I preti social, tra abbandoni e narcisismo
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Per ogni sacerdote che abbandona la barca di Pietro nella tempesta, ce ne sono altri che – come sul Titanic – cantano e ballano, perfettamente a loro agio nella situazione attuale. Il ruolo dei social che alimenta il narcisismo; e quello della Chiesa, il cui approccio oggi è da boomer e non è prudente.

Ormai è uno stillicidio: dopo don Minutella e padre Giorgio Maria Farè, anche don Leonardo Maria Pompei abbandona la Chiesa cattolica per reazione al pontificato di papa Francesco e, più in generale, all’indirizzo che la Chiesa ha preso senza più tentennamenti negli ultimi decenni. Certo, si tratta di posizioni diverse, più o meno comprensibili e giustificabili; sta di fatto che diversi sacerdoti abbandonano la comunione con Roma portandosi dietro un discreto numero di fedeli; creando, cioè, delle fratture e delle divisioni nel corpo mistico di Cristo.
Questo atteggiamento, che lascia attoniti, ricorda riflessioni già condivise con i gentili lettori della Bussola. La barca di Pietro è in balìa della tempesta e la tentazione di abbandonarla è forte; si alza un grido: «Maestro, non t'importa che moriamo?». E il maestro risponde: «Uomini di poca fede». Si, perché questo è un problema di fede. Può, Dio onnisciente, ignorare quanto accade alla Sua Chiesa? Possibile che accada qualcosa che Lui non abbia permesso? Non esiste, dunque, la divina Provvidenza? E se tutto questo fosse per «una gioia più certa e più grande», come scriveva il Manzoni? E se avessimo cominciato la discesa verso la definitiva «pienezza dei tempi», preludio alla seconda venuta di Cristo?
Tuttavia, a quanto pare, per ogni sacerdote che abbandona la barca di Pietro nella tempesta, ce ne sono altri che – come sul Titanic – cantano e ballano, perfettamente a loro agio nella situazione attuale. Ho in mente alcuni sacerdoti protagonisti del «Giubileo degli influencer cattolici e dei missionari digitali», alcuni dei quali hanno pubblicato dei reel (brevi video sui social media) di palleggi sul presbiterio: «Non sono i ragazzi che devono andare in chiesa, è la Chiesa che deve andare dai ragazzi». La Chiesa in uscita, appunto; che lascia solo il Santissimo Sacramento.
Per non parlare dei preti dee-jay o delle posizioni piuttosto discutibili del prete youtuber più celebre. In questo caso, il focus sembra porsi sull’animazione, sull’entusiasmo, per «coinvolgere i giovani». Per quale fine? Oppure l’animazione, l’entusiasmo stesso sono il fine? Qualcuno più attempato dovrebbe spiegare a questi giovani sacerdoti pieni di entusiasmo che canzoncine e animazione non sono una novità; è un approccio pastorale che la Chiesa ha scelto decenni fa. E i risultati non sembrano così travolgenti.
Ma forse questi sono due lati della stessa medaglia: l’esposizione del sacro sui social media.
Tutti, ormai, sembrano accorgersi dei danni spaventosi provocati dai media digitali; a titolo di esempio, cito un documento del Senato della Repubblica: «Ci sono i danni fisici: miopia, obesità, ipertensione, disturbi muscolo-scheletrici, diabete. E ci sono i danni psicologici: dipendenza, alienazione, depressione, irascibilità, aggressività, insonnia, insoddisfazione, diminuzione dell’empatia. Ma a preoccupare di più è la progressiva perdita di facoltà mentali essenziali, le facoltà che per millenni hanno rappresentato quella che sommariamente chiamiamo intelligenza: la capacità di concentrazione, la memoria, lo spirito critico, l’adattabilità, la capacità dialettica... Sono gli effetti che l’uso, che nella maggior parte dei casi non può che degenerare in abuso, di smartphone e videogiochi produce sui più giovani. Niente di diverso dalla cocaina. Stesse, identiche, implicazioni chimiche, neurologiche, biologiche e psicologiche». Se n’è accorto il Ministro dell’istruzione e del Merito, che ha disposto l'estensione del divieto di utilizzo degli smartphone anche alle scuole superiori, con l'entrata in vigore a partire dal nuovo anno scolastico 2025/26.
Non se n’è accorta la Chiesa, che continua ad avere, nei confronti degli strumenti digitali, un atteggiamento boomer, di entusiasmo per le «felici sorti e progressive» offerte dai social media all’evangelizzazione; o forse per i suoni e le luci colorate che escono dagli schermi. Nessun caveat, nessuna prudenza, nei loro confronti. E se abbandoni sacerdotali da una parte ed «esagerazioni sensazionalistiche» dall’altra fossero un effetto di questi strumenti? Il fatto che i like, i follower creino fenomeni di narcisimo, gonfino una bolla di onnipotenza, facciano dimenticare il buon senso… queste cose valgono solo per i ragazzi? Oppure auto-celebrazione e ricerca di validazione esterna sono effetti nei quali possono incorrere anche i sacerdoti che usano in modo disinvolto di questi strumenti?
Aspettiamo, spero non invano, una parola di saggezza sugli strumenti tecnologici digitali e sui loro pericoli da parte della Chiesa. In ritardo rispetto al mondo, come sempre accade a chi insegue.