I musulmani più influenti? Sono fondamentalisti
Di recente è stata pubblicata l’edizione 2015 de The Muslim 500: The World's 500 Most Influential Muslims, un volume annuale che dal 2009 rende noti i risultati di un voto aperto al pubblico per stabilire chi siano i musulmani più influenti al mondo. Nei primi posti, tutti i lerader più intransigenti e fondamentalisti.
Di recente è stata pubblicata l’edizione 2015 de The Muslim 500: The World's 500 Most Influential Muslims, un volume annuale che dal 2009 rende noti i risultati di un voto aperto al pubblico per stabilire chi siano i musulmani più influenti al mondo. A gestire il progetto è il Royal Islamic Strategic Studies Centre in Amman, in Giordania.
Seppur basato su un metodo alquanto discutibile, The Muslim 500 offre un elenco delle personalità religiose e politiche che hanno più seguito e visibilità in seno al mondo islamico. Anche quest’anno vengono confermate tra i primi cinquanta nominativi, due predicatori che appartengono sia all’International Union of Muslim Scholars con sede a Doha, l’istituzione internazionale dominata dai Fratelli musulmani, sia al European Council for Fatwa and Research con sede a Dublino, ovvero la sede europea dell’International Union. Si tratta di Yusuf Qaradawi e Ali Mohy al-Din al-Qaradaghi, rispettivamente presidente e segretario generale dell’International Union e del European Council. Qaradawi si è classificato al trentaduesimo posto e Qaradaghi al quarantanovesimo. Unitamente a loro tra i primi cinquanta musulmani influenti si trovano il presidente turco Recep Tayyip Erdogan all’ottavo posto, Salman al-Ouda al diciassettesimo posto, Muhammad Taqi Usmani al ventiduesimo posto, il leader di Ennahdha Rached Ghannouchi, Ibrahim Salih tutti membro dell’International Union of Muslim Scholars.
É quindi lecito dedurre che l’International Union of Muslim Scholars e i suoi membri svolgano un ruolo decisivo nel formare l’opinione pubblica islamica, non solo nel ristretto ambito della Fratellanza musulmana, ma anche nel più vasto panorama del mondo islamico praticante. Nel novembre 2014 gli Emirati Arabi Uniti, in base alla legge federale 7/2014 hanno incluso l’istituzione con sede a Doha in un elenco di 84 nuove organizzazioni terroristiche. Immediatamente l’International Union ha reagito con un comunicato in cui si chiedeva agli Emirati di riconsiderarne la posizione poiché la Union «ha emesso decine di comunicati contro gruppi estremisti e terroristi». È vero sono stati emessi comunicati contro Al Qaeda, contro lo Stato Islamico, tuttavia la definizione di terrorismo dell’Unione così come di Qaradawi e Qaradaghi, che come si è già affermato presiedono anche una istituzione europea, è alquanto ambigua ed è strettamente connessa a motivazioni politiche più religiose.
Da quando Mohammed Morsi è stato allontanato dal potere nel luglio 2013, l’attuale presidente egiziano è diventato un “tiranno” e un “terrorista” contro il quale è lecito “resistere” con ogni mezzo. Qaradawi, in occasione dell’anniversario degli scontri durante la manifestazione in piazza Rabia al-Adawiyya al Cairo nell’estate del 2013 ha scritto su un manifesto ufficiale: «Il sangue che viene versato per la giustizia non è versato invano e chi viene ucciso sulla via di Allah e per instaurare la Sua giustizia sulla terra non è morto e non morirà.» (si veda la foto sotto il titolo)
Questo stesso parametro viene usato da sempre da Qaradawi (presidente del Consiglio Europeo per la Fatwa e la ricerca con sede a Dublino), Qaradaghi e dalla maggioranza dei membri dell’International Union of Muslim Scholars e dell’European Council for Fatwa and Research, quando si tratta di giudicare quanto avviene in Israele. Nei giorni scorsi Qaradawi ha, ad esempio, postato sul suo account Twitter il seguente messaggio, che poi è stato ripreso dal sito dell’International Union: «La mano che ieri portava la pietra per difendere Al Aqsa, oggi può portare il coltello e domani se Allah vorrà porterà un'arma #l’intifadaèpartita».
Nel luglio scorso, sempre Qaradawi, faceva un passo indietro sulla sua posizione a favore degli attentati suicidi poiché “ormai sono disponibili missili che possono colpire Israele”. L’8 ottobre Qaradawi scriveva sul proprio profilo Twitter: “gli ebrei che si sono lamentati del ‘razzismo nazista’ oggi incarnano un nuovo razzismo nazista estremista che vede solo se stesso e vede il nemico in tutto ciò che è altro da se stesso.”
Dal canto suo, Ali Qaradaghi ha affermato in un comunicato che il terrorismo non è islamico e che i “gruppi terroristici sono stati costruiti da forze straniere”. Già nel marzo scorso Qaradaghi affermava che “difendere Gerusalemme e liberarla con tutti i mezzi possibili è un dovere e una necessità nazionale e umanitaria”, che “i palestinesi e i musulmani non hanno come unica opzione la resistenza […]” e concludeva dicendo che la resistenza andava condotta con tutti mezzi possibili.
In questi giorni il sito dell’International Union, così come i suoi account Twitter e facebook, pubblicano in continuazione inviti alla resistenza armata nei confronti dei Sionisti e degli ebrei, proprio come Hamas che di fatto è il ramo palestinese dei Fratelli musulmani. Il fatto che molti membri dell’International Union e del European Council for Fatwa and Research agiscano liberamente in Europa dovrebbe preoccupare, ma di fatto avrebbe dovuto preoccupare da anni.
Il governo israeliano sta valutando di inserire la Gamaat al-islamiyya, una delle espressioni della Fratellanza in Israele, nella lista delle organizzazioni terroristiche per incitazione alla violenza. Ebbene, nel luglio 2015 David Cameron alla Ninestiles School di Birmingham ha pronunciato un discorso molto chiaro, saggio e coraggioso, in cui tra l’altro affermava quanto segue:
“Nel contrastare l’estremismo islamista, una parte fondamentale della nostra strategia è di occuparci dei suoi due volti, quello non violento e quello violento. Questo significa che dobbiamo anche occuparci di quelle organizzazioni che non difendono la violenza, ma che comunque promuovono altre parti dell’estremismo. Dobbiamo dimostrare che se dici “condanno la violenza, ma l’infedele è un essere inferiore”, o “la violenza a Londra non è giustificata, ma gli attacchi suicidi in Israele sono un’altra faccenda”, anche tu sei parte del problema. Che tu lo voglia o no, e spesso lo vuoi, stai dando sostegno a chi vuole la violenza”.
Un consiglio che andrebbe ascoltato prima che sia troppo tardi non solo dall’Europa, ma anche da chi in Giordania include questi personaggi tra i cinquanta musulmani più influenti non rendendosi conto che la loro ideologia contiene tutti i semi della radicalizzazione e dell’estremismo che conducono al jihadismo.