Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Cristo Re a cura di Ermes Dovico
MEDIA CONTRO TRUMP

I dibattiti negli Usa ora sono una gogna mediatica

Sono state approvate ieri le nuove regole per il terzo dibattito presidenziale che si terrà giovedì 22 ottobre sera (domani notte, per chi legge in Italia), dopo le polemiche suscitate nel primo incontro fra Trump e Biden. Il regolamento parrebbe finalizzato a rendere il dibattito più sereno. Ma può anche essere un modo per mettere a tacere Trump.

Esteri 21_10_2020
Savannah Guthrie "interroga" Trump

Sono state approvate ieri le nuove regole per il terzo dibattito presidenziale che si terrà giovedì 22 ottobre sera (domani notte, per chi legge in Italia), dopo le polemiche suscitate nel primo incontro fra Trump e Biden. Il regolamento parrebbe finalizzato a rendere il dibattito più sereno, senza i toni forti e le interruzioni continue del precedente. Ma può anche essere un modo per mettere a tacere Trump. Alla vigilia dell’ultimo, solitamente decisivo, scontro elettorale, è già possibile tracciare un bilancio complessivo sul comportamento dei media in queste elezioni.

Se c’è un giornalista di Fox News ancora ostile a Trump, questi è Chris Wallace. E la commissione dei dibattiti ha scelto proprio lui per moderare il primo scontro Trump-Biden. Ovviamente, come era evidente fin dalle premesse, il presidente in carica è stato martellato di domande molto più dello sfidante democratico. I commentatori hanno poi parlato di un Trump nervoso e sulla difensiva che ha interrotto più volte Biden. Ma nervoso, perché? Quando il trattamento è così impari da apparire più una trappola mediatica che un dibattito, capita che alla vittima saltino i nervi. Nel terzo dibattito, in compenso, non avrà neppure più la possibilità di replicare a scena aperta: il regolamento, appunto, prevede lo spegnimento del microfono. Sarebbe perfetto, se il moderatore fosse imparziale. Ma diventa un modo per far vincere a tavolino Biden, nel caso che a Trump vengano ancora rivolte tutte le domande più provocatorie e al suo avversario solo quelle più facili. Come d’altra parte è puntualmente avvenuto sia nei dibattiti, sia nei “town hall” separati della settimana scorsa. Chi modererà il dibattito domani? Kristen Welker, corrispondente per la Casa Bianca della Nbc (Tv di area progressista), una giornalista schieratissima, ben introdotta nell’amministrazione democratica Obama, “preparatrice atletica” di Hillary Clinton nel suo dibattito con Bernie Sanders nelle primarie democratiche del 2016. “E’ sempre stata terribile e ingiusta”, ha commentato il presidente, riferendosi alla copertura della sua amministrazione repubblicana.

Lo spirito palesemente partigiano dei media non ha risparmiato neppure il vicepresidente Mike Pence, trattato nettamente a sfavore rispetto alla sfidante democratica Kamala Harris. E d’altra parte era prevedibile, considerando che a moderare il dibattito c’era Susan Page, biografa di Nancy Pelosi, attuale speaker democratica alla Camera. Nei due town hall separati di giovedì scorso, i trattamenti riservati a Trump e a Biden non potevano essere più differenti. Trump ha letteralmente subito un interrogatorio in stile poliziesco da parte di Svannah Guthrie, giornalista di Nbc e moglie di un lobbista democratico, ex capo di staff della campagna di Al Gore. La Guthrie ha posto a Trump domande ripetutamente (“Ha fatto il tampone prima del dibattito con Biden?” ripetuta cinque volte, quasi per farlo crollare), ha interrotto il presidente per ben 43 volte, lo ha insultato (“Lei è il presidente, non può ri-twittare un messaggio come se fosse uno zio matto”), ha posto domande palesemente tendenziose (“Perché non ha condannato i suprematisti bianchi”, quando chiunque può andare a rileggere le dichiarazioni rilasciate da Trump, di condanna ai suprematisti bianchi). La Guthrie è stata salutata dai media americani e anche stranieri, italiani inclusi, come un esempio di coraggio e indipendenza, capace di “mettere in difficoltà” un presidente. Sarà, ma ad una persona disinteressata può apparire solo come un esempio di maleducazione e di militanza politica, la sua intervista è più simile ad un’aggressione verbale che non ad un’intervista politica. Contemporaneamente, a Philadelphia, al museo della Costituzione, un ossequioso George Stephanopoulos, ex membro dello staff della comunicazione di Bill Clinton, porgeva domande al compagno di partito Biden, apposta per permettersi di fare uno spot elettorale su misura: Mai interrotto, risposte lunghe ed esaurienti, interventi del “moderatore” per completare quel che Biden poteva dimenticare.

Quindi: di che dibattito stiamo mai parlando? La campagna del 2020, molto più che quella del 2016 rivela un mondo mediatico americano ormai organico al Partito Democratico. Nel senso proprio del termine: giornalisti direttamente o indirettamente fedeli al Partito. Anche Wallace, di Fox, è l’eccezione che conferma la regola, considerando che è di parte conservatrice, ma “dissidente”.

Che i media siano ulteriormente scivolati a sinistra lo si deduce dalle dichiarazioni di alcuni dei principali giornalisti americani. Come Jorge Ramos, giornalista e autore messicano, che opera negli Usa: nel 2017 dichiarava “Dire che i reporter debbano abbandonare la neutralità, in certe occasioni, e scegliere una parte, può apparire in conflitto con tutto ciò che abbiamo appreso sui manuali di giornalismo. Ma ci sono momenti in cui l’unico modo con cui i giornalisti possono adempiere alla loro responsabilità sociale, sfidare chi è al potere, è l’abbandono della neutralità”. Questo discorso, che lascia perplessi sin dalle premesse (la responsabilità dei giornalisti è quella di dire la verità, non di “sfidare chi è al potere”) potrebbe avere un senso se pronunciato da un dissidente cinese, o di chiunque sia sotto una dittatura. Diventa terribile nel corso di un’elezione. Sfidando ogni buon senso democratico, anche il New York Times, dopo aver mal digerito il trauma della vittoria di Trump sulla Clinton, alla fine del 2016, a firma di Jim Roberts, vantava la sua faziosità come nuovo modello di giornalismo: “Ebbene sì. I media sono faziosi. Faziosi contro l’odio, il sessismo, il razzismo, l’incompetenza, la belligeranza, l’iniquità. Giusto per dirne un po’”. Sono tutte qualità, inutile dirlo, attribuite a Trump, allora neo-eletto presidente. Ed è questo giornalismo che ha rovinato gli attuali dibattiti presidenziali, trasformando un evento di moderazione professionale e imparziale di un confronto cavalleresco fra gli sfidanti in una gogna mediatica per il presidente repubblicano.