogni volta in cui la situazione si complica. Attività che si possono chiudere o limitare, nonostante i rigorosi ed onerosi protocolli sanitari che abbiamo accettato, vidimati dal Comitato Tecnico Scientifico e dall’Inail. Tutte le attività economiche sono essenziali, quando producono reddito, ricchezza, occupazione e tutte le attività sono sicure se garantiscono le giuste regole e attuano i protocolli sanitari loro assegnati. Noi li abbiamo applicati, accollandoci spesso costi importanti e responsabilità spinose. Dopo tutto questo, non veniamo ancora considerati alleati nella gestione dell’emergenza sanitaria, ancora otto mesi dopo il primo lockdown. Non vediamo riconosciuto il nostro valore sociale, ma ci sentiamo usati ancora una volta come capro espiatorio, a causa di controlli carenti nel far rispettare regole che prima di essere inasprite dovrebbero essere fatte rispettare”.

“I rischi di un fallimento generale sono veri, gravi, reali. Sarebbe un danno per tutto il Paese. Siamo anche imprese, dobbiamo far quadrare i conti – ha detto Stoppani alla Nuova Bussola Quotidiana - Siamo 300mila imprese, diamo lavoro a 1,2 milioni di persone, 96 miliardi di fatturato nel 2019. E siamo il terminale strategico di due filiere: quella agro-alimentare e quella turistica. Sarebbe un grave indebolimento di tutto il tessuto sociale, perché i nostri esercizi sono anche la principale rete distributiva della socialità in questo Paese”. Un numero preoccupa in particolar modo: 300mila posti di lavoro a rischio. Questo a fronte di una spesa affrontata già ingente: “Nel settore ci sono circa 300mila imprese, ciascuna delle quali ha dovuto fare rifornimenti di mascherine per ognuno dei dipendenti, plexiglas, riduzione delle capienze, distanziamento. In tutto calcoliamo circa 1 miliardo di investimenti per la riapertura, per obbedire ai protocolli sanitari”. Il presidente della Fipe si è confrontato direttamente con il governo. Del suo incontro ci dice: “Ho avuto la possibilità di confrontarmi sia con il premier Conte che con i ministri Patuanelli e Gualtieri, che ringraziamo. Abbiamo due punti di vista differenti, che noi rispettiamo e diamo atto al governo di aver fatto ogni sforzo per cercare di aiutarci. L’indennizzo alla ristorazione è stato portato dall’iniziale 150% all’attuale 200%, aggiungendo risorse. Ma è chiaro che, per un settore che sta perdendo 27 miliardi, indennizzi complessivi per 2,2 miliardi di euro certamente è un sollievo, ma non la panacea”.

Lucia d’Errico, della Federazione Italiana Ristorazione, ci spiega che: “La ristorazione è un mondo ampio, che include anche settori dell’agricoltura, l’enogastronomia, dove c’è la produzione, la trasformazione. Non ci dimentichiamo che tutti questi settori stanno morendo. Il governo sta prendendo dei provvedimenti sbagliati. Siamo considerati non essenziali, ma chi può vivere senza mangiare? Vediamo di metterci in condizione di far lavorare chi può lavorare e solo così l’economia può riprendere a funzionare. Altrimenti moriremo tutti”.

Si parla soprattutto di ristoranti, ma anche le palestre sono i grave sofferenza. ““il nostro è un settore che ha subito tre mesi di lockdown a primavera. Abbiamo effettuato grandissimi investimenti in sicurezza sanitaria in tutti questi mesi per adeguarci a protocolli molto stringenti – dice alla Nuova Bussola Quotidiana Federico Pozzoli, titolare di palestra - L’ultima versione di questo protocollo ci è giunta venerdì scorso dal Ministero, eppure subito dopo ci è stato chiesto di chiudere. Quando non c’è un minimo dato oggettivo che dimostri che nelle palestre ci siano stati contagi”.

In piazza incontriamo anche un parrucchiere, dunque un settore non ancora colpito dalle nuove misure restrittive: “Inizio a portarmi avanti con la protesta perché possono chiuderci da un momento all’altro – ci spiega - E sono solidale con i ristoratori, perché la clientela che va al ristorante è molto spesso quella che viene nel mio salone. Ci siamo dovuti adeguare a tutti i protocolli di sicurezza, nonostante i nostri standard fossero già alti. Speriamo che non ci facciano chiudere di nuovo, dopo tutti gli investimenti che abbiamo dovuto effettuare. Noi non siamo untori. I veri untori, semmai, sono i mezzi pubblici, basti vedere come sono affollate le metropolitane e ancora oggi incontri persone senza la mascherina”.

L’effetto collaterale della crisi di un settore si ripercuote in altri, con un effetto a catena che è anche difficile immaginare. Ad esempio, Elena Ribotta, di Covenant, società di ricerca e selezione del personale, ci parla della sofferenza del suo settore, solo apparentemente immune: “Il nostro è un settore colpito duramente dal lockdown, ma in generale è colpito dalla crisi economica perché nessuno si azzarda più ad assumere personale. La paura regna sovrana. Il divieto di licenziare influirà fino a un certo punto, perché ha un limite. Questo limite sarà raggiunto fra un paio di mesi e molto probabilmente a quel punto assisteremo a un crollo”.

Di fronte ad un vero abuso di potere, sarebbe possibile difendersi in tribunale? “Non credo che una risposta giuridica possa essere adeguata a questa situazione – ci risponde Fabio Bertazzoli, avvocato milanese e coordinatore di Tea Party Lombardia - Impugnare una multa si può fare, lo faremo, lo farò anche gratuitamente, ma non credo che risolva il problema. Intanto perché ci sarà un processo, i tempi si allungheranno, ci saranno dei costi ulteriori e i risultati si vedranno, se e forse, fra anni. Non bisogna poi dimenticare che a giudicare sono dei magistrati che sono anch’essi parte della Pubblica Amministrazione, dunque lo stesso apparato statale che ci sta opprimendo. Il problema è a monte: non è legittimo l’intervento dello Stato che decide della libertà dei cittadini in completo spregio della Costituzione e soprattutto in completa violazione dei diritti naturali delle persone. La stessa Costituzione prevede la libertà di non sottoporsi a trattamenti medici obbligatori. Non si capisce perché le persone non siano libere di affrontare il rischio di un contagio. Non si deve accentrare nel governo ogni decisione sulla pelle dei singoli. Compito dello Stato dovrebbe essere solo quello di dare le giuste informazioni che permettano si singoli di prendere le proprie precauzioni”.