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PAESE ALLO SBANDO

Haiti: le gang dominano e aggrediscono i religiosi. Il Kenya manda la polizia

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La Chiesa aiuta la popolazione di Haiti, da tre anni nel caos. Ma i religiosi restano vittima della violenza delle gang. Il Kenya manda la polizia, nota per la sua violenza.

Esteri 02_07_2024
Polizia kenyana ad Haiti

Ogni anno molti religiosi vengono aggrediti, rapiti, uccisi non in odio della fede, ma perché accettano i rischi che comporta vivere e testimoniare la fede in situazioni critiche, caratterizzate da povertà economica e culturale, degrado morale e ambientale, dove non esiste il rispetto per la vita e per i diritti umani, ma è norma solo la sopraffazione e la violenza. L’agenzia di stampa Fides che ogni anno pubblica un dossier su di loro spiega che vengono colpiti mentre sono impegnati nelle incombenze di tutti i giorni: per strada, mentre vanno o tornano dal celebrare la messa o svolgere le loro attività pastorali, oppure a casa, nelle loro parrocchie, nei loro monasteri, durante un assalto a scopo di rapina o di sequestro di persona. Potrebbero andare altrove, in luoghi più sicuri, oppure sospendere i loro impegni, ridurli, ma non lo fanno, pur essendo consapevoli della situazione e dei pericoli che corrono ogni giorno, perché vogliono restare vicini ai fedeli loro affidati.

È questa da anni la situazione dei sacerdoti, dei missionari che vivono ad Haiti, un paese in cui dilagano violenza e corruzione, che ha visto deteriorarsi sempre più le condizioni di vita soprattutto a partire dal 2021, anno segnato dall’omicidio del presidente Juvenel Moise, il 7 luglio, seguito il mese successivo da un nuovo, catastrofico terremoto, anche se meno devastante di quello che nel 2010 aveva provocato 230mila morti. Da allora miseria e illegalità hanno preso il sopravvento e ormai la popolazione è ostaggio di centinaia di feroci, spietate bande armate. Nella sola capitale Port-au-Prince se ne contano circa 300 e controllano l’80% del territorio. I religiosi, quelli autoctoni e i molti missionari stranieri, sono ben voluti dalla gente comune per il bene che ne ricevono e tuttavia sono spesso vittime di attacchi, rapine, furti, sequestri a scopo di estorsione. La loro provata, generosa dedizione nei confronti della popolazione non li mette al sicuro, né lo sono le loro proprietà e i loro istituti: asili, scuole, orfanotrofi, ospedali che sempre più rappresentano per molta parte della popolazione gli unici servizi sui quali contare.

Lo scorso marzo la situazione è ulteriormente peggiorata. La decisione del primo ministro Ariel Henry di indire le elezioni nell’agosto del 2025 ha scatenato la furia dei gruppi armati che controllano la capitale haitiana e le sue periferie. Sebbene rivali, hanno unito le forze per chiedere le dimissioni del primo ministro. Da allora le stazioni di polizia, le sedi governative e persino l’aeroporto internazionale di Toussaint Louverture sono stati bersaglio di attacchi. Scuole, ospedali, orfanotrofi, banche, edifici pubblici e molte attività commerciali sono stati saccheggiati. Decine di migliaia di persone hanno dovuto lasciare le proprie case per cercare rifugio lontano dai centri urbani spesso in condizioni disumane. Tra l’altro sono state attaccate anche due prigioni e sono stati liberati circa 4mila detenuti, tutti delinquenti che sono andati a ingrossare le fila delle bande.

“La situazione è terrificante – spiegava a marzo a Fides suor Marcella Catozza, Francescana, da molti anni impegnata in attività pastorali e caritative ad Haiti – le bande hanno assalito diversi edifici pubblici, compreso l’ospedale cattolico ‘San Francesco di Sales’ di Port-au-Prince. Si tenga conto che sono equipaggiate con armi e mezzi sofisticati, altroché machete; hanno persino dei droni per individuare i movimenti delle forze dell’ordine che appaiono incapaci di fermarle”. Da allora le notizie dal paese in balia della furia incontrollata delle bande armate si sono fatte sempre più drammatiche. “Le bande diventano ogni giorno più armate e più feroci, siamo asserragliati dentro l’Ospedale, con la speranza che non ci assaltino. Non possiamo uscire per acquistare cibo o farmaci per le persone che ospitiamo, bambini disabili, malati, parenti dei ricoverati e il personale medico e infermieristico – riferiva ad aprile padre Erwan, missionario Camilliano, economo del Foyer San Camillo, un centro socio-sanitario – ci hanno consentito, previo ‘pagamento del pizzo’ di uscire una sola volta con l’ambulanza per acquistare 30 bombole di ossigeno per i ricoverati e per gli interventi chirurgici. La situazione è ogni giorno più pericolosa”.

“E’ urgentissimo un intervento da parte della comunità internazionale – diceva padre Massimo Miraglio, missionario Camilliano anche lui da quasi 20 anni nell’isola – altrimenti si arriverà a un punto di non ritorno e i morti si conteranno a migliaia”.

La comunità internazionale, si sa, è lenta ad attivarsi e ha delle priorità, tra le quali non sembra esserci Haiti. Ma soprattutto, quando ha deciso di intervenire, lo ha fatto scegliendo sorprendentemente di affidare l’incarico di rimettere ordine e pace ad Haiti al Kenya che già nel luglio del 2023 si era offerto di mandare a Port-au-Prince mille agenti di polizia e di dirigere una eventuale missione internazionale. “Disarmeremo quei teppisti e quelle bande – assicurava a settembre del 2023 il ministro degli esteri kenyano Alfred Mutua – non ci vorrà molto, libereremo gli haitiani rapiti e le donne violentate”. “Non deluderemo il popolo haitiano – prometteva da parte sua il presidente kenyano William Ruto – la missione ha “un significato speciale e una urgenza fondamentale”.

Ma in Kenya non tutti erano, e sono, d’accordo di privarsi di tanti agenti di polizia, necessari per far fronte ai molti e seri problemi di ordine pubblico del paese. L’opposizione guidata da Raila Odinga ha dato parere contrario dicendo che l’invio di agenti ad Haiti non doveva essere una priorità visti i tanti problemi dei paesi che confinano con il Kenya e a ottobre, e di nuovo nel gennaio del 2024, la Corte Suprema, nonostante il parere favorevole espresso dal parlamento, ha bloccato il progetto sostenendo che la costituzione non prevede l’invio di poliziotti all’estero, ma solo di militari.

Solo a fine marzo, proprio mentre ad Haiti la situazione stava degenerando, la situazione si è sbloccata e soltanto a maggio il presidente Ruto ha annunciato che finalmente il primo contingente di poliziotti sarebbe arrivato a Port-au-Prince, entro tre settimane.

Nei molti mesi trascorsi dal luglio del 2023 spesso è stata avanzata da più parti l’obiezione del tutto fondata che la polizia kenyana non fosse la più adatta a gestire una situazione così complessa e delicata come quella di Haiti dove non sempre è facile distinguere i membri delle bande, i “teppisti”, dalle vittime civili, e dove migliaia di giovani scelgono di armarsi per passare dalla parte del più forte e smettere di subire, di avere paura: “la maggior parte dei giovani oggi sono armati ed è grazie a questo che mangiano e bevono” spiegano ad Haiti.

La polizia del Kenya non pare la scelta migliore perché è nota la brutalità dei suoi interventi ed è stata spesso accusata di sequestri di persona, torture e omicidi extragiudiziali. Ma nessuno ne ha seriamente tenuto conto. Sta di fatto che, con il benestare della comunità internazionale, i primi 200 agenti di polizia sono finalmente atterrati ad Haiti il 25 giugno, proprio nelle stesse ore in cui i loro colleghi in patria, nella capitale Nairobi e in altre città, sparavano ad altezza d’uomo contro migliaia di giovani che protestavano per gli aumenti delle tasse, uccidendone almeno 23 e ferendone decine.