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il caso Patarnello

I magistrati vogliono abbattere il governo, democrazia malata

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Non ci sono solo le inchieste a orologeria. A infiammare il rapporto tra Governo e magistratura ci sono anche le esternazioni dei giudici che denotano tutta la loro partigianeria e il rischio di una democrazia malata. Considerazioni sul caso Patarnello. 

Politica 22_10_2024

Nelle ultime ore il termometro dello scontro tra governo e magistratura è tornato a salire vertiginosamente. Questa volta il detonatore non è il caso Salvini-Open Arms e non lo sono neppure le grane giudiziarie di qualche ministro. In questo caso è in gioco l’equilibrio tra i poteri perché un’esternazione alquanto eloquente di una toga ha fornito la rappresentazione plastica di quanto certa magistratura sia debordante e politicizzata.

A scatenare un vero e proprio vespaio sono state le parole di Marco Patarnello, 62anni, toga aderente a Magistratura democratica e sostituto procuratore generale della Cassazione dopo un lungo trascorso da giudice a Roma. Patarnello ha scritto una mail ai propri colleghi, che è finita a tutti gli indirizzi della mailing list dell’Associazione nazionale magistrati, cioè un luogo di dibattito interno tra le toghe di tutte le correnti. Il premier Giorgia Meloni ne ha rilanciato un passaggio sui social: «Meloni non ha inchieste giudiziarie a suo carico e quindi non si muove per interessi personali, ma per visioni politiche e questo la rende molto più forte, e anche molto più pericolosa la sua azione».

Non può tranquillizzare la seconda parte della mail, che pure sembrava smorzare il carattere battagliero della prima: «Non dobbiamo fare opposizione politica, ma difendere la giurisdizione e il diritto dei cittadini a un giudice indipendente. Senza timidezze», ha aggiunto Patarnello. Infatti, è vero che il sostituto procuratore generale della Cassazione ha negato di voler fare opposizione politica, ma è altrettanto innegabile che il suo messaggio appare assai orientato politicamente.

I magistrati, non è mai superfluo ricordarlo, devono essere neutrali, super partes e applicare le leggi, che in una democrazia parlamentare come la nostra le fanno le Camere, spesso su proposta del governo. Invece sempre più spesso le toghe pretendono di paralizzare il funzionamento delle istituzioni democraticamente elette perché non ne condividono le decisioni, scendendo di fatto nell’agone politico.

C’è un altro passaggio dell’esternazione di Patarnello che fa riflettere: «La magistratura - si legge nella sua mail - è molto più divisa e debole rispetto ad allora (n.d.r. riferito al periodo berlusconiano). È isolata nella società. A questo dobbiamo assolutamente porre rimedio. Possiamo e dobbiamo farlo. Quanto meno dobbiamo provarci». Trasuda l’idea di una militanza, di una contrapposizione tra governo e magistratura, quasi che il primo fosse un nemico per la seconda. Altro che indipendenza, neutralità e autonomia.

 «I magistrati - come ha sottolineato Ignazio La Russa, presidente del Senato - devono rispettare la destra che ha vinto». E Matteo Salvini ha rincarato: «Patarnello non può stare in quel posto». Lo scontro fratricida con le toghe rischia di avvelenare il clima istituzionale e di produrre effetti dirompenti sulla tenuta dell’esecutivo. Lo stesso ministro della giustizia, Carlo Nordio era intervenuto all’indomani della sentenza sui migranti, definendola eccessiva. E le opposizioni ne avevano chiesto le dimissioni.

Il famoso detto “chi tocca i fili muore” si rivela sempre particolarmente attuale quando qualche esecutivo prova a riformare la giustizia, a intaccare almeno qualcuno dei privilegi che le toghe hanno nel tempo acquisito, a introdurre la separazione delle carriere. I magistrati, salvo casi isolati, su questi temi non vogliono sentire ragioni e si compattano per difendere lo status quo. E a colpi di inchieste a orologeria il più delle volte riescono nel loro intento: destabilizzare il quadro politico, impedire di governare a chi è stato eletto dal popolo, e attivare la tenaglia mediatico-giudiziaria con i giornalisti compiacenti e giustizialisti che fanno di tutto per appiattirsi sulle procure, facendo da megafoni a iniziative giudiziarie spesso ai limiti del sovversivo.

Sia ben chiaro, si tratta di casi circoscritti, ma che spesso producono effetti incontrollabili e determinano nuovi equilibri tra i poteri. La Meloni, a differenza di Silvio Berlusconi, non ha tanti fronti aperti, non è attaccabile più di tanto. Le opposizioni vorrebbero disarcionarla ma non sanno contrapporle un programma politico unitario e dunque approfittano dello scontro magistratura-governo e lo fomentano, sperando di ricavarne un tornaconto.

Siamo di fronte a un’alterazione evidente del funzionamento della democrazia e sarebbe opportuno che tutti i poteri, a cominciare da quello giudiziario, rientrassero nell’alveo delle disposizioni costituzionali, rispettandosi a vicenda.