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ISTRUZIONE DOMICILIARE

Home schooling: a mio figlio insegno i miei valori

Intervista a due genitori sull'"educazione parentale" molto diffusa negli Usa e appena agli inizi in Italia. Lo studio in casa permette un passaggio diretto dei valori genitoriali e i bambini imparano a familiarizzare più facilmente.

Educazione 03_05_2013
Home Schooling

(Tratto dal settimanale Vita Nuova)

Matthew J. Allen, ingegnere di origini inglesi, assieme a Maria, la sua moglie italiana, ed i loro 7 figli (con un ottavo in arrivo), portano avanti nel nostro Paese da alcuni anni l'home schooling, o “educazione parentale”, che hanno “importato” dagli Stati Uniti dove vivevano vicino Seattle (Washington). Lì l’"educazione parentale" è molto diffusa, poiché oltre il 10% degli studenti in età scolare è educata in casa ma, in altre contee degli Stati Uniti le percentuali sono ancora più alte. A Matthew abbiamo quindi rivolto alcune domande sulla sua interessante ed originale (per noi) esperienza condotta in prima persona a livello familiare.

Innanzitutto una domanda che parte dalla comune esperienza della fede cristiana condivisa da te, tua moglie e tutta la tua famiglia: quali sono i legami fra la Dottrina sociale della Chiesa e l’home schooling?

Non sono un esperto di Dottrina Sociale della Chiesa, ma l’home schooling si inquadra in una profonda consapevolezza della centralità della famiglia e della responsabilità dei genitori di educare i propri figli. La scuola familiare, in sintesi, è frutto della decisione dei genitori di adempiere alla propria responsabilità di istruzione della prole: possono assolvere a questa responsabilità personalmente (di solito uno dei due genitori, coadiuvato dall’altro), oppure aiutati da qualche altro genitore, oppure incaricando uno o più tutori, o anche organizzandosi con altri genitori. Nella nostra famiglia, Maria (mia moglie) si occupa di tutto l’insegnamento, coadiuvata da una nostra amica per quanto riguarda l’insegnamento della terza lingua (spagnolo). L’home schooling ci permette di educare i nostri figli partendo dalla trasmissione dei nostri valori, e soprattutto utilizzando come testo di base “Il Libro” per eccellenza, La Bibbia – il “manuale della vita” che Dio ci ha dato che è “utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia perché l’uomo di Dio sia completo e preparato per ogni opera buona” (2 Tim. 3:16-17). 

In Italia, Paese nel quale oltre il 90% degli alunni frequenta scuole statali, è davvero possibile dare vita all’“educazione parentale”? 

Il diritto all’educazione parentale (o familiare) è sancito nella Costituzione, all’art. 30, che stabilisce che sono innanzitutto i genitori ad avere la responsabilità (e quindi l’obbligo) a provvedere all’educazione dei propri figli, e che solamente se non vogliono occuparsene direttamente, o non possono, allora possono avvalersi della facoltà di delegare la loro istruzione alla scuola pubblica. Questo diritto/dovere dei genitori è dunque un diritto costituzionale che prescinde anche dai titoli di studio o abilitazioni dei genitori, ma che è stato quasi completamente ribaltato da alcune normative che prevedono invece che i genitori debbano dimostrare di possedere i “requisiti” per assolvere a questa loro responsabilità.  Al contrario di come spesso si dice, non è “la scuola dell’obbligo”, o “obbligo scolastico”, ma è obbligatoria l’istruzione!

Che cosa ha comportato per la tua famiglia l’aver dovuto continuare la vostra esperienza in un Paese a monopolio scolastico statale come il nostro?

In realtà non abbiamo incontrato grandi difficoltà. Forse aiuta il fatto che sia io che mia moglie siamo laureati (io in Ingegneria e mia moglie in Scienze Biologiche), per cui non siamo stati tartassati per dimostrare di avere i “requisiti” richiesti per provvedere all’istruzione dei figli. Anche il personale del nostro distretto scolastico, in provincia di Roma, aveva già avuto esperienze simili perché nei dintorni c’è una scuola privata non parificata (in lingua straniera), e molti degli studenti si sottoponevano all’esame annuale. Capita spesso però che magari andando a fare la spesa (di mattina), con i bambini, molte persone vedendoli li fermino e chiedano: «e come mai oggi non siete andati a scuola?» … e noi rispondiamo: «In realtà sono a scuola: questa è una lezione di economia domestica». La scuola familiare ribalta tutti i concetti di base della scuola: l’istruzione non inizia alle 8.30 del mattino per concludersi alle 13.00, o alle 16.30. Con la scuola familiare ogni evento è un momento d’insegnamento. 

Il fatto di non frequentare una scuola insieme ad altri bambini non è negativo per la socializzazione e la crescita?

Questa è in assoluto la domanda che ci viene fatta più spesso. In breve, la risposta è no: sono stati fatti a riguardo numerosi studi negli Stati Uniti, che hanno messo in evidenza il contrario: i bambini che fanno “scuola familiare” hanno una capacità di socializzare decisamente più spiccata dei bambini che vanno a scuola. E confermo questi studi, perché abbiamo osservato la stessa cosa con i nostri figli. Le ragioni sono molteplici, non ultimo forse il fatto che l’apprendimento nella scuola familiare è più un processo di “autodidattica guidata”, nel quale viene continuamente stuzzicata la curiosità del bambino, che viene provocato a riflettere sul “perché” e sul “come” delle cose, e quindi a fare mille domande. Vale la pena riflettere però sullo scopo della scuola. Qual è lo scopo dell’istruzione? E’ quella di formare i bambini/ragazzi per affrontare la vita, il lavoro, la società da persone mature e responsabili. E la scuola, per come è strutturata, non mi sembra che sia organizzata al meglio per questo. Perché, a pensarci bene, noi mettiamo nostro figlio in una classe con altri 20, 25, 30 bambini della stessa età. E stanno con bambini, poi ragazzi della stessa età anagrafica, per 13 anni (se ci si ferma alle superiori), o 18 anni (se si contano gli anni dell’università). Sempre con altre persone della stessa età. Poi (si spera!) si inizia a lavorare, ed improvvisamente, per la prima volta nella vita, il giovane si trova con altri colleghi …. di età diverse,  magari compresi alcuni che sono alle soglie della pensione! Il giovane si troverà quindi, forse per la prima volta nella vita, a doversi relazionare con persone di età molto diversa dalla sua. La scuola non fa nulla per prepararti a questo! 

Nella scuola familiare, invece, abbiamo l’opportunità di coinvolgere tutti nel processo di apprendimento: non è tanto la “maestra” che spiega la lezione (anzi, questo è il modello meno applicato), ma tutti contribuiscono, in maniera interattiva. I fratelli più grandi insegnano e aiutano i più piccoli. E si va spesso fuori dalle mura domestiche, in “esplorazione”, quindi interagendo tranquillamente con il mondo esterno. Il risultato è che i bambini sono innanzitutto molto sicuri di sé, molto curiosi, e questo si tramuta in una facilità a socializzare che di solito è superiore alla media.

Quali sono le spese aggiuntive che deve sostenere una famiglia che inizi a sperimentare la “scuola familiare”?

Le spese sono dirette e indirette. Ovviamente, perché si possa esercitare il diritto di fare scuola familiare, uno dei due genitori deve rimanere a casa: questo è un lavoro a tempo pieno! Quindi è necessario fare una scelta radicale, cioè decidere di investire parecchi anni da parte di uno dei due genitori per istruire i propri figli, senza lavorare “fuori casa”, magari lavorando da casa part time. Oltre a questo, è necessario acquistare i materiali didattici: fondamentalmente libri (tanti libri!), e quando sono più grandi avere un PC/tablet ed accesso ad internet.

Come spieghi che, in un contesto socio-economico come quello italiano, nel quale lo Stato da decenni si è ritirato dall’intervento diretto per liberalizzare servizi ed aprire alla concorrenza dei privati, l’ambito dell’istruzione è rimasto invece per la maggior parte strettamente statale?

In realtà in Italia le liberalizzazioni si sono sempre fatte con gran fatica, e spesso sono state liberalizzazioni più “di facciata” che di sostanza. Ogni liberalizzazione viene osteggiata e ostacolata, non solo dai sindacati, ma anche da una certa parte della politica, in quanto il controllo delle aziende pubbliche da un grande potere ai politici. E’ un problema secondo me più strutturale delle liberalizzazioni in generale – in molti casi l’Italia le ha fatte solamente in seguito a “diktat” dell’Europa, sotto minaccia di sanzioni e multe. 

In che termini l’home schooling realizza il tanto sbandierato (e “costituzionalizzato”) principio della sussidiarietà orizzontale nel nostro ordinamento?

In base alla nostra esperienza, ed alle ricerche e studi che abbiamo fatto, la scuola tutta, sia pubblica che privata, ha dei limiti. Il semplice fatto di avere uno (o due) insegnanti, per insegnare ad una classe di 20, 25 o 30 bambini è una forte limitazione. Ogni bambino è diverso, senza neanche tenere conto di bambini con difficoltà o requisiti particolari (handicap linguistici, o fisici, o di apprendimento, o psichici), che sono, tra l’altro, sempre più frequenti. Tutti i bambini sono diversi, con la propria individualità: pur avendo un’età anagrafica simile ai suoi compagni, ogni bambino ha uno sviluppo intellettuale e psico-fisico diverso. Inoltre ogni bambino ha un modo primario di imparare diverso: alcuni sono più uditivi, altri visivi etc. Se molti insegnanti non vivono il proprio lavoro come una “missione”, ma semplicemente come un “impiego”, senza grande motivazione (senza nulla togliere ai tanti insegnanti che invece sono davvero bravi, motivati e che ci mettono una grandissima passione) il risultato diventa quello sotto gli occhi di tutti…