Hezbollah e Israele, prova muscolare ma senza escalation (per ora)
Ascolta la versione audio dell'articolo
A fronte del massiccio impiego di armi, il 25 agosto, da parte di Israele ed Hezbollah, i danni e le vittime sembrerebbero limitati per entrambi i belligeranti. L’impressione è che sia stata un’esibizione muscolare, in cui nessuno puntava all’escalation. Ma il fronte resta caldo.
Israele ha giocato d’anticipo, attaccando nelle prime ore del 25 agosto le postazioni di razzi, droni e missili di Hezbollah poco prima che le milizie sciite libanesi scatenassero un pesante bombardamento sulla Galilea e le regioni centro-settentrionali dello Stato ebraico fino a colpire Tel Aviv, secondo le informazioni rese note dalle Forze di difesa israeliane (Idf). Un attacco preventivo che secondo gli israeliani avrebbe distrutto “migliaia” di rampe per il lancio di razzi nel Libano meridionale: un centinaio di aerei da combattimento hanno colpito una quarantina di aree di lancio delle milizie sciite. L'operazione è stata condotta prima dell'alba, alle 4, e mirava a prevenire un imminente attacco di Hezbollah, previsto per le 5.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha confermato che l'azione militare è stata avviata in risposta ai preparativi di Hezbollah per un attacco a Israele e ha ammonito: «Nasrallah a Beirut e Khamenei a Teheran devono sapere che quello che è successo oggi non è la fine della storia, non si conclude qui».
Hezbollah ha comunque lanciato contro Israele 320 razzi e droni, probabilmente meno di quanti ne avrebbe lanciati se Israele non avesse condotto i raid aerei che hanno impedito ai miliziani di saturare, con il lancio di qualche migliaio di ordigni, le difese aeree israeliane che proteggono la Galilea. Non mancano in realtà i dubbi circa l’efficacia dei raid israeliani poiché Hezbollah ha riferito di aver sofferto appena due caduti. Certo, occorre prendere con le molle le informazioni militari diffuse dai contendenti ma un numero così basso di perdite confermerebbe che Hezbollah mantiene ben protetti i suoi depositi di razzi (ne avrebbe 200 mila) e riesce a lanciarli con comandi a distanza senza esporre i propri uomini. Hezbollah ha confermato che l’attacco ha costituito la rappresaglia per l’uccisione, il 30 luglio a Beirut, del suo capo militare Fuad Shukr e lo stesso Nasrallah ha riferito di 11 basi militari israeliane colpite, mostrate anche in un video. «L'obiettivo principale era la base di Glilot», dove ha sede il quartier generale del Mossad e la base dell'Unità 8200, corpo d'élite dell'intelligence israeliana, oltre a una non meglio specificata base di difesa aerea.
Nasrallah ha ammesso che le forze israeliane hanno anticipato l’attacco di Hezbollah colpendo 30 minuti prima, ma ha riferito che le aree prese di mira dagli israeliani non avevano nulla a che fare con l'operazione. A sua volta Israele non ha dato notizia di basi colpite dal fuoco nemico sostenendo che la maggior parte dei razzi hanno colpito aree aperte, mentre gli altri sono stati intercettati dalla difesa aerea. Una fonte della sicurezza libanese ha riferito che 31 villaggi e le aree circostanti sono stati colpiti dai raid israeliani dall'alba fino alle 10,30 del 25 agosto; sembra che non abbiano subìto perdite i 12.000 caschi blu (mille sono italiani) della missione delle Nazioni Unite (UNIFIL) schierati nel sud del Libano.
Insomma, a fronte di un massiccio impiego di armi e ordigni da parte dei due belligeranti, i danni e le vittime sembrerebbero essere estremamente limitati per tutti, elemento che rafforza l’impressione che si sia trattato di un’esibizione muscolare in cui nessuno puntava realmente all’escalation.
Quanto al coinvolgimento statunitense, le solite fonti anonime hanno riferito ai media che gli USA erano stati informati dell'attacco preventivo israeliano e hanno contribuito a tracciare razzi e droni lanciati da Hezbollah contro Israele ma non sono stati coinvolti direttamente negli attacchi in Libano anche se hanno rafforzato la presenza di navi con capacità spiccate di difesa aerea vicino a Israele. Washington sul piano militare continua a sostenere Israele (pochi giorni or sono è stata approvata una fornitura da 20 miliardi di dollari che include 50 aerei da combattimento e molte munizioni per artiglieria e carri armati), ma su quello politico preme per il cessate il fuoco a Gaza, quantomai necessario per l’amministrazione Biden e per la candidata alla Casa Bianca, Kamala Harris, poiché una fetta crescente dell’elettorato del Partito Democratico è sempre più ostile alla guerra di Israele nella Striscia. A Chicago, durante la convention democratica, migliaia di manifestanti sono scesi in piazza per chiedere un cessate il fuoco immediato e un embargo delle armi a Israele. Una spaccatura su cui fa leva Donald Trump: «Ci stiamo avvicinando verso la terza guerra mondiale a causa di “Sleepy Joe” che sta dormendo su una spiaggia della California e Kamala in tour con il suo vice».
Il candidato repubblicano esce politicamente rafforzato anche dalla decisione di Robert F. Kennedy Jr, indipendente ma che assorbe voti dell’elettorato Dem, di non presentarsi in alcuni Stati chiave dicendo ai suoi elettori di votare Trump: decisione dettata proprio dalla politica estera dell’amministrazione Biden, specie in Medio Oriente e Ucraina, e dal rischio, secondo Kennedy Jr, che essa porti alla terza guerra mondiale. Contro Biden e la sua attuale vice si è espresso, da sinistra, anche Bernie Sanders, che in un’intervista ha auspicato che Harris sposi una politica diversa da Biden su Gaza e rinunci agli aiuti a Israele, a meno che non ci sia un cambio radicale di strategia verso i palestinesi.
In teoria lo scambio di attacchi tra Israele e Hezbollah, in cui entrambi si sono dichiarati vincitori, rischia di allontanare ulteriormente un accordo su Gaza, a cui Israele resta ostile perché la cessazione delle operazioni militari senza aver ottenuto la distruzione militare di Hamas costituirebbe una grave sconfitta nella guerra scatenata dopo i fatti del 7 ottobre. Al contrario, un accordo che faccia cessare le ostilità e imponga il ritiro israeliano da Gaza consentirebbe ad Hamas di dichiararsi vincitore. Sul confine con il Libano, Hezbollah resta una forte minaccia. Dal canto suo, Israele, pur dimostrando l’efficienza dei suoi apparati d’intelligence, non si è impegnato in quell’operazione terrestre nel sud del Libano che costerebbe molto cara in termini finanziari e di vittime, ma che ai falchi appare inevitabile per mettere ragionevolmente al sicuro la Galilea e il confine settentrionale.
Dallo scontro nel Libano del Sud esce vincitore anche l’Iran che continua a non farsi coinvolgere direttamente nel conflitto, lasciando che a combattere siano le milizie sue alleate. Netanyahu, del resto, appare consapevole che solo coinvolgendo l’Iran nella guerra potrebbe riguadagnare il sostegno incondizionato delle potenze occidentali sempre più in imbarazzo, anche rispetto alla propria opinione pubblica, per la continuazione della sanguinosa campagna di Gaza, dove da ormai dieci mesi le forze israeliane sono impantanate in un conflitto che non riescono a vincere.