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GUERRE DIMENTICATE

Haiti fuori controllo, il fallimento della polizia kenyana

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Il presidente kenyano Ruto all'Assemblea generale dell'ONU aveva detto che la forza internazionale di polizia guidata dai suoi militari sta ristabilento l'ordine. Ma è falso, come raccontano i missionari.

Esteri 30_09_2024

Le chiamano “guerre dimenticate”. Sono i conflitti di cui si sa poco perché i mass media vi prestano poca attenzione e perché anche le innumerevoli associazioni che hanno per missione la pace nel mondo raramente se ne occupano, se non mai. Concentrate come sono su Ucraina e Gaza, sembra che non sappiano o non ritengano meriti di parlare di altro: non della guerra in Somalia, la più lunga perché è incominciata nel 1987 contro il dittatore Siad Barre e, dopo la sua caduta, è continuata tra i clan in cui il paese è diviso; né di quella nel Myanmar, a causa della quale nel vicino Bangladesh per l’etnia Rohingya perseguitata è stato allestito Cox’s Bazar che, con oltre 800mila ospiti, è il più grande campo profughi del mondo; e nemmeno di quella in Sudan, responsabile della più grave crisi umanitaria del mondo, e degli ultimi decenni, per il numero di persone coinvolte e per l’efferatezza con cui i contendenti infieriscono sulla popolazione civile.

Oltre che “dimenticate”, ci sono guerre sulle quali non solo circolano poche informazioni, ma anche confuse e contraddittorie. È il caso del conflitto che devasta Haiti. Da anni la popolazione poverissima di questo paese situato sull’isola di Hispaniola è in balia di bande criminali che vivono di estorsioni, sequestri di persona, traffico di droga e altre attività illegali. Nella sola capitale Port-au-Prince se ne contano almeno 300. Circa l’80% del territorio urbano è in mano loro.

Quest’anno la situazione è ancora peggiorata. Una ondata di violenza ha colpito il paese a partire dallo scorso febbraio, scatenata dall’annuncio della data delle prossime elezioni, fissata al 31 agosto 2025, e di trattative in corso per l’invio sull’isola in aiuto al governo di un contingente internazionale di forze di polizia. Bande fino ad allora rivali, in lotta per il controllo di attività illegali e di territori, si sono coalizzate per attaccare sedi governative, edifici pubblici e punti strategici della capitale e di altre città. A marzo sono riuscite ad attaccare persino l’aeroporto internazionale della capitale che è rimasto chiuso per diverse settimane.

La violenza non risparmia neanche i religiosi, locali e stranieri, che condividono le sorti della popolazione indifesa, abbandonata a se stessa, prodigandosi per offrire conforto spirituale, aiuti materiali, assistenza. Vivono asserragliati nelle istituzioni da loro gestite – scuole, ospedali, orfanotrofi… – costretti ad avventurarsi all’esterno alla ricerca di provviste, preoccupati per le scorte di medicinali e di altro materiale sanitario indispensabile sempre più difficili da rifornire, temendo ogni giorno che tocchi a loro subire l’assalto di una banda e di dover assistere al saccheggio e alla distruzione della loro struttura.

A gennaio il rapimento di sei suore della Congrégation des Soeurs de Saint-Anne, canadese, ha costretto a chiudere temporaneamente tutte le scuole della congregazione. A febbraio monsignor Pierre André Dumas, vescovo di Anse-à-Veau e Miragoane, è stato ferito da una esplosione verificatasi nell’abitazione che lo ospitava durante il suo soggiorno nella capitale. A marzo sono state rapite tre suore della Congregazione delle Suore di San Giuseppe di Cluny, prelevate da uomini armati che hanno fatto irruzione nella loro residenza. A maggio un attentato è costato la vita a tre laici della Mission in Haiti, una missione statunitense.

Il governo di Haiti nel 2022 ha chiesto alle Nazioni Unite di autorizzare la costituzione di una forza internazionale di sicurezza. Il Kenya nel 2023 si è offerto di inviare mille, forse 2.500 agenti di polizia e di guidare la missione internazionale. Quest’anno l’Onu ha approvato l’iniziativa di cui gli Stati Uniti per il momento sono i principali finanziatori e a fine giugno sono atterrati ad Haiti i primi 200 agenti di polizia kenyani, seguiti poi da altri 400. «Finora 12.000 uomini armati hanno tenuto in ostaggio 12 milioni di persone – ha dichiarato il primo ministro haitiano Gary Cornille nel dar loro il benvenuto – per Haiti questo è l’inizio di una nuova era». A nome dell’alleanza delle bande armate della capitale, Jimmy “Barbecue” Cherizier, leader di una delle più potenti, la G9 an fanmi, li ha accolti dicendo: «Ecco il Kenya, sparate! Bianco o nero che tu sia, se non sei haitiano ti consideriamo un invasore».

William Ruto, il presidente kenyano, si era detto certo che in poco tempo i suoi uomini avrebbero sconfitto e disperso le bande haitiane: «Disarmeremo quei teppisti e quelle bande, non ci vorrà molto». I suoi primi 200 agenti sono scesi dall’aereo cantando. Sono trascorsi più di tre mesi. Una decina di Paesi hanno promesso di inviare soldati, per un totale di oltre 3.100 unità. Belize e Giamaica hanno già mandato i loro, circa 400 in tutto. Problemi organizzativi e finanziari stanno ritardando ulteriori arrivi.
Ma il 26 settembre parlando all’Assemblea Generale dell’Onu riunita in questi giorni al Palazzo di Vetro, Ruto ha detto di essere disposto ad aumentare il numero dei suoi agenti se saranno stanziati più fondi e ha dato notizie rassicuranti. «Sono stato ad Haiti – ha detto – dove ho potuto constatare notevoli progressi sul territorio. È stata ristabilita la tranquillità in città e villaggi che prima erano in preda alle gang criminali».

Ma invece chi vive ad Haiti ancora aspetta l’avvento della “nuova era” annunciata. Secondo un esperto Onu per i diritti umani le bande stanno anzi prendendo di mira nuove aree. Con il trascorrere dei giorni e delle settimane, si sono fatte quindi sempre più frequenti le proteste della popolazione che si era aspettata almeno qualche progresso. «Fatti e non parole» scrivono i mass media dando voce alla delusione generale, e dei poliziotti kenyani dicono che si limitano ad atti “teatrali” e che si comportano come “semplici turisti”. A far perdere fiducia agli haitiani contribuiscono notizie che vorrebbero rassicurare e invece risultano false. Le polizie haitiana e kenyana, ad esempio, avevano assicurato che l’ospedale più grande della capitale era saldamente sotto il loro controllo, mentre poche ore dopo sono circolati dei video che mostravano l’abbandono della struttura e la fuga di tutto il personale in mezzo a raffiche di colpi di arma da fuoco.

A raccontare che cosa succede davvero ad Haiti sono i missionari: camilliani, francescani, redentoristi, salesiani. Il comunicato più recente risale al 25 settembre, è stato inviato all’agenzia di stampa Fides dal camilliano Massimo Miraglio. «La situazione non è assolutamente cambiata né migliorata – ha scritto – il contesto è sempre di degrado. Possiamo dire che la presenza di queste forze in Haiti è quasi inoperante. Tutte le attività continuano a essere paralizzate. Gli ingressi sia a sud che a nord della capitale sono completamente bloccati, si transita solo dopo aver pagato tangenti ai diversi gruppi che fermano durante il tragitto. Questo vale però solo per i trasporti pubblici e per i camion che in molti casi vengono sequestrati invece di essere lasciati passare. Anche l’uscita che porta a Jeremie, 200 km a sud della capitale, ormai è totalmente chiusa, via terra è praticamente impossibile arrivarci».

«La situazione è terrificante – aveva ammonito, inascoltata, suor Marcella Catozza, francescana – si tenga conto che le gang sono equipaggiate con armi e mezzi sofisticati, altroché machete; hanno persino dei droni per individuare i movimenti delle forze dell’ordine che appaiono incapaci di fermarle».

 

 



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