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CAMBOGIA

Hun Sen, il Khmer Rosso trasformista ancora al potere

Hun Sen ha vinto le elezioni in Cambogia. E' al potere dal 1985. Ex guerrigliero dei Khmer Rossi, poi membro del regime che sterminò un terzo della popolazione cambogiana, mantiene saldamente il controllo del paese e impedisce di far giustizia sui crimini del passato

Esteri 01_08_2018
Hun Sen

Dalla Cambogia arriva una non-notizia che fa notizia: Hun Sen ha vinto le elezioni ed è stato riconfermato primo ministro. Il suo Partito Popolare ha ottenuto 114 seggi su 125. Fra gli oppositori, il Funcinpec e il Partito della Lega per la Democrazia, hanno ricevuto rispettivamente cinque e sei seggi. E’ una non-notizia, perché Hun Sen è ininterrottamente al potere da 33 anni. Fa notizia, perché riconferma il carattere non democratico di un paese che, passato l’incubo dei Khmer Rossi, con il loro sterminio di massa, è perennemente governato da un khmer rosso che ha saputo trasformarsi per restare sempre al potere.

Sulla sua pagina Facebook Hun Sen commenta: “I compatrioti hanno scelto il percorso democratico e hanno usato i loro diritti”. Secondo la commissione elettorale nazionale, l’82% degli aventi diritto si è recato alle urne. C’è un dettaglio che Hun Sen evita di nominare: non c’erano più opposizioni organizzate. Il Partito Cambogiano per la Salvezza Nazionale, principale partito di minoranza, nel 2013 aveva preso 3 milioni di voti, quasi la metà degli aventi diritto e nelle ultime elezioni comunali, l’anno scorso, aveva ottenuto un successo analogo, veleggiando verso la maggioranza. Il novembre scorso, la Corte Suprema ha sciolto il partito, accusandolo di complotto per rovesciare il governo di Hun Sen. Adesso, il suo ex leader, parlando da Parigi (luogo storico di esilio dei dissidenti cambogiani, anche dei Khmer Rossi quando non erano ancora al potere) all’agenzia Reuters, definisce queste ultime elezioni una “finzione”.

La reazione internazionale non si è fatta attendere. Sia Ue che Usa hanno bloccato gli aiuti per queste elezioni. L’Ue sta iniziando a rivedere la sua politica commerciale con la Cambogia, la Casa Bianca condanna senza remore questo voto “Né libero, né equo” che “non esprime la volontà del popolo cambogiano”. Hun Sen, comunque, si accontenta della sua nuova vittoria. E’ al potere dal 1985, ha creato una rete di relazioni, nella polizia, nella magistratura, nell’esercito, nei media e nell’economia nazionale che lo rende pressoché inamovibile. Il suo sistema di governo, da un punto di vista pratico, ha dimostrato anche di funzionare bene: la Cambogia ha registrato una crescita annua del 7%. Però nulla di muove al di fuori del “sole” di questo autocrate buono per tutte le stagioni.

Hun Sen ha iniziato la sua carriera politica entrando, da ventenne, nel movimento di guerriglia dei Khmer Rossi, quando il paese era governato dalla dittatura di destra del generale Lon Nol. Combatté le ultime fasi della guerra civile e nel 1975 perse un occhio nella battaglia finale per la conquista della capitale Phnom Penh. Dal 1975 al 1977 fu parte attiva del regime comunista più letale del Novecento: un terzo dell’intera popolazione cambogiana venne sterminato in appena tre anni. Vennero assassinati gli esponenti di tutte le religioni, le minoranze etniche, gli oppositori politici, i dissidenti, i presunti dissidenti, le “spie” (chiunque fosse vissuto all’estero), i comunisti più “recalcitranti”, fino alle persone eliminate per un semplice sospetto, o perché avevano rubato agli ammassi per fame, o perché semplicemente piangevano o ridevano al momento sbagliato. Moltissimi morirono di fame e di stenti perché non si riadattarono alla vita agricola che il regime aveva imposto a tutti, dopo aver svuotato con la forza le città "decadenti" e "borghesi". Hun Sen partecipò a tutto questo, finché lui stesso non rischiò di finire vittima delle continue purghe e fuggì in Vietnam, nel 1977. Tornò nel paese d’origine da invasore, questa volta. Quando il Vietnam (filo-sovietico) invase la Cambogia (filo-cinese), iniziò la seconda carriera di Hun Sen.

E quindi è sempre, essenzialmente, la sua permanenza al potere che spiega la lentezza estrema del processo ai Khmer Rossi, istituito dall’Onu e ostacolato in tutti i modi dai suoi governi, con un tenace ostruzionismo burocrarico. Pol Pot è morto, in circostanze misteriose, prima che venisse processato, Ieng Sary, il ministro degli Esteri dei Khmer Rossi, è morto di vecchiaia mentre il processo era ancora in corso. “Scavate una buca, seppelliteci il passato”, diceva Hun Sen alla fine degli anni ’90, poco dopo l’istruzione del processo al vecchio regime. E’ la sua filosofia per la rappacificazione del paese, dopo l’ecatombe del recente passato. Ma milioni di vittime non avranno mai giustizia.