Hillary Clinton, la candidata della (in)stabilità
C’è motivo di pensare che Donald J. Trump sia un’incognita sul futuro dell’America? Sicuramente sì e tutti i giornali ne parlano. Ma non si può guardare alla Clinton come alla candidata della continuità e della stabilità. E ci sono almeno sette ragioni per pensarlo. Vediamo quali sono, da Occupy Wall Street alla Corte Suprema.
Uno dei temi principali della campagna elettorale democratica negli Usa riguarda l’imprevedibilità assoluta del candidato Donald Trump. I mercati premiano la stabilità mentre una vittoria di Trump, causerebbe effetti deleteri nelle Borse e nei mercati, esponendo i paesi coinvolti a gravi crisi. Questa tesi può essere considerata realistica solo se si considerino i mercati come dei meccanismi prevedibili e dominati da un’idea di stabilità così come è intesa dalla sinistra occidentale. Ma così non è. I mercati premiano la stabilità, ma non è affatto detto che “stabilità” sia sinonimo di “governo di sinistra”, o di “riforme progressiste”. Anzi. Una vittoria della Clinton potrebbe generare ulteriore instabilità. Si possono individuare almeno sette ragioni per pensarlo.
Occupy Wall Street, il movimento antagonista no-global che contesta la finanza internazionale e il fondamento stesso dell’economia di mercato è stato in gran parte riassorbito nel Partito Democratico. La prova è il successo che ha avuto, nel corso delle elezioni primarie, la candidatura di Bernie Sanders, che si è fatto portavoce delle istanze del movimento. Sanders ha perso le elezioni, ma ha dato il suo endorsement a Hillary Clinton. La quale, nel tentativo di ricompattare il partito, ha adottato alcuni dei punti programmatici dell’estrema sinistra, come l’innalzamento delle tasse “per i ricchi”, la restrizione della libertà di scambio, anche con una revisione in senso protezionista dei trattati di libero scambio e, in generale, una maggiore spesa pubblica. L’aumento delle tasse sotto l’amministrazione Clinton potrebbe aumentare di 1000 miliardi di dollari nell’arco di due mandati presidenziali, secondo gli stessi calcoli della candidata democratica. Fra le sue proposte troviamo aumenti delle tasse sul reddito, sulla successione, sul rendimento, sui proventi dal commercio borsistico e una Exit Tax sugli utili maturati dalle aziende americane all’estero.
L’Obamacare, durante l’amministrazione di Barack Obama ha comportato l’introduzione di una tassa indiretta (sotto forma di multa per chi non stipula un’assicurazione sanitaria) e maggior spesa medica. Maggiori costi che, prima o poi, si scaricheranno sui pazienti assicurati, o sui contribuenti, o su entrambe le categorie. Hillary Clinton propone, non solo di preservare, ma anche di espandere la riforma sanitaria di Barack Obama. Anche l’Obamacare può generare maggiore instabilità, a causa del suo impatto sui conti pubblici.
Una previsione che fa letteralmente tremare le vene ai polsi dei Repubblicani riguarda la Corte Suprema. C’è un seggio determinante lasciato vacante dal giudice conservatore Antonin Scalia. La Clinton lo riempirebbe con un giudice progressista. Non è solo una lotta fra partiti e fazioni, ma quella interna alla Corte Suprema è un braccio di ferro fra due modi opposti di intendere la Costituzione americana. Per i conservatori alla Scalia, prevale l’interpretazione originalista (senso originario della legge). Per i progressisti, al contrario, si deve interpretare alla luce dello sprito del tempo. E’ solo fra i progressisti, infatti, che va di moda quell’“attivismo giudiziario” che intende cambiare il volto dell’America a colpi di sentenze. Anche il tradizionale Secondo Emendamento (libertà di portare armi), con la Clinton e con gran gioia degli europei, potrebbe essere limitato o del tutto svuotato. Come l’introduzione dell’aborto e più recentemente l’estensione del matrimonio omosessuale a tutto il territorio nazionale sono riforme cardinali imposte dopo sentenze, dopo che la maggioranza dei suoi giudici sarà nettamente progressista, anche tutte le materie economiche e sociali possono essere cambiate in modo analogo e senza passare dal voto popolare.
Concentrazione dei poteri: se la Corte Suprema sarà progressista, alla Casa Bianca ci sarà una presidente democratica e le due camere del Congresso saranno nelle mani dei democratici, l’opposizione negli Stati Uniti sarà relegata a un ruolo marginale. Resteranno gli Stati con governatori conservatori, è vero. Ma Barack Obama, nelle sue due amministrazioni, ha già fatto di tutto per concentrare il potere nelle mani del governo federale a dispetto dei diritti degli enti locali. Non c’è motivo di pensare che questo processo continui anche con Hillary Clinton. E se, finora, la stabilità del sistema americano è dipesa dalla distribuzione del potere, dal funzionamento del meccanismo dei pesi e contrappesi, un’amministrazione o due dominata dai democratici può spezzare questo equilibrio e rivoluzionare l'America dall'alto.
Terrorismo: la seconda amministrazione Obama è stata caratterizzata da un crescendo di attentati sul suolo americano, comprese le stragi di San Bernardino e di Orlando. La reazione del governo è stata soprattutto quella di contrastare la cosiddetta islamofobia, annacquando deliberatamente l’informazione sulla natura terroristica delle stragi. Questa politica non ha garantito maggior sicurezza, né è servita a ridurre il reclutamento dei movimenti jihadisti nella loro lotta all'ultimo sangue contro l'America. La Clinton, molto probabilmente, seguirà le orme del suo predecessore. Non solo la Clinton Foundation ha contatti sospetti con la galassia radicale islamica e con gli Stati che maggiormente sono collusi con essa, ma la Clinton stessa, nel ruolo di segretaria di Stato ha dimostrato in più occasioni di voler sviluppare e mantenere contatti con i Fratelli Musulmani. Un rapporto di fiducia che non è venuto meno neppure dopo l’uccisione dell’ambasciatore statunitense in Libia, Christopher Stevens, da parte di radicali islamici, in un’azione pianificata che il Dipartimento di Stato ha venduto al pubblico come “rivolta spontanea” (motivata da un video amatoriale su Maometto). La minaccia jihadista è sia esterna che interna. E l’annuncio della Clinton di voler sestuplicare (da 10mila a 65mila) il numero di rifugiati siriani da ospitare sul suolo americano, può fornire il destro agli jihadisti di infiltrare ancor di più i loro elementi negli Usa.
Immigrazione, è uno degli aspetti più scottanti della campagna elettorale e la Clinton non ha dubbi su come affrontarlo: politica della porta aperta, riforma delle leggi sull’immigrazione nei primi 100 giorni di mandato, sostegno della politica delle città-rifugio, in cui le autorità non possono denunciare al governo federale il numero di immigrati clandestini. Questi provvedimenti, che secondo i democratici potranno apportare benefici alla società americana nel lungo periodo, hanno finora creato un aumento della criminalità negli Stati di confine con il Messico (e soprattutto, proprio nelle città-rifugio) e nel breve termine finirebbero per aumentare la conflittualità fra Washington e gli Stati del Sud, più esposti all’ondata migratoria.
Minoranze: lungi dall’essere un’amministrazione della riconciliazione nazionale, quella di Obama finisce con un’America più divisa che mai. Il movimento Black Lives Matter è sempre più radicale nei suoi metodi di protesta contro la violenza della polizia. Soprattutto, invece di puntare il dito contro i metodi degli agenti e chiedere di fare giustizia in modo imparziale, sta diventando un movimento dei neri contro i “bianchi” (anche quando i poliziotti che sparano sono neri a loro volta). Hillary Clinton difficilmente conquisterà la fiducia della comunità afro-americana quanto Obama: bianca, sudista e membro dell’establishment, non è la persona adatta a portare i neri alle urne e a farli sentire meno esclusi dalla società.
C’è motivo di pensare che Donald J. Trump sia un’incognita sul futuro dell’America? Sicuramente sì e tutti i giornali ne parlano. Ma non si può guardare alla Clinton come alla candidata della continuità e della stabilità per le ragioni che abbiamo visto finora. I mercati premierebbero una sua vittoria? All’inizio magari sì, ma nei quattro anni successivi?