Hayden e il senso della vita che non si trova in un clic
Il mondo sportivo è in ansia per la sorte del pilota di Superbike Nicky Hayden, gravissimo dopo un incidente in bibcletta. Se si prova ad abbandonare quella pruriginosa mania da clic scopriamo che ci sono domande che dalla carne straziata possono levarsi al Cielo, non a Wikipedia.
Lotta tra la vita e la morte al Bufalini di Cesena il centauro statunitense Nicky Hayden, dopo essere stato investito sulle strade romagnole mentre si allenava in bicicletta. Travolto da una vettura proprio come é successo al ciclista Michele Scarponi solo qualche settimana fa. “Scarpa”, come era soprannominato l'amatissimo atleta del Team Astana, si stava preparando per l'imminente Giro d'Italia, l'edizione del centenario; è deceduto sul colpo, lasciando moglie e due gemelli. Anche il simpaticissimo “Kentucky Kid”, pilota ufficiale Honda – che nel 2006 aveva strappato un mondiale all'amico Valentino Rossi –, affinava la condizione in vista della prossima gara del campionato mondiale Superbike. Entrambi stavano facendo il loro lavoro. Un mestiere unico, quello dell'uomo di sport, eccezionale ma che, come tanti altri, presenta pur esso rischi, imprevisti e a volte tragiche fatalità.
Senza aver avuto nemmeno il tempo di elaborare il dramma della scomparsa di un atleta tanto amato come “l'aquila di Filottrano”, già si ripresenta un altro fatto estremamente provante per tutti gli appassionati di sport e non solo. Stavolta, anche se il quadro clinico appare estremamente grave, il lume della speranza è ancora acceso. Tutti stanno facendo il tifo, non per una vittoria, ma perché Nicky vinca la corsa più importante, quella per la vita. La sua famiglia l'ha raggiunto: la mamma, un fratello e la fidanzata; il papà invece non può volare per un disturbo al cuore, mentre un altro fratello è impegnato nelle corse, in America. Intanto, é scattato il consueto seguito mediatico di ricostruzioni, fotogallery, tweet di solidarietà e tutto ciò che quel potente volano che é il web riesce ad amplificare. Spesso, purtroppo, anche a sproposito.
Certo, per gli appassionati o i semplici lettori di news, quanto descritto non ha nulla a che vedere con il dramma più profondo dei parenti e degli amici, quelli veri, travolti in prima persona da simili sciagure. Nulla a che spartire nemmeno con i piccoli e grandi drammi quotidiani che invece non ottengono mai l'onore della cronaca. Ma se ci si ferma per un istante, se si fa un passo indietro rispetto allo schermo del proprio smartphone o tablet dove cerchiamo così assiduamente l'ultimo aggiornamento sulle condizioni di salute o scrutiamo il dettaglio del telaio della bici da corsa spezzato nell'impatto, sarà possibile fare una rilevante scoperta.
C'è qualcosa che sfugge in tutto questo, qualcosa che non può trovare risposta nei vuoti algoritmi del web, nelle nostre estenuanti e ripetitive ricerche su Google, per quanto affinate possano essere. Se si prova ad abbandonare per un attimo quella pruriginosa mania da click che un po' tutti ci attanaglia, scopriremo che ci sono domande che dalla carne straziata solo possono levarsi al Cielo, non a Wikipedia o a qualsivoglia altro quotidiano online “punto it”.
Perché un giorno hai tutto e quello dopo finisci quasi esanime sull'asfalto? Forse che anche quei moderni eroi che sono gli atleti in fondo in fondo sono fragili come tutti noi? Cos'é la morte? Che senso ha lottare strenuamente per la vita quando il freddo della fine sembra così terribilmente vicino?
Quanto bisogno c'è di lasciare spazio a simili domande, a ferite ancora aperte e sanguinanti come quelle nel corpo del povero Nicky Hayden in attesa di essere salvato. Interrogativi che sempre urgono risposte ultime e che non possono essere anestetizzati né dal sentimentalismo solidale di un tweet né dal sensazionalismo indifferente e un po' splatter dei tanti siti costantemente a caccia di click.