Hong Kong, la Santa Sede si inchina al regime cinese
Clamoroso episodio all'Angelus di ieri: fatto saltare all'ultimo momento l'intervento che papa Francesco avrebbe dovuto riservare alla situazione di Hong Kong. Pressioni cinesi o autocensura, la cosa non cambia: la Santa Sede sta sacrificando la sua libertà e quella dei cattolici cinesi e hongkonghesi, in vista di una normalizzazione dei rapporti con Pechino. E infatti lo storico Giovagnoli (Comunità di Sant'Egidio, molto influente sul Papa) spiega su Avvenire quanto ha ragione la Cina nel reprimere le proteste pro-democrazia.
Era già abbastanza imbarazzante – per non dire peggio – che la Santa Sede non dicesse nulla su quanto da mesi sta accadendo a Hong Kong, ovviamente per non dispiacere a Pechino. Ma quello che è successo ieri all’Angelus va oltre qualsiasi limite.
Come solito ai giornalisti era stato distribuito in anticipo il testo dell’Angelus che il papa avrebbe recitato da lì a poco: conteneva un riferimento alla situazione di Hong Kong invitando al dialogo e ad evitare derive violente. Non certo un discorso memorabile, ma almeno il segno di un’attenzione.
Senonché, pochi minuti prima dell’Angelus, la Sala Stampa ha reso noto che il Papa non avrebbe letto quella parte su Hong Kong, che andava dunque annullata. Un fatto a dir poco sconcertante, riportato da Marco Tosatti nel suo blog, che, qualunque sia la ragione, testimonia di una sudditanza della Santa Sede nei confronti del governo e del Partito comunista cinese. A ulteriore riprova che l’accordo segreto tra Cina e Santa Sede sulle nomine episcopali, di cui a breve si dovrà discutere il rinnovo, si è abbondantemente ridotto a strumento di controllo del Partito comunista sulla Chiesa cattolica, un vero e proprio bavaglio per la Chiesa.
Cosa avrebbe dovuto dire il Papa all’Angelus? Ecco il testo:
«In questi ultimi tempi, ho seguito con particolare attenzione e non senza preoccupazione lo sviluppo della complessa situazione a Hong Kong, e desidero manifestare anzitutto la mia cordiale vicinanza a tutti gli abitanti di quel territorio. Nell’attuale contesto, le tematiche trattate sono indubbiamente delicate e toccano la vita di tutti; perciò è comprensibile che ci sia una marcata sensibilità al riguardo. Auspico pertanto che tutte le persone coinvolte sappiano affrontare i vari problemi con spirito di lungimirante saggezza e di autentico dialogo. Ciò esige coraggio, umiltà, non violenza e rispetto della dignità e dei diritti di tutti. Formulo, poi, il voto che la vita sociale, e specialmente quella religiosa, si esprimano in piena e vera libertà, come d’altronde lo prevedono vari documenti internazionali. Accompagno con la mia costante preghiera tutta la comunità cattolica e le persone di buona volontà di Hong Kong, affinché possano costruire insieme una società prospera e armoniosa».
Non si tratta certo di un appoggio chiaro a studenti e attivisti democratici di Hong Kong, colpiti duramente in questi mesi da un governo comunista che non intende più rispettare l’autonomia del Territorio ex colonia britannica, stabilita nell’accordo con il Regno Unito entrato in vigore proprio il 1° luglio 1997. Ma nello stesso tempo si sa che anche solo la parola “libertà” - per quanto dispersa in un intervento fumoso - è in grado di destabilizzare i vertici del Partito comunista cinese.
Non si deve poi dimenticare che anche queste poche e vaghe parole, proprio perché si riferiscono a Hong Kong, possono essere considerate una violazione della nuova Legge di sicurezza nazionale, imposta da Pechino e contro cui ci sono state manifestazioni in questi giorni a Hong Kong, con quasi 400 fermi per quella del 1° luglio.
Cosa dunque può essere successo per poter far saltare un così importante passaggio del discorso all’Angelus? In effetti, di ragioni plausibili per un fatto del genere non è che ce ne siano molte, un paio al massimo: la prima è che, ricevuto il testo, l’ambasciata cinese in Italia si sia subito attivata per fare pressioni affinché non venisse letto; la seconda è che sia una iniziativa personale del Papa una volta letto il testo preparato dalla Segreteria di Stato.
Ricordiamo però che non è la prima volta che un fatto del genere accade con papa Francesco. Proprio due anni fa, il 20 maggio 2018, ai giornalisti fu distribuito al solito modo un testo per il Regina Coeli che criticava – seppur larvatamente – il regime di Nicolas Maduro, che in quei giorni si stava rendendo responsabili di palesi violazioni dei diritti umani. Il testo però non fu letto, ma in quel caso papa Francesco pronunciò parole sue molto più benevole nei confronti del regime comunista.
Quanto a Hong Kong, il Papa non ne ha mai parlato proprio per “non disturbare” il governo cinese. Esemplare il modo in cui dribblò la domanda di un giornalista, che gli chiedeva proprio un giudizio sulla situazione a Hong Kong, nel viaggio di ritorno dal Giappone lo scorso 26 novembre: «Non c’è solo Hong Kong. Pensi al Cile, alla Francia, al Nicaragua, al Brasile (…) Sono varie situazioni con dei problemi che io in questo momento non sono capace di valutare. Io rispetto la pace e chiedo la pace per tutti questi Paesi che hanno dei problemi».
Dunque, quanto accaduto ieri si inserisce in questo quadro di acquiescenza nei confronti del regime comunista cinese. Del resto dimostrata e rafforzata dagli interventi di giornalisti e intellettuali vicini a papa Francesco che difendono a spada tratta le scelte di Pechino e dell’Associazione Patriottica dei Cattolici cinesi. L’ultimo esempio è l’analisi sulla situazione di Hong Kong fatta dallo storico Agostino Giovagnoli dalle colonne di Avvenire il 3 luglio. Giovagnoli è esponente della Comunità di Sant’Egidio, in totale sintonia e molto influente su papa Bergoglio. E anche in questa occasione ha voluto sostenere le ragioni di Pechino nell’approvare una Legge di sicurezza nazionale, addossando al movimento democratico la responsabilità di quanto sta accadendo. E ovviamente non perde l’occasione per attaccare il cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong molto critico nei confronti della Cina e della politica della Santa Sede, contrapponendogli il cardinale John Tong, anche lui emerito ma attualmente amministratore apostolico di Hong Kong, e molto più benevolo nei confronti dei leader comunisti cinesi.
Ce n'è abbastanza per capire che lo scandalo del sostegno vaticano al regime comunista cinese è ben lungi dall’essere messo in discussione malgrado la sempre crescente aggressività di Pechino. E soprattutto malgrado sia chiaro che l’accordo Cina-Santa Sede siglato due anni fa non ha dato risultati tangibili e, anzi, si sia tradotto in una maggiore persecuzione per i cattolici che non piegano la testa davanti all’esercito cinese.