PAPA
I due testamenti alle Fosse Ardeatine
«La violenza deliberata dell'uomo sull'uomo è l'effetto esecrabile di ogni guerra» commenta Benedetto XVI.
-Il luogo simbolo della resistenza,
di L. Carlesso
Attualità
28_03_2011
Con la visita di Benedetto XVI al sacrario delle Fosse Ardeatine di domenica 27 marzo si è completato idealmente il pellegrinaggio del Papa tedesco ai luoghi che ricordano gli eccidi del nazismo, dopo le visite ad Auschwitz del 2006 e allo Yad Vashem di Gerusalemme nel 2009. Il Papa è stato accompagnato, fra l’altro, dal cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, che è figlio del colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo (1901-1944), fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944 insieme ad altri 334 civili e militari italiani, uccisi come rappresaglia dopo l’attentato di Via Rasella a Roma del 23 marzo, in cui erano morti 33 soldati tedeschi e due civili italiani. 75 delle vittime delle Ardeatine erano di religione ebraica e uno era un sacerdote cattolico, don Pietro Pappagallo (1888-1944).
Il Papa non ha voluto mancare di rinnovare la condanna della strage, «offesa gravissima a Dio, perché è la violenza deliberata dell’uomo sull’uomo. E’ l’effetto più esecrabile della guerra, di ogni guerra, mentre Dio è vita, pace, comunione». E di «invocare la divina Misericordia, che sola può colmare i vuoti, le voragini aperte dagli uomini quando, spinti dalla cieca violenza, rinnegano la propria dignità di figli di Dio e fratelli tra loro. Anch’io – ha detto il Papa –, come Vescovo di Roma, città consacrata dal sangue dei martiri del Vangelo dell’Amore, vengo a rendere omaggio a questi fratelli, uccisi a poca distanza dalle antiche catacombe».
Benedetto XVI ha voluto commentare in particolare due testimonianze anonime di quei tragici giorni. La prima è stata incisa, ha detto, «sulla parete di una cella di tortura, in Via Tasso, a Roma, durante l’occupazione nazista». Dalla prigione di via Tasso veniva la maggior parte delle vittime delle Ardeatine. La scritta recita: «Credo in Dio e nell’Italia / credo nella risurrezione / dei martiri e degli eroi / credo nella rinascita / della patria e nella / libertà del popolo». Si tratta, ha spiegato il Papa, del «testamento di una persona ignota, che in quella cella fu imprigionata, e dimostrano che lo spirito umano rimane libero anche nelle condizioni più dure». «“Credo in Dio e nell’Italia”: questa espressione mi ha colpito anche perché quest’anno ricorre il 150° anniversario dell’unità d’Italia, ma soprattutto perché afferma il primato della fede, dalla quale attingere la fiducia e la speranza per l’Italia e per il suo futuro».
L’ignoto testimone ha messo le sue parole nell’ordine giusto: prima Dio, poi l’Italia. «In quel testamento inciso in un luogo di violenza e di morte, il legame tra la fede e l’amore della patria appare in tutta la sua purezza, senza alcuna retorica. Chi ha scritto quelle parole l’ha fatto solo per intima convinzione, come estrema testimonianza alla verità creduta, che rende regale l’animo umano anche nell’estremo abbassamento. Ogni uomo è chiamato a realizzare in questo modo la propria dignità: testimoniando quella verità che riconosce con la propria coscienza».
Una seconda testimonianza che, ha detto il Pontefice, «mi ha colpito» «fu ritrovata proprio nelle Fosse Ardeatine». Si tratta di «un foglio di carta su cui un caduto aveva scritto: “Dio mio grande Padre, noi ti preghiamo affinché tu possa proteggere gli ebrei dalle barbare persecuzioni. 1 Pater noster, 10 Ave Maria, 1 Gloria Patri”». Il riferimento alle preghiere cristiane indica che si tratta di un cattolico che prega per gli Ebrei. E si rivolge a Dio con un’espressione inconsueta: «grande Padre». Quando la storia si rivela come tragedia, «in quel momento così tragico, così disumano», c’è bisogno di ricordare la grandezza di Dio, che regna sulla storia per vie che solo lui conosce.
E nel tragico contesto delle Ardeatine anche l’espressione «Padre» acquista un significato particolare: «Padre di tutti! Come sulle labbra di Gesù, morente sulla croce: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. In quel nome, “Padre”, c’è la garanzia sicura della speranza; la possibilità di un futuro diverso, libero dall’odio e dalla vendetta, un futuro di libertà e di fraternità, per Roma, l’Italia, l’Europa, il mondo».
Quel cattolico sconosciuto che, al momento di morire, vuole pregare per gli Ebrei spontaneamente si richiama alla nozione dell’universale paternità di Dio. Proclama, nell’ora suprema della vita, che «dovunque sia, in ogni continente, a qualunque popolo appartenga, l’uomo è figlio di quel Padre che è nei cieli, è fratello di tutti in umanità». Non si tratta di una banale retorica. Infatti, «questo essere figlio e fratello non è scontato. Lo dimostrano purtroppo anche le Fosse Ardeatine. Bisogna volerlo, bisogna dire sì al bene e no al male. Bisogna credere nel Dio dell’amore e della vita, e rigettare ogni altra falsa immagine divina, che tradisce il suo santo Nome e tradisce di conseguenza l’uomo, fatto a sua immagine».
«In questo luogo, doloroso memoriale del male più orrendo – ha concluso il Papa –, la risposta più vera è quella di prendersi per mano, come fratelli, e dire: Padre nostro, noi crediamo in Te, e con la forza del tuo amore vogliamo camminare insieme, in pace, a Roma, in Italia, in Europa, nel mondo intero. Amen».