Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santo Stefano a cura di Ermes Dovico
IL CASO GENOVA

I disabili scesi dal treno dell'inciviltà (e dell'ipocrisia)

Tutti indignati per i 27 disabili cacciati dal treno a Genova perché gli occupanti non hanno ceduto loro i posti che avevano prenotato. Ma nessuno si straccia le vesti per i milioni di disabili che scendono dal treno della vita attraverso la pratica dell'aborto selettivo. In fondo, il caso Genova e l'aborto eugenetico sono figli della stessa mentalità della selezione, per cui il disabile non è amato. 

Editoriali 21_04_2022

È davvero sgradevole l’episodio occorso a 27 disabili di un’associazione di Milano che a Genova si sono visti cacciare dal treno che avevano prenotato perché chi aveva occupato i loro posti non li voleva cedere. I giornali hanno gridato in coro parole di condanna: «Inciviltà», «degrado morale», «vergogna e imbarazzo», «offesa la dignità umana». È stato anche il “turno” della ministra per le disabilità (eh sì, ne abbiamo una) che ha preso le distanze dall’episodio invitando Trenitalia a fare chiarezza. La Regione Liguria ha offerto loro un viaggio premio mentre associazioni di consumatori e il mondo del volontariato hanno fatto il resto auspicando «sanzioni adeguate». Infine, la Stampa ha detto che i «turisti sono diventati branco» e ha titolato icasticamente «il treno dell’inciviltà».

Tutti indignati per un giorno, tutti solidali con quelle 27 persone trattate come indegne da cinici “Rose Parks” al contrario, che si sono rifiutati di cedere un posto non per affermare un diritto, ma per negarlo. Tutti a posto con la coscienza.

Ma c’è anche molta ipocrisia in queste reazioni emotive, è l’ipocrisia della pancia piena: perché – infatti - nessuna di queste reazioni si verifica quando ad essere cacciato è il disabile sbagliato perché abortito?

Si chiama “aborto selettivo” o "eugenetico" ed è ormai una delle principali cause di interruzione di gravidanza, resa possibile da tecniche di indagine prenatale sempre più sofisticate che vengono regolarmente passate dai servizi sanitari nazionali per individuare malformazioni congenite e mettere così i genitori di fronte all’opzione dell’aborto.

In questo caso non abbiamo titoli di giornale che parlano di «inciviltà», nessuna associazione auspica «sanzioni adeguate» e nessun ministro della disabilità urla che è stata «offesa la dignità umana».

Eppure, ogni giorno, in ogni ospedale italiano, migliaia di disabili scendono dal treno della vita nel disinteresse collettivo, ma nello stesso cinismo che ha animato quei turisti sazi e appagati dopo la Pasqua.

I dati – basta andare a cercarli – parlano da soli. Dal locale al globale, c’è l’imbarazzo della scelta.

Prendiamo il caso di Treviso: il direttore dell'unità di Ginecologia e Ostetricia dell'ospedale ha rivelato nel 2019 che «nel momento in cui apprendono che il nascituro avrà delle disabilità, molti genitori decidono per l'aborto: su dieci donne, sette interrompono la gravidanza. Vuol dire più o meno il 70%. Vale per tutte le disabilità. Compresi i bambini con la sindrome di Down. Ne nascono meno perché le diagnosi sono precoci e conseguentemente si interrompe prima la gravidanza». Parole di un addetto ai lavori, non di un pro-life scatenato.

Prendete questo dato e moltiplicatelo per 107 che è il numero delle province italiane e poi per il numero di anni che vogliamo e proviamo a immaginare quanti disabili stiamo facendo scendere dal treno senza gridare orripilati al «degrado morale».

Il registro sulle malformazioni congenite dell’Emilia-Romagna nel 2018 rivelava che il tasso di aborto dei feti con sindrome Down è oltre il 60% e oltre il 50% delle bambine con sindrome di Turner. Si tratta di ritardi intellettivi o fisici, nemmeno invalidità spaventosamente difficili da gestire. Eppure, sono motivi sufficienti per eliminarli. Nessun Consiglio Regionale offre loro viaggi premi riparatori.

E poi allarghiamoci in Europa fino in Islanda, dove ormai da 5 anni è stato risolto il problema dei posti sul treno per i Down dato che il paese nordico si fregia ormai di essere il primo paese Down free, seguito a ruota dalla Danimarca dove il Copenaghen Post qualche anno fa, citando il Registro centrale di citogenetica del paese poteva trionfalmente annunciare che «quest’anno sono nati soltanto 18 bambini con sindrome di Down». 18 sopravvissuti per amore, ma da piazzare sul treno ed eventualmente far sloggiare con lo stesso cinismo.

Sempre nel 2019, in Inghilterra e Galles le interruzioni di gravidanza hanno raggiunto la cifra record di 209.519, il numero più alto mai registrato fino ad oggi, ma mancano i dati della parentesi pandemica e non sono escluse soprese.

Così di questo passo. Inutile stupirsi poi, se gli stati membri delle Nazioni Unite hanno “assolto” l’Islanda sul rispetto dei diritti umani a causa del tasso estremamente alto di aborti selettivi di bambini con sindrome di Down nel Paese.

Il panorama delineato non è certo esaustivo, tanto è esteso il fenomeno degli aborti selettivi su scala mondiale, ma è un piccolo granellino nell’ingranaggio di coscienze addomesticate per quieto vivere.

Eppure, è arci saputo che le disabilità aprono prospettive di vita dura, ma non così invivibili come si vorrebbe far credere. Studi scientifici dimostrano che «paradossalmente i malati, se le condizioni esterne non sono di rifiuto, danno alla loro vita un punteggio di qualità più alto che altri loro coetanei», ha sottolineato Carlo Bellieni citando il Quality of Life Research degli adolescenti con spina bifida o con grave disabilità fisica per non tacere dei progressi di integrazione e realizzazione ottenuti da chi è affetto da sindrome di Down.

Significa, in poche parole, che il malato non è definito dalla sua malattia, ma piuttosto dall'ambito sociale in cui è immerso. Non è solo l’amore con cui i genitori li accolgono, ma è anche quello che la società riversa su di loro. Se l’ambito sociale è quello dell’aborto selettivo, approvato, masticato e sdoganato a tutti i suoi livelli, non c’è da stupirsi se i disabili che sono sfuggiti all’eliminazione vengono poi cacciati da un treno. Il cinismo è lo stesso. Solo che nel primo caso non fa rumore, anzi, è incoraggiato.

In fondo, ciò che è successo a Genova è figlio della mentalità della selezione. Perché quei disabili, esattamente al pari di quelli che sono abortiti, non sono amati.