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INTERVISTA

«I genitori non pensino a essere perfetti, ma indichino ai figli la strada di un’avventura buona»

«L’educazione cristiana consiste nell’introdurre chi ci è stato affidato in una grande avventura che ha un buon finale. Non c’è altro, è semplicemente questo. Lo scopo dell’educazione che ci dava Gesù è di riconoscere il Salvatore». Vincent Nagle è un prete della Fraternità San Carlo Borromeo di Roma. Nato a san Francisco, don Vincent ha avuto un'educazione hippy e femminista. Poi la conversione al cattolicesimo. 

Famiglia 06_12_2014
Don Vincent Nagle

Educare è poter dire al figlio. «Vivi figlio mio, vivi! Stiamo vivendo un’avventura pazzesca che finisce bene, che ha una lieta fine! Vivi, non avere paura! Tutto in questo mondo è contro di te, ma non temere!». Quando pronuncia queste parole, la voce di padre Vincent si fa viva e vibrante.  E non ha alcun dubbio quando mi dice che: «Avere figli ed educarli, non significa prima di tutto proteggerli dal dolore e dalle sofferenze, nemmeno quelle che gli rechiamo noi». Vincent Nagle è un prete della Fraternità San Carlo Borromeo di Roma, lo riesco a intercettare con un po’ di fortuna visto che la sua missione lo impegna costantemente in giro per il mondo. 

Nato a San Francisco (Usa) nel 1958, Vincent cresce in un clima familiare confuso e connotato dalla forte ideologia femminista. Dopo un percorso vivace e grazie ad una serie di amicizie decisive, su tutte quella con don Massimo Camisasca, viene ordinato sacerdote nel 1992. Chiacchieriamo per circa un’ora e nonostante lui mi parli da Roma con un italiano molto californiano e io sia a Milano con alle caviglie una figlioletta che verseggia allegramente, padre Vincent riesce a farsi capire molto bene. É il dono di chi, come lui, quando parla sa far vivere un’esperienza. L’esperienza di una missione che lo ha portato dagli Stati Uniti, dove ha lavorato per dieci anni come cappellano in un ospedale in New England, sino in Medio Oriente presso l’Ufficio del Patriarca di Gerusalemme. E che oggi lo vede impegnato più che mai a combattere al fianco delle famiglie, proprio come gli ha insegnato don Massimo Camisasca: «Voi preti, il vostro primo lavoro è sostenere le famiglie, perché loro sono in trincea, loro sono in prima linea, loro sono sotto attacco, loro hanno la missione di mandare avanti la Chiesa con i loro figli». Vincent ha di recente intrapreso, in giro per l’Italia, un ciclo di incontri dal tema: “Educare i figli cristianamente, oggi è possibile?”. Ed è proprio su questo che approfondiamo il nostro colloquio. 

Padre Vincent se educare i figli non significa prima di tutto proteggerli, qual è il compito principale di un genitore?

«L’educazione cristiana consiste nell’introdurre chi ci è stato affidato in una grande avventura che ha un buon finale. É poter partecipare non solo a una grande storia, ma alla Grande Storia. Non c’è altro, è semplicemente questo. Lo scopo dell’educazione che ci dava Gesù è di riconoscere il Salvatore. Tutto il resto sono i frutti dell’educazione, ma non lo scopo. Quindi, la questione di fare i genitori non è la questione di una bravura personale, ma è una missione data da Dio! Perciò non può dipendere da quanto mamma e papà sono bravi a non sbagliare, a non commettere errori. E nemmeno da quanto sono attenti o presenti. Mettendo figli nel mondo, bisogna accettare che è un mondo pericoloso, pieno di rischi, però è un’avventura che dà gusto alla vita. Bisogna affrontarla senza paura!».

Perché si può educare senza paura? Senza paura che il male, e se ne sente tanto ogni giorno, colpisca i nostri figli?

«Perché non avere paura? Perché tutto, ma proprio tutto, fa parte di una bellissima avventura che ha una lieta fine! Perché l’ultima parola non è la nostra, ma è nelle mani di Chi è risorto dalla morte e che ci manda lo Spirito Santo. È incredibile questa nostra vita: è un susseguirsi di imprevisti che ci scombussola in continuazione, ma la bussola c’è. È Lui qui in mezzo a noi. Lo possiamo incontrare, Lo possiamo conoscere, possiamo essere accompagnati da Lui e possiamo vedere la Sua presenza. Quindi le prove anche durissime che ci sono in questa vita non ci spaventano più».

Però viviamo in un momento in cui, solo per fare un esempio, il ministero dell’Educazione fa coppia con le associazioni Lgbt per introdurre nelle scuole l’insegnamento della cosiddetta “cultura gender”. E così i genitori si trovano a fare i conti con educatori che insegnano ai figli che la differenza tra maschio e femmina non esiste, che si possono avere due mamme o due papà etc…

«Io conosco bene questa situazione. Mia mamma è stata una delle fondatrici di tutto il pensiero e la filosofia New Age e mia sorella è un’esponente molto conosciuta di una certa espressione della cultura lesbica. Dunque, io sono cresciuto proprio nell’ambiente omosessuale. Quando ero ragazzo la nostra casa in California era frequentata da diversi personaggi di rilievo di questa cultura, persone con cui spesso mi capitava di discutere, e posso dire con certezza che tutto quello che oggi sta accadendo era già scritto e stabilito. Mi raccontavano come il loro obiettivo fosse innanzitutto quello di impadronirsi dell’educazione, di entrare nelle scuole, specialmente in quelle elementari, per diffondersi nei corridoi della politica e della burocrazia. Perché mirare all’educazione? Gli esponenti di questa cultura sanno bene che una persona adulta e sana quando sente certe cose, quando viene a conoscenza di certi atti sessuali li disprezza, è normale che li respinga. Loro lo sanno bene ed è proprio per questo che devono prevenire simili reazioni, costruendo una nuova mentalità. Devono fare in modo che un ragazzo non si permetta nemmeno di pensare in un certo modo e perciò lo devono “educare” sin da piccolo. Mi spiegavano tutto questo quarant’anni fa, ora lo stanno mettendo in atto. Noi non possiamo pretendere di non appartenere a questo momento storico. Questa è una strada che non va da nessuna parte».

E quindi, qual è la strada?

«Un genitore, un educatore, può iniziare a spiegare al ragazzo che c’è una natura, che la natura è fatta per favorire la vita e che l’uomo è in sintonia con il creato quando la sua natura, le sue azioni e la sua sessualità favoriscono la vita. Va bene, lo può fare, ed è ragionevole spiegare questo. Però io dico che il vero antidoto è consegnare nelle mani dei figli - di chi Dio ci affida - una missione, un compito. É poter dire ai ragazzi che la loro vita sarà sempre più libera quanto più investita in un compito, in una missione per cui valga la pena vivere e lottare. Perché i nostri ragazzi devono affrontare tutto il mare di informazioni, tutti i punti di vista, tutta la propaganda e il lavaggio del cervello che gli viene addosso, devono affrontare tutto quanto e i genitori non possono pensare di difenderli da ogni cosa. Allora il ragazzo potrà stare in questa realtà senza perdere la sua identità, solo se vive un’ipotesi che risponde alla sua domanda: “Perché esisto?”. Senza una risposta a questo interrogativo è chiaro che tutto diventa un idolo, specialmente la sessualità che è come uno tsunami. Quando un ragazzo è lasciato senza una missione, senza un compito per cui vivere e lottare, è allora che inizia la confusione, è allora che inizia l’ambiguità».

La questione di fare i genitori - hai detto - non è una questione di bravura, di quanto mamma e papà siano bravi a non commettere errori.  Eppure gli errori dei genitori fanno soffrire i figli, in alcuni casi anche parecchio…

«Se un genitore pecca, si confessa fa penitenza, e tanta, però vive! Vive una missione. Non siamo in questo mondo per stare bene, siamo qui per vivere. E vivere vuol dire soffrire, vuol dire morire per qualcosa. Allora se un uomo, un genitore sa per cosa vive, se guarda i suoi figli grato perché con loro può condividere questo significato, allora questa certezza viene prima ed è più importante di qualsiasi errore che quel genitore può commettere. Perché i genitori sono peccatori, chiunque essi siano, sono peccatori che infliggeranno molta sofferenza e molte ferite nei loro figli. Però questa sofferenza che arrechiamo ai nostri figli non è un’obiezione, ma fa parte della missione». 

 Cosa significa?

«Significa che se c’è un motivo per vivere, non contano le sofferenze. Io avevo una fidanzata che faceva la ballerina professionista di danza classica. Nei cinque anni in cui siamo stati insieme sarò andato centinaia di volte a prenderla dopo l’esercitazione. Dopo ogni singola esercitazione sulle punte, lei si sedeva sulle scale, toglieva le scarpette e ogni volta usciva dai suoi piedi parecchio sangue. Lei non si lamentava mai di questo, perché sapeva che quella sofferenza faceva parte del vivere la grande bellezza di quella forma d’arte. Anzi, lei era fiera di quelle ferite, fiera non sconcertata. Quindi che i vostri figli siano fieri della sofferenza, anche quella che gli infliggete voi, perché fa parte della grande avventura che hanno ricevuto da voi. Della missione che hanno imparato attraverso di voi. Del grande compito che gli avete consegnato voi. Allora io dico: non avere paura! Tutto in questo mondo è contro di te, tutto, ma con Lui sei già vincitore. Cammina, anzi corri con Lui! C’è gloria per te, figlio mio, c’è gloria eterna! Andrai a cadere in battaglia, ma non temere! Stai in campo con Lui perché Lui ha già vinto. Se stai in battaglia con Lui, avrai la Sua vittoria, la Sua gloria! Tutto è contro di te ma Lui ha già vinto. Vivi, figlio mio, vivi! Va, non perché sai vincere tu, ma perché Lui ha già vinto!».