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Guai a parlare dei pedofili di Hollywood

La regista Amy Berg aveva sparato a zero contro i preti pedofili, con il suo docufilm Deliver Us from Evil, vincendo l'Oscar nel 2006. Incoraggiata dal successo, ha deciso di spostare il tiro su un altro ambiente di pedofili: quello di Hollywood. Risultato? Nessuno vuole distribuire il nuovo docufilm. 

Cultura 09_12_2014
Amy Berg

Non è un nome notissimo, da noi, quello di Amy Berg, documentarista hollywoodiana. Eppure oltreatlantico è famosa perché ha addirittura vinto un Oscar nel 2006. L’opera premiata a furor di studios si intitolava Deliver Us from Evil («Liberaci dal male») e denunciava gli abusi sessuali, pedofili e pederastici, compiuti da quella sentina di ogni corruzione che è per i w.a.s.p. la Chiesa Cattolica. 

Perno del documentario erano le malefatte del prete Oliver O’Grady, che dal 1970 al 1990 approfittò di un certo numero di minori. Applausi a scena aperta, gridolini d’indignazione durante la proiezione, standing ovation alla fine, sdegno unanime in platea e poi nella nazione, flash ammirati sul red carpet e champagne stappato dai molti avvocati americani che si avventarono sulle casse delle diocesi riuscendo a tramortirne finanziariamente diverse. Sull’onda di quel documentario in tanti si sovvennero delle molestie ricevute da piccoli da parte di preti cattolici, un ricordo che avevano psicologicamente «rimosso» ma che l’odore dei soldi aveva riportato impellentemente alla coscienza. Com’è ormai accertato, parte di quegli abusi erano veri, parte no, ma lo scandalo dei «preti pedofili» rimase e ancora oggi la Chiesa se ne lecca le ferite.

Il documentario Oscar 2006 in pratica tirava sulla Croce Rossa, perché la piaga era già nota al vasto pubblico. Al solito, per la regista premiata si aprirono le porte dei talkshow più gettonati e fioccarono le interviste sui media più diffusi, in particolar modo, ovviamente, quelli liberal. Ma non c’è eco che prima o poi non si spenga. Così, la documentarista da Oscar ha deciso di approfittare della specializzazione acquisita sul tema e di girare un nuovo documentario. L’argomento è lo stesso ma, avendo la Chiesa già dato, occorreva qualcun altro da mettere sul banco degli imputati, qualcuno che però suscitasse lo stesso clamore. In fondo, ce l’aveva sotto il naso. Il nuovo documentario pédo-pedé (come dicono i francesi) si intitola An Open Secret (lett: un segreto aperto, chiaro, notorio; da noi si direbbe «Un segreto di Pulcinella»). L’ingenua regista questa volta se l’è presa con l’industria cinematografica americana e ha inanellato una serie di interviste ad attori che, avendo ormai fatto carriera, possono rivelare coram populo le attenzioni ricevute da produttori e registi quand’erano ragazzini o adolescenti, e il dazio pagato per poter avere i primi contratti. Ci sono dentro nomi grossi e famosi.

Negli anni Sessanta, libri come Il sofà del produttore e Hollywood Babilonia misero in piazza il segreto di Pulcinella di allora, che però riguardava più che altro le attrici. Oggi pare che il punto sia un altro: «La pedofilia è il più grande problema di Hollywood, è ovunque», ha detto Matt Valentinas, produttore del nuovo documentario della Berg, avvocato e fondatore di un’associazione di vittime pédo-pedé, The Courage to Act («Il coraggio di agire»). Ma, ecco l’ingenuità: chiedere a Hollywood un film del genere è come chiedere al papa che sciorini l’elenco dei preti lapsi, descrivendone in dettaglio le malefatte, durante l’Angelus domenicale urbi et orbi. Con la differenza che il papa non ha mai ostacolato né nascosto niente. Invece, leggo su Il Giornale del 4 dicembre che «nessun distributore è disposto a veicolare An Open Secret : un muro di silenzio si alza intorno al film». E che cosa si aspettava, la Berg, un altro Oscar? Che i moralisti del 2006 applicassero lo stesso metro di giudizio a se stessi? Beata ingenuità.

Chissà se la Berg ha imparato la lezione, che è questa: se spari sulla Chiesa ti dicono bravo e fai strada; se miri altrove, ti va già bene se si limitano a fare spallucce. Per quanto riguarda l’avvocato-produttore del documentario, per vanificarne la denuncia basterà che un suo collega rivolga ai molestati una semplice domanda: quando ti è stato chiesto il dazio, hai risposto «spiacente, a queste condizioni rinuncio a fare l’attore di cinema»? Già, perché uno dei principali testimonial, oggi trentenne, all’epoca dei fatti, era, sì, minore, ma non aveva due anni, ne aveva sedici.