Guardiamo i volti dei nuovi martiri
Non ce lo aspettavamo. Da sempre la ricorrenza dei santi martiri Felice e Fortunato, patroni della città e diocesi di Chioggia – non diversamente dalle feste patronali di tanti paesi e città - è stata vissuta come festa celebrativa che trasbordava nel folklore della piazza, con le variopinte e variegate bancarelle e i venditori...
Non ce lo aspettavamo. Da sempre la ricorrenza dei santi martiri Felice e Fortunato, patroni della città e diocesi di Chioggia – non diversamente dalle feste patronali di tanti paesi e città - è stata vissuta come festa celebrativa che trasbordava nel folklore della piazza, con le variopinte e variegate bancarelle e i venditori che incantavano i ragazzi e imbonivano gli adulti. I santi Patroni erano personaggi pittoreschi di un passato definitivamente tramontato, che riluceva nelle immagini dei santini.
In questi ultimi tempi, improvvisamente, una grande ventata ha cambiato la direzione del mondo e alterato il panorama. I santi martiri hanno preso il volto dei cristiani sgozzati sulla spiaggia, dei vecchi dai lineamenti seri e pacati e delle donne in fuga dall’incedere stanco, con in braccio i piccoli e i grandicelli a mano. Siamo stati toccati dalle testimonianze di qualche vescovo e di qualcuno dei loro preti, affezionati come padri alle loro comunità. Così ci troviamo dentro un mondo cambiato. Le persecuzioni che hanno impregnato i secoli antichi e i barbari hanno invaso l’Occidente, nei tempi moderni si sono estese con i gulag di Stalin, i forni crematori Hitler, i campi di lavoro di Pol Pot, i laogai cinesi, le carceri pakistane, e qui ai nostri giorni con gli attentati alle chiese e alle case. Sono arrivate quasi alla soglia di casa nostra ed entrano dentro i nostri occhi con le immagini della Tv e da qualche giornale più attento e con i richiami insistiti di Papa Francesco.
Che cosa impariamo da quello che succede? L’antica, strana lezione dei martiri Felice e Fortunato che hanno accettato i dileggi, le torture e la morte “solo” per non voler dire no a Cristo, risalta con inaudita imponenza sulla frontiera del cuore. Viene a ridirci che il cristianesimo non è un santino o una festa di compleanno, ma una questione di vita. A gamba tesa ci viene reinsegnato che Cristo è vita e che per Cristo si può dare la vita. Vale la pena perdere tutto – casa, soldi, beni, amicizie, “buon nome” e chissà altro - piuttosto che perdere Cristo. Ma questo appare un discorso esagerato: qui nessuno viene a minacciare la nostra vita di cristiani. L’insidia è più sottile e profonda. Scava il cuore e lo svuota di contenuto, ci pialla l’anima fino a renderla piatta, senza le punte della preghiera, senza gli scatti della carità, senza i ponti del perdono.
Veniamo indotti a credere che si può vivere senza Vangelo e senza sacramenti; senza matrimonio e senza comunità cristiana. Cristo, di fatto, reso inutile e addirittura considerato un ostacolo, nel grande campo di addestramento della nuova umanità che ci vuole identicamente uguali. E tuttavia anche oggi i martiri escono di chiesa, si inoltrano nelle strade della città, segnandole con loro passaggio. Ancora Papa Francesco: «Lasciamoci affascinare dalla Bellezza della verità della vita che è Cristo e non dagli idoli mondani…»