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GORINO E NON SOLO

"I giornalisti sono di sinistra". Vero

La condanna dei media è unanime: i cittadini di Gorino sono "razzisti". Poco importa che siano elettori di centro-sinistra e che abbiano reagito così per i metodi adottati dal prefetto. Ma allora vuol dire che i giornalisti son tutti di sinistra? Sì. E uno studio lo dimostra. Ed è l'ideologizzazione la causa prima della crisi di fiducia di cui soffrono i media.

Cultura 27_10_2016
Giornalismo

Dire che “la stampa è di sinistra” pare un luogo comune. Se lo dice un giornalista non di sinistra, pare solo un pregiudizio. Eppure, uno studio ora inizia a far luce e svela che: i giornalisti sono effettivamente quasi tutti di sinistra.

“Lettera agli abitanti di Gorino, con mia profonda vergogna”, leggiamo sul Fatto Quotidiano. “Barricate a Gorino contro dodici donne e otto bambini”, titola La Repubblica, senza pronunciare la parola “vergogna” ma praticamente sottintendendola. “I respingimenti di Gorino e il male radicale che abbiamo nel cuore”, titola l’Huffington Post. Tutti o quasi mettono ben in evidenza, nel titolo, le parole del ministro Angelino Alfano: “Quella non è l’Italia”. I cittadini di Goro e Gorino, che hanno rieletto un sindaco di centro-sinistra (dunque non sono certo fascisti), hanno fatto le barricate per non far entrare immigrati segnalati all’ultimo, imposti in un ostello requisito per l’occasione con poco o nullo preavviso, rovinando un’attività turistica che iniziava a ingranare (tutte le cinque stanze del piccolo alloggio erano prenotate). I giornalisti dei Tg hanno intervistato i “barricadieri” e non hanno ottenuto alcuna risposta razzista, ma solo preoccupazione sull’ordine pubblico, sui metodi arbitrari con cui sono stati assegnati gli immigrati. Ma per le firme della stampa italiana, tutti sono razzisti, egoisti, provinciali.

E ci sono tanti altri temi su cui le grandi testate giornalistiche hanno raggiunto la pressoché completa unanimità. Limitandoci solo ai temi di quest'anno: Trump e, in generale, il partito Repubblicano è “populista”; i partiti di destra (tutti, indistintamente, dall’Ukip britannico all’AfD tedesca, passando per la Lega Nord) sono “xenofobi”; la Brexit è un segno di “chiusura” ed è “suicida”; al referendum sull'accordo con le Farc, i colombiani hanno detto "no alla pace"; le maggiori minacce all’Europa sono “i muri” e “il populismo”. L’Ungheria è “razzista” e Orban è “quasi un dittatore”. Per risolvere i problemi economici "ci vuole più Europa"; per ogni problema, anche individuale, "ci vuole una legge"; se persiste un problema sociale, nazionale o internazionale, "è colpa del neoliberismo". Se c'è una strage "è colpa del Far West delle pistole libere". Se un fatto di sangue coinvolge afro-americani "è colpa del razzismo". Il riscaldamento globale “è certificato dalla totalità degli scienziati” e ad esso viene attribuita la causa di tutti i problemi, dalla guerra in Siria all’emigrazione di massa. Unioni civili e nozze gay, che riguardano, in realtà, una minoranza veramente esigua di persone, sono tanto sovraesposti da apparire come l’equivalente nel XXI Secolo dell’emancipazione razziale nel XX, anche se la “razza” non c’entra nulla. 

Insomma, ad ascoltare, vedere e leggere i media, tutti i giorni, pare di consultare un unico grande giornale di partito, con la sua agenda politica, battaglie, priorità, strategie e tattiche. E’ così? A quanto pare: sì, o quasi. Numeri alla mano, due docenti dell’Università degli Studi di Milano, Luigi Curini (professore di Scienza Politica) e Sergio Splendore (ricercatore e docente di Comunicazione Pubblica e Communication Research), hanno dimostrato che la media dei giornalisti italiani è spostata marcatamente più a sinistra rispetto alla media della popolazione. L’articolo, con relativi grafici, che hanno pubblicato sul sito Lavoce.info, è eloquente. Già i loro grafici parlano da soli. La curva gaussiana che rappresenta la tendenza politica dei giornalisti raggiunge il suo picco nell’area fra l’estrema sinistra e la sinistra moderata. Quella che rappresenta la tendenza politica degli italiani è invece una “montagna” spostata molto più a destra, il cui picco è nell'area centrista. I dati sulle idee dei giornalisti sono attinti dalla ricerca demoscopica The Worlds of Journalism Study, quelle sulle preferenze ideologiche degli italiani dall’ultimo Eurobarometro disponibile. La sovrapposizione fra le due, dà l’idea di quanta distanza ci sia fra i giornalisti e i loro potenziali lettori.

La crisi di fiducia di cui soffre la stampa italiana è motivata soprattutto da questa distanza ideologica. E stiamo parlando di una crisi di fiducia grave, che riguarda, ormai, più di un italiano su due. Se i lettori del nostro paese non credono più a quel che leggono e preferiscono rivolgersi a blogger e social network, non è dunque per “analfabetismo funzionale”, ma perché ritengono che i media facciano più propaganda (progressista) che vera informazione. All’analisi di Curini e Splendore, sarebbe da aggiungere anche un’altra considerazione: un giornalista ideologico tende più a commentare che a informare, evita di approfondire la notizia anche per timore di scoprire pezzi di realtà che possano contraddire la sua tesi pre-confezionata e per lo stesso motivo tende ad accontentarsi della prima notizia senza aspettare troppe conferme. Superficialità, eccesso di commenti rispetto alla cronaca e fretta nel dare le notizie, sono i principali difetti individuati nel giornalismo italiano quali cause maggiori della disaffezione del lettorato.

Alla domanda su come mai gli editori non correggano la rotta, se non altro per tornare a vendere più copie o ottenere maggiori ascolti, i due autori dello studio rispondono con la teoria della nicchia: ogni giornale si crea il suo “popolo” di riferimento ed è difficile che lo abbandoni per lanciarsi nella colonizzazione di terreni inesplorati. Ma, aggiungiamo noi, anche qui l’ideologia gioca la sua parte. Un editore politicizzato (e i maggiori editori italiani, finora, lo sono) non intende ascoltare il popolo dei lettori. Semmai lo vuole educare. Il compito dei giornalisti, almeno dal ’68 in poi, è più pedagogico che informativo. E non è un fenomeno inedito, perché è l’equivalente moderno del dovere di “fare gli italiani” dopo che il Risorgimento aveva “fatto l’Italia”. I cittadini di Gorino, insomma, “non devono” essere ascoltati. Devono essere educati all’accoglienza, secondo testate che hanno sempre meno lettori. Perché pochi, dopo la scuola, hanno ancora voglia di farsi educare da un giornalista.