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IL CASO STARANZANO

"I miei dubia al vescovo sui gay". Così scrive un parroco

"Il discernimento secondo Sant'Ignazio è tra due beni, non tra un bene e un male". E' il cuore della lettera che il parroco di Staranzano ha scritto al suo vescovo dopo il caso del capo scout gay "sposo" e del discernimento chiesto dal prelato di Gorizia. Il metodo utilizzato da don Francesco è quello dei dubia, della richiesta pacata di un chiarimento. Avverrà o sarà messo alla gogna anche lui?

Educazione 19_07_2017

A Staranzano c’è un parroco che non viene incensato dai giornali, ma che potrebbe insegnare a molti suoi confratelli qualche cosa sull’amore alla Chiesa e alle anime. Questo parroco si chiama don Francesco Fragiacomo ed è il parroco del comune il cui locale capo scout si è unito civilmente con il suo compagno, che è anche consigliere comunale del Pd. Senza di lui non ci sarebbe stato nessun caso educatore scout per il semplice fatto che a nessuno sarebbe mai venuto in mente di polemizzare con il capo Agesci, il cappellano dell’associazione e tutta la combriccola festante che li ha celebrati in sala consiliare al canto di Dio è morto.

Invece don Francesco era uscito sul bollettino parrocchiale chiedendosi se non fosse il caso che dopo aver fatto coming out ed essersi unito in Comune non fosse il caso per lui di lasciare l’incarico di capo scout, associazione educativa un tempo florida e oggi invischiata anch’essa come altre nei mali del relativismo moderno.

Apriti o cielo. Il caso è esploso e continua ancora oggi nel mondo scout. Ma il sacerdote aveva atteso a lungo anche un intervento del suo vescovo. E quando questo finalmente è arrivato immaginiamo come deve essere rimasto deluso. Il pastore di Gorizia infatti, con grande astuzia e con l’appoggio di Avvenire ha sostanzialmente detto: “Bè, discerniamo”. Discerniamo che cosa?

Ora. Un pastore potrebbe anche mettersi al riparo e dire: “Vabbè, io ci ho provato”. Invece don Francesco si è fatto coraggio e senza demordere ha scritto al suo vescovo per chiedergli, filialmente, a questo punto come si deve comportare con casi come questi.

La lettera, che il sacerdote ha postato anche sul profilo Facebook della parrocchia è un piccolo capolavoro di teologia morale e parte dalla vicenda di Staranzano, che lo ha visto protagonista, per toccare il centro nevralgico del dibattitto attuale sulla dottrina morale e su come oggi dovrebbe essere adattata secondo lo spirito del mondo. Inizia così: “Mi rivolgo a Lei come padre nella fede e maestro nella dottrina”. Ed è una lunga disamina dell’intervento episcopale sul caso scout ribadendo che la sua non è una provocazione, ma una doverosa richiesta di chiarezza.

Il sacerdote procede elencando il caso di un uomo che dichiara di avere rapporti omosessuali col compagno con cui convive. “Mi chiede un consiglio riguardo i suoi atti: li deve considerare peccati o no? Cosa gli rispondo?”. Don Francesco cita la lettera della Cfd del 1986, la dichiarazione Persona Humana e il Catechismo della Chiesa Cattolica, 2357. Per concludere: “Personalmente devo dire che mi risulta davvero difficile ritenere che sia secondo il disegno e il volere di Dio un rapporto sessuale tra due uomini. Se questa persona non riconosce tali atti come peccato, dopo averlo invitato ad un percorso di accompagnamento, gli diamo l’assoluzione?”.

Al secondo punto don Francesco ricorda che “Sant’Agostino ci ha insegnato che il peccato è la privazione di un bene, un dono rifiutato, un vuoto di amore, o come direbbe forse papa Francesco, un sogno di Dio che s’infrange”. Ma se “un giovane, chiamato potenzialmente ad essere marito e padre” decide di imboccare la “via della relazione omosessuale rafforzandola e confermandola con un patto civile, non si sta responsabilmente privando del bene della paternità, dell’amore nell’alterità uomo donna, della fecondità? Non sta dunque precludendosi la strada verso un bene di Dio per una scelta intrinsecamente sbagliata? Quindi la sua scelta non è da ritenersi già in sé peccato”?

E veniamo al punto dolente, quello del discernimento. Don Francesco ricorda che “Sant’Ignazio ci insegna che il discernimento, in senso stretto, va applicato quando ci sono in alternativa due beni. Con la luce dello Spirito e con aiuti umani si ricerca il bene maggiore tra i due. Quando in oggetto c’è invece l’alternativa tra il bene di Dio e il peccato, il “discernimento degli spiriti” è in funzione della conversione affinché con la luce dello Spirito, si possa prendere coscienza fino in fondo del male e ricevere la forza di compiere il bene”.

La comunità cristiana di Staranzano (o almeno la parte di essa implicata), in relazione al fatto del 3 giugno scorso, con tutte le modalità ed implicazioni ormai note, ha bisogno di un cammino di discernimento per scegliere tra due beni o di un percorso di conversione?". Altrementi, ricorda, “se cercassimo solo una “soluzione pratica” senza un approfondimento vero del caso, sarebbe come coprire con una fasciatura una ferita non curata e il danno, con il tempo, sarebbe peggiore”.

Non risulta che il vescovo abbia risposto a don Francesco, se lo avesse fatto la cosa è ancora rimasta privata. Resta il fatto che questo sacerdote ha utilizzato nei confronti del suo vescovo la stessa parresia e desiderio di chiarezza che hanno avanzato i 4 cardinali, oggi 3, negli ormai famosi dubia a Papa Francesco sull’interpretazione di Amoris Laetitia. Desiderio di chiarezza per il bene della Chiesa e delle anime, bisogno di fare verità. Il comportamento di questo sacerdote e dei cardinali è improntato alla massima fiducia e al massimo rispetto. Eppure i porporati, oltre a non aver mai ricevuto alcuna risposta, sono attaccati da quasi un anno come i peggiori nemici del Papa e della Chiesa. Esiliati ed emarginati. Il destino di questo parroco non sarà dissimile. Ma in cuor suo saprà di aver fatto tutto il possibile per arginare il male. Che invece con dichiarazioni ambigue e relativiste come quella del vescovo di Gorizia, dilagherà ancora di più, scambiato da bene.