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LA LETTURA

Hitler, nemico giurato della Chiesa

Nel Giorno della Memoria, proponiamo la lettura di un capitolo del libro di F. Agnoli, Novecento: il secolo senza croce, dedicato alle origini culturali di Hitler.

Cultura 27_01_2012
Novecento: il secolo senza croce
Nella ricorrenza del Giorno della Memoria, vi proponiamo anche la lettura di un capitolo del libro di Francesco Agnoli, Novecento: il secolo senza croce (SugarCo 2011), dedicato alle origini ideologiche e culturali di Hitler e del nazismo, che spiegano i lager e i progetti di sterminio.

Il pensiero di Hitler è stato consegnato solo in parte, cioè nella prima fase della sua attività politica, al Mein Kampf. In questo testo confuso e logorroico, i pensieri del futuro dittatore si accavallano l’uno sull’altro, risultando spesso indigeribili. Però, per quanto riguarda il tema che a noi interessa, “il secolo senza croce”, già in parte delineati.

Hitler, infatti, afferma più volte due concetti: che la Chiesa cattolica è “in conflitto con le scienze esatte e con l’indagine scientifica”, e che il cristianesimo si è imposto grazie ad una “fanatica intolleranza”. Intolleranza che è propria degli ebrei in generale. “Oggi il singolo deve constatare con dolore, scrive Hitler, che nel mondo antico, assai più libero del moderno, comparve col cristianesimo il primo terrore spirituale”.

Questi pensieri, espressi nel 1923, ci portano ad approfondire maggiormente la formazione culturale del futuro dittatore e i suoi pensatori di riferimento.


GLI ANNI GIOVANILI


A tal proposito Brigitte Hamann ha curato una ricerca unica nel suo genere, andando a ripercorrere la giovinezza di Hitler, a ripescare i giornali avidamente letti da Hitler all’epoca del suo “apprendistato” giovanile, e a ricordare i pensatori cui Hitler dovette molte delle idee che poi, una volta al potere, avrebbe portato avanti con fredda determinazione.

Anzitutto, nota la Hamman, il padre di Hitler, Alois, è un “anticlericale”, avverso alle scuole religiose, cresciuto nel mito di Bismarck, l’autore della grandezza prussiana, ma anche di una forte persecuzione della Chiesa.


Anche il giovane Adolf viene allevato sin da piccolo agli ideali del padre, in particolare al nazionalismo pangermanista. I pangermanisti austriaci sono fautori della unificazione di tutti i tedeschi sotto la Germania, e per questo sono solitamente avversi alla monarchia asburgica, che invece reclama una storia e una cultura diverse da quelle germaniche. Il fatto poi che gli Asburgo siano profondamente legati a Roma e al cattolicesimo, contribuisce a portare i pangermanisti a posizioni fortemente anti-cattoliche. Sfogliando le riviste e i giornali legati al pangermanismo, come ad esempio il Linzer Fliegenden, di cui Adolf è un vero divoratore, si può notare che questi uniscono solitamente nazionalismo germanico, avversione alla religione cattolica ed antisemitismo in un’unica ideologia.


Tra i pensatori che Hitler ha modo di apprezzare negli anni della sua formazione vi sono una serie di personalità bizzare, dedite a studi esoterici e alla politica. Il primo di questi è il viennese Guido von List,  che si attribuisce il predicato nobiliare “von” perché appartenente, a suo dire, alla “razza dei dominatori ariani”.

Il von List è un personaggio barbuto, con l’aria profetica, fondatore di associazioni segrete e autore di romanzi e di scritti teorici, in cui addita soprattutto i nemici della razza ariana: “la Chiesa cattolica, gli ebrei, i massoni”. Tutti in un unico minestrone. “Il clero romano”, sostiene, mira ad “annientare e soffocare costumi e abitudini tedeschi, mentalità tedesca e diritto tedesco”.

Un altro autore, anch’egli pangermanista, amato dal giovane Hitler è Lanz von Liebenfels, amico e discepolo del List, fondatore di un Ordine dei Neotemplari “all’insegna del mito del Graal, del diritto virile e dell’ideale della purezza razziale”. Lanz è un ex monaco, divenuto un “instancabile avversario della Chiesa cattolica, soprattutto dei Gesuiti e sostenitore del movimento ‘Los von Rom’”, fortemente avverso alla Roma papale ed universalistica. Lanz infatti è un vero razzista, e come tale non considera l’uomo a “immagine e somiglianza di Dio”, ma come un animale più o meno nobile ed elevato a seconda della sua origine etnica. Per “mantenere la purezza della razza bionda” propone “colonie di allevamento puro con rigida clausura della ‘madre da razza’”. Scrive: “Abbiamo protetto i nostri bovini dalla degenerazione e dalla contaminazione con barriere di allevamento zootecnico mentre abbandoniamo ancora senza protezione gli esseri umani alla contaminazione e all’adulterazione del sangue ad opera di lascivi meticci dell’est e del sud”.

Altri tre intellettuali sostenitori di dottrine assolutamente ridicole ed infondate di cui Hitler legge ed apprezza, almeno in parte le opere, sono i viennesi Hans Goldzier, Hans Horbiger, Otto Weininger ed Arthur Trebitsch.

Paradossalmente gli ultimi due, cioè Weininger e Trebitsch, sono di origine ebraica, benché il secondo, che diverrà poi uno dei primi finanziatori del partito nazista e che esercita su Hitler un fascino notevole, sostenga apertamente che “gli ebrei lottavano assieme ai socialisti, la Chiesa, i Gesuiti e i massoni per corrompere gli ariani e prendere il potere”.

Quanto ai politici, Hitler, che sin da giovane è un attento osservatore della scena pubblica, inquietato dal carattere multirazziale di Vienna, il più amato è sicuramente Georg Schonerer. “Quando arrivai a Vienna - scrive Hitler nel Mein Kampf - le mie simpatie andavano completamente  alla corrente dei pangermanisti”. Schonerer è appunto il capo, il leader dei pangermanisti, esaltatori della superiorità del popolo tedesco. Il suo motto è piuttosto chiaro: “Senza Giuda, senza Roma, si costruisce il duomo della Germania”.

Spiega Schonerer: “Dobbiamo dunque proseguire la lotta contro i nemici neri e rossi, nello spirito di Bismark, e la visione del mondo e della vita germanici si riaffermeranno. Per cui: Los von Juda! E: Los von Rom!”.


Ebrei e cattolici romani, dunque, sono la stessa cosa, o comunque egualmente nemici, per questo viennese, nato nel 1842, che si erge a paladino dei tedeschi e a nemico degli ebrei russi che in quegli anni fuggono dalla Russia zarista e finiscono spesso proprio nella sua città cosmopolita sì, ma gravida di tensioni tra l’elemento tedesco e quello ceco ed ebraico.

Gli schoneriani, ricorda la Hamann, nutrono la loro fortissima avversione verso gli ebrei e la Chiesa di riti alternativi a quelli religiosi, capaci di creare una sorta di religiosità politica. Infatti celebrano “il solstizio d’estate, la festa del solstizio d’inverno e di Ostara”. Inoltre curano molto la ginnastica e sono vegetariani.


Quanto alla sua avversione a Cristo, Schonerer arriva addirittura a non calcolare più gli anni a partire dalla sua nascita e a cancellare il calendario cristiano: egli fa “della Chiesa cattolica l’oggetto del suo odio. Un vero tedesco non avrebbe dovuto essere al servizio né di casa Asburgo né della Chiesa cattolica”. Esclama: “Via dunque le catene che ci legano alla Chiesa nemica della Germania. Nei paesi tedeschi non deve dominare e regnare lo spirito gesuitico, bensì quello germanico”.

Hitler riprenderà molte idee di Schonerer, lodandolo apertamente nel Mein Kampf, e tributandogli alla sua memoria molti onori pubblici. Ma non si limita a copiare molte delle sue idee perché, come vedremo, ne evidenzia alcuni sbagli, più tattici che teorici.


LE CONVERSAZIONI A TAVOLA DI HITLER

Detto tutto questo non ci rimane che sapere cosa effettivamente pensa e dice Hitler, una volta giunto al potere. Viene dunque indispensabile la lettura delle “Conversazioni a tavola di Hitler”, da poco ristampato in Italia, dopo 50 anni, dalla Libreria editrice Goriziana (2010).

Si tratta dei discorsi tenuti da Hitler “all’apice del suo successo, durante il primo anno della sua guerra d’aggressione contro la Russia. Con la prospettiva di una vittoria totale, Hitler guarda fiduciosamente alla realizzazione di tutti i piani ambiziosi già adombrati sedici anni prima nel Mein Kampf” ( dall’introduzione di Hugh R. Trevor Roper).

Questi discorsi, confidenziali, con gli invitati che di volta in volta accedono a lui, vengono trascritti a partire dal 5 luglio 1941 per ordine di Martin Bormann, capo della cancelleria del partito e segretario del Fuhrer.

Bormann, per capire brevemente l’uomo, è considerato l’ “uomo ombra” di Hitler ed è un violentissimo nemico del cristianesimo, oltre che degli ebrei. “La religione cristiana, scrive, è un veleno, di cui poi è molto difficile liberarsi e che infetta i bambini”.


Spinto proprio da questa convinzione egli si occupa “con particolare tenacia di prosciugare le fonti economiche delle Chiese. Durante tutta la guerra ordinò la requisizione di patrimoni di istituzioni ecclesiastiche, pretese da loro contributi finanziari sempre maggiori” e fa tutto quello che è in suo potere, per rendere difficile la vita dei credenti e per assoggettare i religiosi che “si rifiutano di fungere da strumenti” del regime.
 

Ebbene, in queste conversazioni Hitler rivela molto chiaramente il suo pensiero rispetto al cristianesimo, dimostrando che è una delle tematiche che più gli sta a cuore. Nelle quasi 700 pagine in cui discorre di guerra, russi, ebrei, diete, nazismo ecc., i riferimenti al cristianesimo e alla Chiesa cattolica, pur minoritaria all’interno del paese di cui era l’incontrastato leader, sono continui, insistenti, e terribilmente ripetitivi.


Anzitutto Hitler ritiene che il Cristianesimo sia una delle manifestazioni della perfidia ebraica: parla quindi esplicitamente di “cristianesimo ebraico”. “Il cristianesimo, afferma la notte del 20 febbraio 1942, costituisce il peggiore del regressi che l’umanità abbia mai potuto subire, ed è stato l’Ebreo, grazie a questa invenzione diabolica, a ricacciarla quindici secoli indietro”.

Cristo, in verità, per Hitler, non era un ebreo, ma un ariano che “attaccò il capitalismo ebraico” e per questo venne ucciso. “Non è escluso che sua madre fosse ebrea”: ma certo non il padre.

La “falsificazione della dottrina di Gesù”  fu quindi opera dell’ebreo san Paolo:  a lui si deve la creazione della religione cristiana, cioè di una forma di bolscevismo ante litteram. Il cristianesimo infatti si è posto alla testa dei più miserabili, degli schiavi, dei malriusciti, con le sue teorie “egualitarie” nate per “conquistare un’enorme massa di gente priva di radici”; “ha mobilitato la feccia”, per “organizzare così un pre-bolscevismo”.


Per Hitler all’equazione ebraismo-cristianesimo, si affianca quella cristianesimo-bolscevismo: l’ebreo Saul e l’ebreo Marx sono i creatori di due ideologie di morte equivalenti tra di loro. “Il colpo più duro che l’umanità abbia ricevuto, dichiara, è l’avvento del cristianesimo. Il bolscevismo è figlio illegittimo del cristianesimo. L’uno e l’altro sono una invenzione degli Ebrei. E’ dal cristianesimo che la menzogna cosciente in fatto di religione è stata introdotta nel mondo. Si tratta di una menzogna della stessa natura di quella che pratica il bolscevismo quando pretende di apportare la libertà agli uomini, mentre in realtà vuol far di loro solo degli schiavi”.

Ancora: “L’Ebreo che fraudolentemente introdusse il cristianesimo nel mondo antico, allo scopo di perderlo, ha oggi riaperto questa breccia prendendo, questa volta, il pretesto della questione sociale. E’ sempre lo stesso gioco dei bussolotti. Come Saul si è trasformato in s. Paolo, così Mardocheo è diventato Karl Marx”. 


Come il bolscevismo è oggi causa di morte e di distruzione, così il cristianesimo, afferma Hitler ribadendo quanto già scritto nel Mein Kampf, è fondato sull’intolleranza: “Il cristianesimo è stata la prima religione a sterminare i suoi avversari in nome dell’amore. Il suo segno è l’intolleranza”. Ancora: “Il cristianesimo (a differenza delle religioni animiste pagane, ndr) promulga i suoi dogmi con la forza. Una simile religione porta con sé l’intolleranza e la persecuzione. Non ce n’è di più sanguinose”.

In uno di questi dibattiti con il suo capo, Bormann, la notte tra il 29 e il 30 novembre 1944, riassume così: “la dottrina nazionalsocialista è integralmente antiebraica, cioè anticomunista ed anticristiana”.

La colpa storica della Chiesa cattolica è poi quella di aver fatto crollare l’impero romano, regno dell’arte, della tolleranza e della civiltà. E di averlo sostituito con l’arte barbara delle catacombe, col buio del medio Evo, l’epoca più insignificante della storia umana. Hitler afferma: “Sono sicuro che Nerone non ha mai incendiato Roma. Sono stati i cristiani-bolscevichi”. Poi loda Giuliano l’Apostata, e depreca Costantino. Il concetto è sempre lo stesso: i cristiani, figli spirituali dell’ebreo Paolo, sono la causa della caduta dell’Impero e di ogni barbarie degli ultimi 20 secoli.


Ai cristiani Hitler imputa anche di aver distrutto le biblioteche e i testi degli antichi, che si sarebbero conservati non per l’opera di trascrizione dei monaci, come effettivamente fu, ma per puro caso. Inoltre li accusa di aver creato “la pratica dei martiri, delle torture, dei roghi”; di negare “tutte le gioie dei sensi”; di aver proposto una errata “volontà ecumenica”, cioè universalistica e non razzista; di essere “contro la selezione naturale” e quindi di instillare una “ribellione contro la natura, una protesta contro la natura”; di proporre un “paradiso insipido”, tutto canti e alleluia; di essere una “storia puerile”, una “invenzione di cervelli malati”, una vera e propria “malattia”…

Mentre la Chiesa anglicana è per lui tollerabile e anzi, a tratti, quasi positiva (“contro una Chiesa che si identifica con lo Stato, come in Inghilterra, non ho nulla da dire”), la Chiesa cattolica è nemica irriducibile: essa è il “regno della menzogna”, che insegna agli uomini la follia della transustanziazione, e le favole su “un preteso aldilà”; promette le pene dell’inferno per scroccare soldi agli sciocchi, raggira i vecchi che hanno paura di morire, “non mira che a fini interessati”, mentre i preti sono “aborti in sottana”, “brulichio di cimici nere” e i suoi missionari sono “gli ultimi dei maiali”, “ripugnanti”, “perversi”…

Soprattutto interessante è che Hitler condivida coi comunisti-bolscevichi, verso cui dichiara il suo odio, e con cui si alleerà per scatenare il secondo conflitto mondiale, due idee.

La prima: che il cristianesimo sia contro la scienza e la ragione (oltre che dello Stato laico).

La seconda: che sia condannato a sparire col tempo, automaticamente, soffocato dall’affermarsi del nazismo trionfante e liberatore.

Anche Marx aveva creduto lo stesso; anche i bolscevichi spiegavano, in quegli stessi anni, che la Chiesa non avrebbe retto il confronto con la scienza, la modernità ed il progresso, e sarebbe sparita da sola, una volta instaurata la società giusta, perfetta, egualitaria, in una parola, comunista. Senza bisogno di persecuzioni (che invece, poi, ci furono eccome).


Riguardo alla prima idea, Hitler afferma: “la religione è in perpetuo conflitto con lo spirito di ricerca. L’opposizione della Chiesa alla scienza fu talvolta così violenta da sprizzare scintille”. Hitler sostiene anche che a scuola avviene ogni giorno qualcosa di assurdo: ai ragazzi, “alle 10 del mattino”, “la creazione del mondo è presentata loro secondo gli insegnamenti della Bibbia; e alle 11 assistono a un corso di scienze in cui viene loro spiegata la teoria dell’Evoluzione. E tuttavia i due insegnamenti si contraddicono assolutamente”. Hitler, infatti, anche qui in perfetta sintonia col pensiero marxista - che sarebbe giunto a condannare la teoria del Big Bang come evidentemente creazionista-, non crede all’idea biblica, ma si schiera per una evoluzione auto-guidata da una forza creatrice e divina immanente.


A questo punto sarebbe interessante fermarsi e chiedersi cosa fosse la scienza per Hitler.

In più occasioni egli ribadisce che la visione scientifica della realtà non vede uno “iato tra il mondo organico e il mondo inorganico”, checché ne dica la Chiesa. Non vi è infatti, in una visione panteista, una vera differenza ontologica tra uomini e animali (di qui anche la sua passione per il vegetarianesimo e i suoi continui richiami al suo amore per gli animali).

Inoltre, nella visione evoluzionista di Hitler, l’uomo come individuo singolo, coerentemente, non esiste. Ciò che conta è solo la razza, la specie: “ho imparato che la vita è una lotta crudele, il cui unico fine è la conservazione della specie. L’individuo può scomparire, purché ci siano altri uomini a sostituirlo”.

Proprio in nome di questa visione arriva a giustificare le guerre in cui milioni di singoli uomini periscono, per il bene della razza ariana. Hitler giunge persino ad accenti violentemente ecologisti: “l’uomo è indubbiamente il microbo più pericoloso che si possa immaginare. Sfrutta il suolo che ha sotto i piedi”, causando le “catastrofi che si verificano periodicamente sulla faccia della terra”12. Non crede dunque ad un Dio personale, che crea ed ma ogni sua singola creatura. In perfetta sintonia col suo pensiero, Borman, nel 1941, dichiara: “Quando noi nazionalsocialisti parliamo di una fede in Dio, non intendiamo per Dio, come i cristiani ingenui e coloro che se ne approfittano, un essere simile all’uomo seduto da qualche parte tra le nuvole. L’affermazione secondo cui questo essere superiore si occuperebbe delle sorti d’ogni singola creatura, d’ogni minimo bacillo che popola la terra, si basa su un’enorme dose di ingenuità ovvero su una interessata spudoratezza”. L’uomo singolo, dunque, è un microbo, un bacillo, niente di più.


Per comprendere ancora meglio cosa significhi scienza, per Hitler e per i nazisti in generale, occorre tener presente che costoro mescolavano allegramente lo scientismo materialista di quegli anni, in particolare il determinismo biologico e razziale, con le più strane superstizioni e credenze astrologiche. Thimoty W. Ryback, che ha analizzato la libreria personale di Hitler, e l'ha divisa per grandi argomenti, scrive:  “Il terzo gruppo (di testi hitleriani, ndr) comprende libri su astrologia e spiritismo provenienti da ogni parte del mondo e, quando necessario, tradotti in tedesco. Ci sono foto spiritistiche e, nascoste sottochiave, le 200 fotografie delle costellazioni nei giorni importanti della sua vita. Queste foto presentano annotazioni di suo pugno e ognuna è protetta dalla propria busta individuale”. In generale, continua Ryback, scorrendo proprio questi libri si nota “che la matita di Hitler è stata ripetutamente attratta da brani riguardanti il rapporto tra il mondo scientifico quello spirituale, tra il mondo materiale e quello immateriale”.

Quanto alla seconda idea cui accennavo, la scomparsa automatica del cristianesimo, per manifesta “inferiorità”, Hitler dichiara di aver creduto, un tempo, sin dai 14 anni, età in cui si scontrava di continuo con il suo insegnante di religione, che la soluzione avrebbe dovuto essere violenta, la “dinamite”: sterminare i preti, le loro menzogne e la loro malvagità.

Poi, col tempo, sostiene di essersi convinto che sia politicamente più produttivo lasciar morire il cristianesimo “a fuoco lento”, come effettivamente cercherà di fare sopprimendo le scuole e i giornali confessionali e attuando una persecuzione spesso soprattutto di tipo culturale e ideologico: “A lungo andare, il nazionalsocialismo e la religione non potranno più coesistere…la soluzione ideale sarebbe di lasciar le religioni consumarsi da sé, senza perseguitarle”.
 

Ancora: “Sono convinto che qualsiasi patto con la Chiesa presenta solo un interesse provvisorio, perché presto o tardi lo sviluppo scientifico renderà evidente l’aspetto nocivo di un simile compromesso”; “Se qualcuno avverte esigenze di ordine metafisico, non posso soddisfarlo col programma del Partito, il tempo scorrerà fino al momento in cui la scienza potrà rispondere a tutte le domande. Non è quindi opportuno lanciarsi adesso in una lotta contro le Chiese. La cosa migliore è lasciare che il cristianesimo muoia di morte naturale. Una morte lenta ha qualcosa di acquietante. Il dogma del cristianesimo si sminuzza dinnanzi ai progressi della scienza…A poco a poco i miti crollano”; “assistiamo agli ultimi sussulti del Cristianesimo”.

Per capire questa prospettiva hitleriana è bene ricordare che Hitler era un uomo molto pragmatico: condivideva con Bormann l’avversione al cristianesimo e alla Chiesa cattolica, ma sapeva che certe operazioni vanno fatte con prudenza e cautela, o addirittura di nascosto, come ad esempio nel caso del programma eutanasico T4. Così più volte rivelava ai suoi collaboratori che l’ora dei conti con la Chiesa e con il cardinal von Galen, il suo più agguerrito avversario, sarebbe arrivata solo alla fine della guerra, per non dividere troppo il paese in un momento difficile. In varie occasioni Hitler frenò addirittura le repressioni contro la Chiesa  del suo fidato segretario Bormann, non perché non le condividesse, ma perché temeva “potessero ritorcersi sfavorevolmente sullo stato d’animo del paese in guerra".

Una conferma a quanto detto, viene da due fonti: lo stesso Mein Kampf e le memorie di Albert Speer, architetto personale del Fuhrer e ministro degli armamenti durante la guerra.

Nel Mein Kampf, il giovane Hitler, parlando con ammirazione del già citato Schonerer, lo critica però per un aspetto: Schonerer aveva minato la forza del suo movimento pangermanista scagliandosi contemporaneamente contro troppi avversari in una volta sola.

Attaccare gli ebrei e la Chiesa insieme, insomma, non sarebbe stato certamente sbagliato, ma inopportuno e politicamente improduttivo. Schonerer non aveva dunque capito che “per una semplice considerazione psicologica, per raggiungere il successo non si devono indicare alla massa due o più avversari, perché questo porta a una totale frammentazione della forza di lotta”. Bisogna la contrario individuare un nemico alla volta, isolato ed unico, per distruggerlo. Poi si faranno i conti con gli altri.

Analogamente Albert Speer, nelle memorie citate, racconta proprio come si svolgevano alcune conversazioni a tavola, tra Hitler e i suoi ospiti, e ricorda come il fido Bormann leggesse spesso ad Hitler omelie e discorsi di parroci o vescovi avversi al regime. Hitler, racconta Speer, si infuriava, diveniva “paonazzo”, smetteva di mangiare e prometteva che appena fosse stato possibile, avrebbe avuto la sua vendetta. Egli si muoveva, infatti, con “cautela pragmatistica”, a differenza del suo fidato segretario. “Secondo Bormann- aggiunge Speer- un modo per restituire vitalità ed interesse all’ideologia nazionalsocialista era quello di stimolare la lotta contro la Chiesa... Hitler in materia temporeggiava, ma nessuno poteva dubitare che egli intendesse soltanto rinviare il problema ad un momento più favorevole, poiché alla tavola della Cancelleria usava nei confronti della chiesa parole molto più pesanti e scoperte di quelle che usava all’Obersalzberg, dove la presenza delle signore lo frenava. ‘Quando avrò risolto tutti gli altri miei problemi’ diceva a volte ‘farò i conti con la chiesa. Allora essa vedrà i sorci verdi’”.

Tornando dunque all’idea di Hitler, della fine prossima del cristianesimo, oltre che dell’ebraismo, il 27 febbraio 1942, mentre i suoi eserciti portano la morte in tutta Europa e milioni di persone vengono uccise nei lager e nei gulag, egli si lancia nei soliti attacchi, e sogna un’era di “tolleranza”. “La nostra società attuale, afferma con convinzione, è più umana di quanto non lo sia mai stata la Chiesa”.

Afferma infatti di fronte ai suoi ospiti che ormai “perfino tra i cosiddetti cattolici sono pochi coloro che credono realmente a queste fandonie (la divinità di Cristo, ndr). Solo le donne vecchie”, “le piccole contadine”, i “modesti operai”: “ma che degli uomini intelligenti si rendano complici di simili superstizioni e in nome dell’amore si siano dovute sterminare, nel corso della storia, centinaia di migliaia di esseri umani, questo non posso ammetterlo. Non crederò mai che ciò che è fondato sulla menzogna possa durare in eterno. Ho fede nella verità. Sono sicuro che col tempo le verità deve trionfare. E’ verosimile, per quanto riguarda la religione, che stiamo per entrare in una era di tolleranza…”, perché “la nostra epoca vedrà indubbiamente la fine della malattia cristiana”.


Rimane una domanda: come valutava Hitler  l’azione della Chiesa rispetto al nazismo?

Lui, personalmente, non aveva dubbi: “Ho conquistato lo Stato a dispetto della maledizione gettata su di noi dalle due confessioni”, quella cattolica e quella protestante (13 dicembre 1941); “Un male che ci rode sono i nostri preti delle due confessioni. Attualmente non posso dar loro risposta che si meritano, ma essi non perderanno nulla ad aspettare. Ogni cosa è trascritta nel mio registro. Verrà il momento in cui regolerò i miei conti con loro e non prenderò vie traverse” (8 febbraio 1942); “Ora la principale attività dei preti consiste nel minare la politica nazionalsocialista” (7 aprile 1942); i preti oggi ci insultano e ci combattono, “si pensi per esempio alla collusione tra la Chiesa e gli assassini di Heydrich… Mi è facile immaginare che il vescovo von Galen sappia perfettamente che a guerra finita regolerò fino al centesimo i miei conti con lui…” (4 luglio 1942); “Il clero è un rettile…il vescovo Preysing è un rettile… La Chiesa cattolica non ha che un desiderio: la nostra rovina” (11 agosto 1942)…